Franz Saija: "Svelato il mistero del passaggio dall’inorganico all’organico"

Franz Saija: “Svelato il mistero del passaggio dall’inorganico all’organico”

Gabriele Quattrocchi

Franz Saija: “Svelato il mistero del passaggio dall’inorganico all’organico”

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lunedì 22 Settembre 2014 - 05:49

Il ricercatore messinese spiega ai lettori di Tempo Stretto la portata della ricerca condotta al fianco del collega Antonino Marco Saitta, che ha aggiunto un tassello fondamentale a quel mosaico che una volta completo rivelerà l’origine della vita.

Svelare i segreti di quella linea sottile a cavallo tra chimica e biologia, o meglio, tracciare il ponte che segna il passaggio dall’inorganico all’organico, è questo lo straordinario risultato ottenuto da due fisici messinesi Franz Saija, ricercatore dell'Istituto per i processi chimico-fisici del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina, e Antonino Marco Saitta,professore di Fisica nonché Vicepreside della Facoltà di Fisica dell'Università Pierre e Marie Curie di Parigi.

Dopo aver pubblicato il loro studio, i due si trovano oggi sotto i riflettori della comunità scientifica mondiale per aver aggiunto un tassello fondamentale a quel mosaico che una volta completo rivelerà l’origine della vita. A spiegare in dettaglio la portata della scoperta ai lettori di Tempo Stretto è proprio Franz Saija.

Che tipo di studio avete condotto e cosa ha dimostrato la vostra ricerca i cui esiti sono stati pubblicati sulla rivista dell'Accademia delle scienze americana Pnas?

«Si tratta di uno studio di simulazione numerica effettuato utilizzando potenti risorse computazionali del centro di calcolo francese. Io ed il Professore Saitta teniamo a sottolineare che l’algoritmo utilizzato fu introdotto nel 1984 da un altro messinese, il Professore Michele Parrinello, scienziato di fama mondiale, che insieme a Roberto Car, inaugurò questa tecnica di simulazione numerica quantistica, che oggi prende proprio il nome di Car-Parrinello. Il nostro studio si basa su uno dei più celebri esperimenti nel campo della chimica prebiotica, l’esperimento Miller-Urey. Nel 1953, Stanley Miller, uno studente dell’Università di Chicago ebbe l’idea, consegnata dal suo mentore, il Professor Harold Urey, premio Nobel per la chimica, di sottoporre ad intensi campi elettrici delle molecole inorganiche semplici. In breve, avevano ricreato determinate condizioni ambientali che si pensava fossero presenti nella Terra primordiale. Partendo dal presupposto che in quell'atmosfera non ci fosse ossigeno libero, quanto piuttosto abbondasse idrogeno, l'elemento più diffuso nell'universo, e altri gas quali metano, ammoniaca, acqua, ed in presenza di una fonte di energia esterna, come fulmini, si sarebbero potute originare molecole più complesse, composti organici, tra cui alcuni aminoacidi. In effetti, dopo qualche tempo l’esperimento portò alla formazione di alcuni amminoacidi che sono, com’è noto, i “mattoni” fondamentali delle sostanze organiche, più precisamente delle proteine, che poi sono i costituenti fondamentali della vita. L’esperimento, in sé rivoluzionario, diede origine alle moderne ricerche sull’origine della vita. Da questo esperimento in laboratorio, abbiamo riprodotto il tutto attraverso la simulazione numerica al calcolatore. Siamo partiti dunque dalla stessa miscela utilizzata da Stanley Miller e dopo una serie di calcoli complessi, si è determinata la trasformazione delle molecole del sistema iniziale in altre via via più complesse fino alla comparsa della glicina, il più semplice degli amminoacidi. Il nostro studio è durato più di un anno e sicuramente la scoperta ha riscosso un’eco inaspettata perché riguarda un argomento sentito e affascinante, l’origine della vita».

Qual è la portata di questo studio e cosa aggiunge all’esperimento di Miller-Urey?

«Grazie al nostro esperimento numerico, abbiamo capito ancor più nel dettaglio tutti i processi di reazione. Partendo da molecole inorganiche semplici, acqua, metano, ammoniaca ed idrogeno, cioè molecole che secondo la teoria di Oparin potevano essere presenti in una terra primordiale, il famoso “brodo” che Charles Darwin considera all’interno di un’atmosfera fortemente riducente, cioè con poco ossigeno (ipotesi oggi smentita dai più), Stanley Miller dimostrò che intense scariche elettriche, intese a simulare l’attività elettrica della terra primordiale, contribuivano in modo fondamentale alla formazione di molecole organiche. Noi siamo andati molto più a fondo perché abbiamo potuto studiare attentamente tutti gli stadi di reazione e rendendoci conto che in realtà il passaggio dall’inorganico all’organico risulta essere più complesso. Più complesso perché occorrono dei campi elettrici dell’ordine dei 50 MV/cm (milioni di volt su cm), per intenderci, equivalenti all’energia scaricata da un fulmine. Inoltre, lo studio ha messo in evidenza l’importanza di un elemento intermedio alla reazione, la formammide. La sua importanza deriva dal fatto che sembra che sia stata individuata nell’ambiente di una protostella di tipo solare. La formammide potrebbe quindi essere considerata “l'impronta digitale” della presenza di amminoacidi di origine abiotica in un ambiente extraterrestre. Anche questo spiega l’interesse di riviste scientifiche come l’Astrobiology magazine. Per riassumere, potremmo dire che, partendo dall’esperimento di Miller, abbiamo identificato nel processo di reazione, elementi che non si pensava potessero essere importanti. Dopo il successo dell’esperimento del ’53, molti studiosi pensarono che l’elemento fondamentale della reazione fosse la formaldeide. In realtà, nel nostro studio l’elemento che assume una rilevanza preponderante nel passaggio dall’inorganico all’organico è la formammide, la cui importanza nella produzione di RNA è stata di recente sottolineata da uno studio condotto dal gruppo di studiosi che fa riferimento al Professore Di Mauro e al Professore Saladino. L’innovazione rispetto all’esperimento di Miller sta anche nell’aver individuato l’intensità del campo elettrico, necessaria affinché si manifesti tale reazione. Senza una fonte di energia esterna, non avverrebbe nulla. Questo è un passaggio fondamentale. A differenza di Miller e grazie alla simulazione numerica abbiamo potuto seguire le varie fasi della reazione, una cosa impensabile durante un esperimento in laboratorio».

Quale sarà il passo successivo, il progetto di ricerca continuerà o si svilupperà in altri campi?

«Continuerà certamente la collaborazione con il gruppo del Professore Saitta, anche lui come me laureato all’Università di Messina, nonché l’interazione con il gruppo del Prof. Giaquinta del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra del nostro Ateneo. La nostra ricerca proseguirà su questa strada, attraverso l’utilizzo della simulazione numerica quantistica, per andare a studiare altri tipi di processi fondamentali. Questo studio ed il metodo della simulazione numerica quantistica hanno assunto un ruolo nodale in altri campi dall’elettrochimica a alla geochimica prebiotica. Infatti, poiché campi elettrici estremamente intensi, anche se molto localizzati, sono presenti in natura sulla superficie dei minerali che si trovano nelle profondità della Terra, è possibile che ci siano le condizioni simili a quelle del brodo primordiale. Ciò suggerisce dunque la necessità di esplorare a fondo il funzione di tali campi».

Gabriele Quattrocchi

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