Penelope vs Ulisse al Tindari Festival con Viola Graziosi e David Coco

Penelope vs Ulisse al Tindari Festival con Viola Graziosi e David Coco

Tosi Siragusa

Penelope vs Ulisse al Tindari Festival con Viola Graziosi e David Coco

mercoledì 20 Agosto 2025 - 20:55

In scena la grigia attesa di Penelope quale unico modo per tenere Ulisse per sempre nel suo cuore

PATTI – “Ulisse vs Penelope” al Tindari Festival. Letture drammatizzate d’eccellenza per la sezione Tindari Off, nel riadattamento con drammaturgia ben concepita di Giuseppe Dipasquale nella mise en scène nella Chiesa dell’ex Convento San Francesco di Patti la sera del 17 agosto, in una location ripensata per l’occasione a causa del sospetto mal tempo; una grandissima Viola Graziosi, nel ruolo di Penelope, davvero in parte, ha affiancato magistralmente l’altro coprotagonista, David Coco negli scomodi panni di Ulisse.

L’unico modo per trattenere Ulisse nel proprio cuore è l’evocazione dell’ombra di Ulisse, che secondo la tradizione classica omerica ha patito la lontananza dalla sua sposa e dal proprio figlio Telemaco, pur se i dieci anni che hanno contrassegnato il suo ritorno in patria, dopo il decennio bellico, sono stati altresì oggetto di mitiche imprese, per saziare lo smisurato desiderio di conoscenza.

Penelope esordisce così dinanzi al fantasma dell’amato marito, ma si intuisce già dalle prime battute che non si assisterà ad un mero confronto, ma ad una resa dei conti, per il tormento interiore dalla stessa maturato durante i vent’anni. E poi un alternarsi di dialoghi, attraverso i quali l’Eroe tenta di andare oltre la diffidenza della Regina, raccontandole la verità di quegli ultimi tribolati dieci anni. Penelope continua a stare sulla difensiva, rinfacciando al re di esser sola in balia dei Proci… e solo questa è per lei la tragica realtà. Ulisse prosegue allora rievocando l’ulivo piantato a seguito delle loro nozze, che avrebbe dovuto veder crescere i loro figli e nipoti, rappresentando simbolicamente il loro legame, e sostiene di aver attraversato vent’anni di peripezie solo per rivedere l’amato volto della moglie, sua bussola, della quale loda la fedeltà silenziosa, che aveva rappresentato una spinta al proprio ritorno.

Penelope però lo redarguisce poichè Ulisse è oramai un Eroe stanco “tout court” e lei stessa una donna che ha imparato a vivere da sola. Penelope, senza abbandonare la razionalità afferma che tanti si sono proclamati eroi, salvo poi…

Penelope sembra aver messo la sordina sul passato rapporto, non vuole ricordare il rievocato letto nuziale, né gioire di quel ritorno e sostiene che Ulisse dovrebbe guardarla negli occhi, per poter davvero comprendere.

Sembra di assistere ad un dialogo fra sordi, ove vanamente il consorte tenta di blandire la sposa, che ha saputo tessere la speranza, ma Penelope esige il racconto delle sue avventure, vuole più di una prova… e allora si parte dal viaggio di ritorno, dopo la vittoria contro Troia, attraverso luoghi ove il bottino vinto attira però nuove sciagure.

L’Eroe non cela la propria cieca volontà di predominio, di lasciare un segno, in ragione di un demone che segue e precede le proprie gesta; fa cenno dell’orgoglio ferito del condottiero Menelao per un fantasma di donna e procede nella narrazione rievocando i mangiatori di loto, destinati a far cessare la nostalgia. Confessa che nei dieci anni di guerra aveva ininterrottamente sognato il focolare ad Itaca, poi ecco intercorrere l’inganno soave della pace, e con piglio fiero racconta di esser riuscito a portare via da quel luogo di oblio i propri compagni, fino ad approdare alla terra dei Giganti, di Polifemo, ove molti dei suoi compagni erano stati divorati, e lui stesso si era salvato con l’astuzia di dichiarare al mitico mostro di chiamarsi Nessuno, salvo poi, già allontanatosi, in balia dell’ambizione, aver rivelato il proprio nome, di esser cioè, orgogliosamente, Ulisse figlio di Laerte, e suscitando così, da quel momento in poi, l’ira del padre di Polifemo, Poseidone.

