Atm, cronistoria di una crisi sempre più profonda

Atm, cronistoria di una crisi sempre più profonda

Redazione

Atm, cronistoria di una crisi sempre più profonda

venerdì 07 Dicembre 2007 - 15:35

Nel 2003 la città inaugurava il tram, nel 2005 Cardile presentava un nuovo piano industriale. Ma l'azienda era già avviata verso il baratro

«Si rischia di spostare l’attenzione dal problema reale, che è rappresentato dalla mancanza di un piano aziendale e di un programma organico per lo sviluppo dell’Azienda trasporto. Tutto ciò ai danni dell’utenza». La dichiarazione dei sindacati non è di oggi o di ieri, ma dell’11 maggio 2004, ovvero quando il commissario del Comune non era Gaspare Sinatra ma Bruno Sbordone e il presidente dell’Atm non era Franco Providenti ma Giuseppe Cardile. Come dire, cambiano gli attori ma il film, desolante, è sempre lo stesso. Il che aggrava ancora di più il fatto che si sia arrivati a questo punto, in cui l’Atm è con l’acqua alla gola e rischia concretamente di chiudere i battenti.

I guai dell’azienda trasporti, come si può ben capire, hanno radici molto profonde. La svolta che avrebbe dovuto essere positiva e rilanciare il sistema trasporti locale fu quando, a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, a Messina si decise non solo di realizzare il tram, ma di affidarne in toto la gestione ad un’azienda che, invece, si sarebbe rivelata impreparata. Il 3 aprile 2003 veniva inaugurata la nuova tranvia, ma la svolta, in realtà, risultò essere negativa. Oggi la dirigenza dell’azienda lamenta un fatto oggettivo: il tram ha sostituito il famoso “28- in tutto e per tutto, ma non nei bilanci. Se, infatti, per il percorso del 28 la Regione riconosceva un contributo all’Atm proporzionato al suo chilometraggio (come legge prevede), non altrettanto fa per il tram, con il risultato che nelle casse dell’azienda vengono a mancare 800mila euro all’anno. A questo va aggiunto un altro dato, più volte ribadito in questi giorni: nonostante i costi siamo notevolmente aumentati negli ultimi anni (per il gasolio, ma non solo), dal 1999 i contributi comunali e regionali sono sempre gli stessi. E come ormai è risaputo, dall’anno prossimo non ci saranno più nemmeno quelli, almeno da parte della Regione, perché l’Atm non si è premurata a divenire Spa.

Non bastano certo questi fatti a spiegare lo stato disastroso a cui si è giunti. E’ inevitabile che alla base ci sia una catena di concause, che non possono non investire anche la parte politica. Negli ultimi mesi è stato sollecitato da più parti un nuovo piano industriale per l’azienda. Eppure già il 15 settembre 2005 veniva presentato, rifacendoci alle parole dell’allora presidente Giuseppe Cardile, «un piano industriale che servirà a risanare l’azienda e offrire un servizio di trasporto pubblico più efficiente rispetto a quello attuale». Ecco cosa prevedeva: entro il dicembre di quell’anno (ricordiamo e sottolineiamo, il 2005!) la creazione della Spa, nel 2006 la separazione dell’officina dal settore trasporto pubblico attraverso una nuova società, nel 2007 la privatizzazione e la creazione di un’agenzia con competenze sulla manutenzione per conto terzi, il verde pubblico e accordi commerciali con altre società. Quel giorno Cardile annunciava anche l’ottenimento di un finanziamento di 4 milioni e mezzo di euro per la realizzazione di un autobus a idrogeno. A più di due anni di distanza la Spa è ben lungi dall’essere realizzata, l’officina è ancora parte integrante del settore trasporto pubblico, non è nata nessuna agenzia e di autobus a idrogeno nemmeno l’ombra.

