Intercettazioni: esiste ancora il diritto alla privacy?

Intercettazioni: esiste ancora il diritto alla privacy?

Redazione

Intercettazioni: esiste ancora il diritto alla privacy?

mercoledì 25 Giugno 2008 - 11:26

Importanti e decisive saranno le conclusioni del dibattito apertosi sulle intercettazioni. Se da una parte, infatti, impedire al magistrato di intercettare le comunicazioni di persone sospettate di reato può facilmente garantire a molti delinquenti l’impunità; dall’altra parte appare altrettanto evidente che la pubblicazione delle intercettazioni sui giornali di fatto cancella il diritto alla privacy delle persone, valore imprescindibile che sta a fondamento di ogni società civile. In questo modo si corre un rischio enorme: quello di trasformare i processi in farse colossali, dove ogni giudice viene sottoposto a fortissime pressioni da parte dell’opinione pubblica ammaestrata dai giornali. Così che la colpevolezza di un imputato non sarà decisa secondo le regole del diritto, ma sulla base di pubblici linciaggi. Scendendo più nel particolare della questione, ci sono ulteriori aspetti da prendere in considerazione. Il nostro ordinamento giuridico mette a disposizione della Magistratura numerosi strumenti finalizzati ad impedire la commissione di eventuali ulteriori reati da parte di chi è solo semplice sospettato di un crimine. Dunque la pubblicazione di conversazioni private serve solo a stendere una sentenza di colpevolezza preventiva nei confronti di qualcuno. Sentenza che viene scritta, si badi bene, non da giudici ma da giornalisti! Se il cittadino deve farsi un’idea sulla bontà o meno di una personalità pubblica non dovrebbe basarsi su quanto scritto da un giornalista (che detiene anche il potere di scegliere cosa pubblicare e cosa omettere – non è infatti tenuto come il giudice a valutare tutti gli elementi di prova), bensì dovrebbe prendere in considerazione i provvedimenti (anche cautelari) emessi dai giudici. Un bravo Pm non deve servirsi della solita “fuga di notizie- per avallare la sua tesi accusatoria di fronte al giudice, bensì affidarsi esclusivamente alla propria capacità di trovare le prove a fondamento delle accuse che rivolge ad una persona. Inoltre, la fuga di notizie può facilmente mettere in preallarme chi delinque. Innanzitutto, la pubblicazione a cadenza mensile sui giornali delle intercettazioni delle conversazioni tra Tizio e Caio o tra Sempronio e Nevio, rende sicuramente più prudenti i criminali non ancora spiati. In secondo luogo il magistrato che passa le informazioni al giornalista sicuramente creerà quell’alone di colpevolezza intorno al suo “obiettivo-, ma allo stesso tempo pregiudicherà la possibilità che quest’ultimo continui a fare altri passi falsi. Insomma, il Pm può anche essere in buona fede e, ritenendo provata la colpevolezza del “suo- uomo, valutare opportuna la pubblicazione di prove schiaccianti non per forza fatta ai fini di influenzare il giudice o di uscire come un supereroe, ma anche solo dettata da valutazioni inerenti alla necessità che la pubblica opinione sia informata di certi accadimenti; ma anche in questo caso la domanda che sorge spontanea è questa: così facendo il magistrato non si erge forse a censore morale travalicando in modo esplicito le sue funzioni di giudice del diritto? E, poi, dal punto di vista tecnico-giuridico quale utilità si pensa di ricavare dalla pubblicazione di un’intercettazione al fine del buon esito di un’indagine?

Infine non possiamo esimerci dal sottolineare come la trascrizione di una conversazione intercettata presti il fianco, spesso e volentieri, ai fraintendimenti più vari. Innanzitutto non appare sempre facile capire l’oggetto di una conversazione. Per esempio dal dialogo tra due individui potrebbe evincersi il riferimento ad una persona nota a chi spia, quando in realtà le due persone si riferivano a tutt’altra persona. Ma si pensi anche alla possibilità che la persona spiata racconti frottole al suo confidente, per esempio dicendo di sapere chi sia l’autore di un omicidio, o addirittura auto-accusandosi di un reato in realtà non commesso. Senza poi tralasciare l’ovvia considerazione che dalla trascrizione di un dialogo non si può dedurre il contesto dello stesso, il tono, e tanti altri importanti particolari (una cosa è dire “Si, ho ucciso Tizio, lo ammetto- ridendo, un’altra è pronunciare la stessa frase in tono serio). Un magistrato ha la possibilità e, soprattutto, il dovere di considerare tutti questi fondamentali elementi, prima di valutare come prove o come indizi le conversazioni oggetto di intercettazione. Ma il giornalista invece?

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