Sulla rotta della decima musa. "Colpa delle stelle"

Sulla rotta della decima musa. “Colpa delle stelle”

Tosi Siragusa

Sulla rotta della decima musa. “Colpa delle stelle”

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lunedì 29 Settembre 2014 - 12:30

Tratto dal romanzo per ragazzi di John Green, il film si caratterizza per la delicatezza del tocco e i toni disincantati con cui è narrata la vicenda di due giovani innamorati malati di cancro

Dal romanzo per ragazzi di John Green sulla tenera e interrotta storia d’amore fra due adolescenti malati di cancro, il lungometraggio omonimo “The Fault in Our Stars”, arrivato nelle sale cittadine già da qualche settimana, firmato da Josh Boone e interpretato da due giovani promesse del cinema USA, Shailene Woodley e Ansel Elgort, non è conforme al filone dei cancer-movies – recentemente ambientati nel mondo dei teenager – discostandosene (fortunatamente) per la delicatezza del tocco ed i toni sempre disincantati e ironici, che mai però divengono cinici, con cui è raccontato l’amore, che irrompe improvviso, in due giovani esistenze segnate dalla malattia.

Il personaggio femminile, Hazel Grace, è ispirato alla breve vita di Esther Grace Earl, deceduta all’età di 16 anni nel 2010, alla quale è anche dedicato il romanzo, e come lei ha un cancro alla tiroide e polmoni mal funzionanti, che la obbligano a portarsi dietro una bombola d’ossigeno, all’interno di un trolley ed a girare con i tubicini al naso. I genitori (la madre è l’ottima Laura Dern) la spingono a frequentare un gruppo di assistenza psicologica e lì avviene l’incontro inaspettato con Gus, affetto da un cancro osseo, che l’ha reso invalido per la perdita di una gamba, mettendo così il sigillo alla sua promettente carriera nel basket. Hazel lo mette a parte della sua ossessione per il romanzo di Peter Van Houten, “An Imperial Affliction” e, grazie all’intervento dell’innamorato ed alle premure familiari, potrà finalmente coronare il sogno di una vita di conoscere quell’autore ad Amsterdam, ove vive da recluso.
Il disincanto di quell’incontro con un forte bevitore pieno di livore per il suo vissuto, reso da un impeccabile William Dafoe, è stemperato dalla storia gentile e lieve che i protagonisti riescono a vivere pienamente, pur se per un tempo finito e contrassegnato da brevità e con consapevolezza della morte incombente: i loro sguardi sul mondo e sul loro amore sono tuttavia pieni di fantasia e appassionati … quasi subito ci sarà (a sorpresa) un solo sopravvissuto … con la quasi certezza che non lo sarà per molto ancora, ma che con dignità deve, per il limitato tempo residuo, condurre dignitosamente l’esistenza.

Sarebbe stato facile scivolare nell’artificioso dispiegarsi dell’amore interrotto a causa di una grave malattia (peraltro reciproca), gli sceneggiatori Scott Neustadter e Michael H. Weber hanno invece saputo destreggiarsi con grazia per evitare l’effetto melassa e se una pecca si vuol trovare è certamente nella poca aderenza dell’opera alla realtà per la raffigurazione di due malati terminali sempre belli e amabili, mai veramente resi brutti, amari e aspri … nonostante le contingenze … anche se tale dissonanza è solo apparente, se si pensi che l’amore trasfigura veramente le loro realtà, rendendole accettabili,e che la loro passione, al di là del banale sentimentalismo, è veramente salvifica.
Le eccellenti musiche, per le quali sono stati reclutati giovani e quotati interpreti, contribuiscono certamente a segnare indelebilmente nella nostra memoria i fotogrammi di questo drammatico lungometraggio – con flashback impietosi, ma anche tocchi soavi di humour, soprattutto nelle scene goliardiche, quando il campo si allarga anche all’irresistibile e malatissimo amico Isaac – blockbuster dell’estate americana.

Tosi Siragusa

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