Presunti brogli, il Tar dà ragione alla MetroCity di Reggio

Presunti brogli, il Tar dà ragione alla MetroCity di Reggio

mario meliado

Presunti brogli, il Tar dà ragione alla MetroCity di Reggio

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giovedì 10 Giugno 2021 - 18:49

«Manifestamente inammissibile» il ricorso con cui Nuova Italia Unita, impugnando l'elezione dei metroconsiglieri, ha tentato di saltare quella al Comune

Niente da fare per Nuova Italia Unita, a proposito dei presunti brogli elettorali alle Comunali dell’ottobre scorso i magistrati amministrativi della sezione reggina del Tar calabrese hanno dato ragione alla Metrocity di Reggio Calabria.
Al di là del merito del provvedimento, depotenziate sul nascere le proteste che perfino l’ala radicale della Sinistra avevano preannunciato per l’inizio di luglio. E lo stesso Consiglio comunale “aperto” da tempo richiesto dal centrodestra si svolgeranno con un’Amministrazione che fin qui aveva rinviato sine die, si svolgerà col centrosinistra in grado di partire da “più uno”.
Ad avanzare il ricorso alla magistratura amministrativa erano stati Fortunato Stelitano, Luigi Catalano, Maurizio Ferraro e Roberto Castaldo, rappresentati e difesi dall’avvocato Sara Franchino. Catalano, in particolare, ex sindaco di Calanna, Luigi Catalano è il coordinatore regionale di Nuova Italia Unita. E in tale veste aveva “speso” molto il proprio impegno rispetto a questo ricorso.

Nel ricorso, era stato chiesto l’annullamento della proclamazione degli eletti quanto alle metroelezioni del 24 gennaio scorso. Tornata elettorale che, com’è noto, incarna elezioni “di secondo grado”. I votanti non sono dunque i cittadini ma i sindaci e i consiglieri comunali del Reggino; così come solo amministratori possono candidarsi alla carica di consigliere metropolitano.
Era stata impugnata la proclamazione dei consiglieri metropolitani perché, in questo modo, era stato simultaneamente impugnato «ogni atto pregresso, presupposto, successivo, necessario, prodromico e/o consequenziale, tra cui l’atto di proclamazione delle elezioni comunali di Reggio Calabria svoltesi lo scorso 20 e 21 settembre 2020».

La tesi di fondo dei ricorrenti – che avevano avanzato la propria istanza il 25 febbraio scorso «nella qualità di elettori e/o candidati alle elezioni comunali di Reggio Calabria del 20-21 settembre 2020» – era che quelle votazioni risultassero «irrimediabilmente viziate» a causa di una proclamazione «irregolare» di sindaco e consiglieri. Questo a causa della successiva inchiesta sui presunti brogli elettorali che aveva portato all’arresto di Nino Castorina e Carmelo Giustra. In particolare, secondo i ricorrenti risulterebbe ormai «provata la falsità dei voti espressi per conto di soggetti mai recatisi alle urne (in alcuni casi persino deceduti alla data delle elezioni)». E questo varrebbe pure per l’«illegittima designazione dei presidenti di seggio delle sezioni interessate dalle indagini».
Da queste «gravi irregolarità» sarebbe derivata l’illegittimità della proclamazione degli eletti.

Di qui la richiesta di «sostituzione dei candidati illegittimamente eletti» ovvero d’«integrale annullamento del risultato elettorale» quanto alle Comunali. La proclamazione degli eletti al Consiglio comunale è stata peraltro impugnata con altro ricorso (che ha a sua volta avuto esito negativo). Un’ulteriore richiesta riguardava la riunione dei due giudizi.
Intanto, però, in un’udienza a fine maggio furono rilevate d’ufficio varie questioni circa notifiche mancanti o carenti. Adesso, dopo l’udienza tenutasi ieri, il collegio presieduto da Caterina Criscenti sancisce intanto di non dover disporre la riunione dei due giudizi. Questo, «riguardando essi due diversi procedimenti elettorali e sussistendo, peraltro, solo una parziale identità soggettiva delle parti in causa».
Dopodiché, nessun dubbio: il ricorso di Catalano & C. è valutato «manifestamente inammissibile».