Penelope controbatte allora che anche lei per vent’anni, in un mondo dominato dagli uomini, aveva dovuto ingannare a proprio modo i Proci e sfida Ulisse a riprendere il gioco narrativo. Eolo, dice allora il Re, aveva donato un otre per ingabbiare i venti, ma a seguito di apertura dello stesso da parte di un compagno, i venti avevano ripreso a infuriare. La disobbedienza – egli dice – è una vis distruttiva e ricomincia a lusingare Penelope rassicurandola anche di aver ben compreso la lezione, e di possedere ora il riscatto della consapevolezza dei dolori patiti e causati. La sua storia prosegue con le vicende di una nuova navigazione per giungere all’ isola di Circe, la mitica Eea. Penelope si fa a questo punto particolarmente attenta e il marito parte da molto lontano nel descrivere il rapporto con la celebre maga, per lui una compagnia saggia, diversamente dalla ascoltatrice per la quale l’aspetto peculiare di quel loro rapporto sarebbe stato invece definito dall’attrazione… una compagnia molto allettante. Ulisse resiste prima di confessare, ammettendo l’estrema bellezza della deità e l’incanto di quella sua dimora, schermendosi di essersi solo sentito sollevato dopo tanta erranza per quella calda accoglienza. In ragione dell’insistenza di Penelope sul loro sussistente desiderio sessuale, Ulisse, che maneggia molto bene anche le parole, giunge infine a confessare e Penelope, secondo la quale la verità del marito sembra esser divenuta un’arte da brandire a proprio piacimento, dichiara che a un certo punto per le donne qualcosa si spezza .Ulisse addiviene all’ammissione, non solo dunque la ricerca di conoscenza, a muovere il proprio sentire, ma sconfinata ammirazione per quella bellezza di non mortale. In quell’isola, egli continua, il tempo si era fermato, dopo la guerra e le avventure precedenti voleva solo dimenticare, e i cibi, l’amore e l’incanto della presenza di Circe lo avevano avviluppato, facendolo cedere al conforto di quel corpo. Ulisse sostiene però che il suo amore per Penelope non vacillò mai pure in quella lusinga di sogno e la sera si ritrovava a desiderare sempre di tornare dalla sua sposa.

Penelope lo spinge allora a proseguire in quel racconto, ed ecco prender corpo l’incontro con le Sirene e Scilla e Cariddi, delle quali conosceva le insidie. Per aggirare il pericolo di quegli esseri semi-mostruosi, racconta di aver dovuto tappare le orecchie dei compagni e di essersi fatto legare all’albero maestro. Rievoca ancora quella sua antica smania di superare i limiti della mente umana e la sua insaziabile curiosità: quanto a Scilla e Cariddi, la prima con 12 zampe e 6 teste, e la seconda atta a inghiottire le navi, si era infine lasciato alle spalle anche tale pericolo. Poi, a seguito dell’oltraggio dei compagni alle sacre giovenche, solo Ulisse si era salvato e per nove giorni e nove notti aveva navigato fino all’isola della Ninfa Calipso, ove si era fermato per sette anni. Magnificente e bella la Dea aveva acceso il suo cuore, gli si era unitamente alla promessa di immortalità, ma il cuore dell’Eroe apparteneva a Penelope e Telemaco, pur se era molto forte la lusinga di sfuggire alla mortalità, alla condizione di umana fragilità e divenire divino. Il pensiero però di Penelope che sarebbe invece invecchiata gli aveva fatto scegliere la mortalità, unica capace di rendere la vita preziosa. Penelope sottolinea allora la interminabile lunghezza di quel periodo, un settennio, un’eternità. La piece procede su questa falsariga, con Ulisse che rivendica il desiderio, mai affievolitosi, per la consorte, e Penelope che rimane congelata in un fermo distacco. Zeus aveva fatto poi allontanare l’Eroe da Calipso e facendogli raggiungere la terra dei Feaci, regno di Alcinoo e della figlia Nausicaa che gli donarono una nave per fare ritorno.

Ulisse invoca la propria paziente attesa che aveva mosso quel suo lungo peregrinare, con il desio di lei, e Penelope si adira, rivendicando, invece, la propria pazienza. Per lei Ulisse è stato solo un marinaio che si è adattato alla tempesta, la propria pazienza era stata davvero differente, atta alla difesa del focolare e del figlio: aveva atteso per non soccombere.

Penelope sostiene poi che il periodo intercorso da separati è stato oltremodo eccessivo per un cuore che si professa colmo di nostalgia e che non ravvisa alcuna luce nei suoi occhi, e, pur se il consorte dice di esser ora qui, lei vede solo delle mani segnate, una voce stanca e non riconosce quell’ombra, gli è estraneo quell’uomo, è solo un fantasma che somiglia ad Ulisse.

Penelope, come nell’incipit, interpreta magnificamente, non legge soltanto lo script e sostiene infine che accettare il ritorno di quel simulacro servirebbe solo a farle perdere il ricordo del suo Ulisse, che vuole preservare, e che è proprio giunto allora per lei il tempo della fine di quell’amore
Trovano così consona soluzione le tormentate prove di un ritorno, che per Penelope non troverà compimento. La coppia mitica si è spezzata, e la Regina non sarà il premio dell’Eroe vittorioso, il mito non trova compimento per la acquisita consapevolezza di Penelope, che ha messo in discussione la relazione con il consorte, non accettando più di esser solo custode della memoria di quella loro storia. Il senso del ritorno è indagato davvero compiutamente, e si riesce bene a mettere il focus sulle contraddizioni della figura di Ulisse.

La scena è essenziale, evidenziando con ciò l’importanza valoriale della parola, e soprattutto riuscendo a fare emergere fortemente la tensione emotiva fra i due protagonisti, fissandola nel suo accrescersi. Non si può che lodare allora il minimalismo scenico in rapporto all’elemento verbale e elogiare la resa attoriale di entrambi gli interpreti, con una Penelope divenuta finalmente determinata, in tutte le sue stratificazioni, e un Ulisse appesantito da quelle sue memorie e dai nodi irrisolti del suo essere duale. Il tema della scelta appare il perno della drammaturgia, in uno con l’elemento identitario.

La performance, molto partecipata, con applausi prolungati da parte di un pubblico entusiasta, può ben iscriversi fra le tante riscritture di questa storia, al termine della quale Penelope sembra esser divenuta l’Eroe.

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