L’unico cambiamento di quel dicembre fu rappresentato dalle dimissioni di Cardile, in coincidenza con l’insediamento del nuovo sindaco Francantonio Genovese, il quale attenderà più di due mesi per nominare Franco Providenti nuovo presidente dell’azienda. Circa 20 giorni dopo il suo insediamento, Providenti stesso presentava a Palazzo Zanca il progetto “Mata e Grifone-, realizzato in collaborazione con il Cnr, in cui si annunciava entro la fine del 2007 la realizzazione di due prototipi di autobus ecologici, a idrogeno e ad energia elettrica. Niente da fare anche qui. E in quell’anno ricominciavano a farsi sentire i sindacati, arrivando a novembre con nuovi problemi nel pagare gli stipendi. In quel caso a metterci una pezza sarebbe stato il sindaco Genovese, il quale però ammetteva che tra le aziende municipalizzate l’Atm era quella più rischio. Tutto questo mentre, dietro le quinte, procedevano le operazioni per effettuare una transazione tra il Comune e l’Atm di tre immobili (sede di via La Farina, Cavallotti, officina) per un valore patrimoniale totale stimato in 16 milioni di euro.

Il 18 dicembre 2006 il patatrac: il consiglio comunale bocciava, per la prima volta nella storia, sia il conto consuntivo 2005 che il bilancio previsionale 2006 dell’Atm, dopo che anche il bilancio 2004 era stato rispedito al mittente. In quell’occasione Genovese ribadiva: «Il nostro obiettivo è arrivare immediatamente alla Spa». Il tutto poi sarebbe rientrato, perché si era trattato di una sorta di “pasticcio- (casuale?) di carte: nel primo “previsionale- l’Atm chiedeva 16,4 milioni al Comune, il quale però nel proprio bilancio ne prevedeva 13,7. Allineate le cifre, i bilanci passarono, ma suonava un primo campanello d’allarme. Tra l’altro quella somma di 13,7 milioni, non sarebbe stata nemmeno rispettata, perché a ottobre di quest’anno il consiglio comunale decideva di decurtarla di 1 milione e duecentomila di euro.

Proseguendo nella cronistoria, il 2007 si conferma un anno difficile per l’azienda. A giugno scoppia il caso di presunte promozioni di personale, deliberate dal Cda e poi, in seguito alle proteste dei sindacati autonomi, in fretta e furia revocate. Uno dei tanti segnali di una gestione del personale che ha spesso lasciato a desiderare. Nello stesso mese la Uil lancia un ulteriore allarme: «L’Atm sta morendo», puntando il dito anche contro l’inerzia del sindaco Genovese. E’ solo l’antipasto della lettera che a fine luglio i confederati inviano al primo cittadino: «In queste condizioni e senza un serio progetto di rilancio, l’Atm non ha futuro ed è dunque prossima alla liquidazione». Un’ipotesi, secondo Cgil, Cisl e Uil, che «sarebbe certo gradita a quegli imprenditori che sperano da tempo di potersi spartire le residue attività redditizie che ancor oggi detiene l’Atm». La situazione va sempre più degenerando: il 19 settembre viene approvato un nuovo piano tariffario che abbassa i costi degli abbonamenti e inserisce la novità del biglietto da 50 centesimi per una singola corsa, a ottobre il Consiglio delibera la decurtazione a cui abbiamo accennato, mentre pochi giorni dopo viene a mancare, con la decadenza del sindaco Genovese, della giunta e del consiglio, l’interlocutore col quale portare a termine la famosa transazione. Inizia a serpeggiare la preoccupazione, gli stipendi non arrivano e non si vede come, entro fine anno, l’Atm possa giungere alla trasformazione in Spa.

Così si giunge ai fatti di cronaca di questi giorni. Il 26 novembre scorso in prefettura si incontrano il prefetto Francesco Alecci, il commissario Gaspare Sinatra e i vertici dell’azienda, un summit che il segretario della Cisl Maurizio Bernava definisce «avvilente». Non a caso nella manovra di assestamento di bilancio da 6 milioni di euro approvata pochi giorni dopo da Sinatra non si prevede nemmeno un centesimo per l’Atm. Ieri lo sciopero spontaneo che, senza preavviso, ha paralizzato il trasporto pubblico in città. Tutti, ormai, si affidano al prefetto Alecci, ma il dato (o il problema, fate voi) è che tutto, al punto in cui siamo arrivati, passerà dalle mani del commissario Sinatra. La storia continua… ma fino a quando?

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