Varie eccezioni sono infatti ritenute più che fondate dai giudici amministrativi reggini. Intanto, il difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti, che non potevano chiedere l’annullamento di una tornata elettorale – quella metropolitana – in cui non erano né elettori né candidati. Ma il ricorso è inammissibile anche perché la convocazione dei comizi elettorali relativi al rinnovo del Consiglio metropolitano non è stata impugnata. Le censure legate alla presunta illegittimità della proclamazione del Consiglio metropolitano a causa dell’invalidità dell’elezione di sindaco e consiglieri comunali arrivano «ben oltre il termine decadenziale». E per la sezione reggina del Tar calabrese va senz’altro escluso «che possa essere accertata in via incidentale l’illegittimità di un provvedimento amministrativo non ritualmente né tempestivamente impugnato».
L’iter logico, a questo punto, conduce i magistrati amministrativi a bollare come inammissibile anche l’istanza principale circa l’annullamento dell’elezione di sindaco metropolitano e consiglieri metropolitani. Elezione peraltro non oggetto di rilievi specifici, ma solo in funzione dell’eventuale dichiarazione d’illegittimità della proclamazione di sindaco e consiglieri comunali.

Uno dei punti focali, però, riguarda l’impensabile connessione tra i profili penalistici che lo svolgimento di una tornata elettorale può assumere e quelli amministrativi. «La giurisprudenza ha, tuttavia, chiarito che il giudizio amministrativo, anche quello elettorale, è naturalmente indipendente da quello penale». L’esistenza di un’inchiesta, dunque – anche su fattispecie «di rilevante gravità», scrivono i giudici amministrativi –, «non vale di per sé a dimostrare l’illegittimità dell’atto amministrativo impugnato».
In buona sostanza, i ricorrenti avrebbero avuto una sola via davanti a sé: attestare «come» fatti e condotte «si fossero tradotti in profili d’illegittimità» prima delle Comunali e, «in via derivata», delle metroelezioni. I motivi d’impugnazione devono «essere “specifici”», rammentano dalla sezione reggina del Tar calabrese; e questa «è una regola generale del sistema processuale amministrativo posta a pena d’inammissibilità del ricorso». Il che avrebbe significato non solo individuare fin dall’inizio gli ipotetici vizi, ma anche «le schede e gli atti in cui essi si annidano non essendo consentito che tali contenuti, indeterminati e generici ab origine, vengano specificati in corso di causa».
Il ricorso e i motivi aggiunti, però, non vanno in questa direzione.
Anzi, secondo il collegio presieduto da Caterina Criscenti, quelle mosse dagli istanti si caratterizzerebbero come «censure generiche e indeterminate». Tantomeno si può rimandare ai presunti vizi individuati dall’inchiesta penale: la giurisdizione penale e quella amministrativa, come già esposto, «operano su piani distinti e non sovrapponibili».

Ma ricorso e motivi aggiunti vengono rinviati al mittente «anche per non aver dato atto del superamento della prova di resistenza, ovvero della reale incidenza dei vizi contestati sui risultati elettorali».
A maggior ragione, non si ravvisano «i presupposti per l’annullamento delle operazioni elettorali nel loro complesso o limitatamente alle sezioni interessate dalle indagini». Sì, perché la “prova di resistenza” nel giudizio elettorale richiede un «giusto contemperamento» fra l’esigenza di “ripristinare la legalità” rispetto alle operazioni elettorali e quella di «salvaguardare la volontà espressa dal corpo elettorale», recita una nota sentenza del Tar di Firenze (numero 1283 del 24 settembre 2019). Non possono quindi essere annullati i voti contestati, avevano chiarito già i magistrati amministrativi fiorentini, «qualora le illegittimità denunciate al riguardo non abbiano influito in concreto sui risultati elettorali».
In ballo, ci sono 100 voti: l’onere di dimostrare la loro «concreta incidenza» sull’esito elettorale gravava sui ricorrenti. Che, a ogni modo, per i giudici amministrativi di Reggio Calabria non l’hanno fornita.

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