Quando il Mediterraneo sforna dei cicloni dalle caratteristiche tropicali

Quando il Mediterraneo sforna dei cicloni dalle caratteristiche tropicali

Daniele Ingemi

Quando il Mediterraneo sforna dei cicloni dalle caratteristiche tropicali

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lunedì 09 Settembre 2019 - 07:36

Ecco la vera differenza fra i "TLC" mediterranei e i cicloni tropicali che nascono sull'oceano

Ancora oggi quando si parla di “TLC” (“tropical like cyclone”) spesso si fa parecchia confusione, specialmente quando questo tipo di sistemi vengono associati ai tradizionali cicloni tropicali. Alcuni siti meteo, per ragione di click e pubblicità, addirittura si mettono a spacciare dei comuni cicloni mediterranei per dei uragani. L’unica vera differenza fra i “TLC” mediterranei e i tradizionali cicloni tropicali atlantici sta nella loro origine e nel meccanismo che ne determina il rapido approfondimento in mare aperto.

In molti casi i “TLC” non sono altro che delle tempeste “ibride” che presentano marcate caratteristiche sub-tropicali, caratterizzati da un’attività convettiva (nubi temporalesche) “asimmetrica” e da una “warm core” ben visibile nei medi e bassi strati. In alcuni casi però può capitare che la convezione attorno il nucleo centrale possa divenire particolarmente profonda, tanto da fare spiraleggiare il sistema sempre più velocemente, assumendo una struttura sorprendentemente simmetrica, con un perfetto “anello di convezione”, composto da nuvole torreggianti, che si chiudono a riccio attorno l’occhio centrale.

La spettacolare immagine satellitare del medicane Qendessa che nel novembre 2014 sferzò la Sicilia e Malta con venti fino a 151 km/h

Ma a differenza dei tipici cicloni tropicali nei “TLC” lo scoppio dell’attività convettiva, che può avvenire pure sopra mari tutt’altro che caldi per mantenere un ciclone tropicale (+20°C +21°C), viene prodotto dall’afflusso in quota, sopra la circolazione depressionaria, di aria piuttosto fredda, con valori non adatti a processi ciclogenetici tropicali. Difatti in questo caso è proprio questo afflusso di aria decisamente più fredda in quota ad innescare la profonda ciclogenesi sub-tropicale, che poi riesce ad evolvere in un autentico ciclone tropicale.

Questo flusso di aria fredda, soprattutto fra media e alta troposfera, determina una significativa intensificazione dei moti convettivi (correnti ascensionali) interni alla circolazione depressionaria. L’intensificazione di queste correnti ascensionali, prodotta dall’inasprimento del “gradiente termico verticale” e del “gradiente igrometrico”, contribuisce a riempire il nucleo depressionario di aria piuttosto calda e molto umida, fino ai medi e bassi strati, iniziando a creare un cosiddetto “warm core”, con temperature di oltre i +2°C +3°C (se non pure più) rispetto all’ambiente circostante.

La presenza di un nocciolo depressionario, a circa 5000 metri, ancora a prevalente carattere freddo, può inizialmente illudere sulla possibile ibridazione, tanto da far apparire il sistema, già con caratteristiche tropicali, in un comune ciclone extratropicale (sotto l’aspetto del processo dinamico). Ma non è così, visto che il processo di trasformazione (da “baroclino” a “barotropico”) può risultare molto complesso, tanto da rendere quasi indeterminabile il tipo di sistema in evoluzione.

Durante questa fase il ciclone ha cominciato ad avviare la cosiddetta “tropical transition”, ossia l’evoluzione da un sistema ciclonico “baroclino”, in un sistema “barotropico”, con un minimo depressionario molto profondo, consolidato sia al suolo che in quota, nel medesimo punto lungo tutta la verticale. Ma prima della trasformazione in un sistema depressionario di tipo tropicale, nella fase di ibridazione, i flussi convettivi di calore sensibile (aria calda) e latente (aria umida) in ingresso nel vortice ciclonico devono dominare sulle altre correnti, riempendo quest’ultimo di aria calda e molto umida che innesca il processo di “autoalimentazione”, tipico dei cicloni tropicali.

Una volta riempitosi di aria calda e molto umida, questa enorme quantità di energia termica incamerata dal piccolo ciclone favorisce la rapida formazione di enormi sistemi temporaleschi che cominciano a ruotare attorno al minimo di bassa pressione, ben riconoscibile dal tipico occhio centrale. Tutta questa energia potenziale viene trasformata in energia cinetica che produce un improvviso scoppio dell’attività convettiva (correnti ascensionali in rotazione vorticosa) attorno il centro della bassa pressione, comportando un notevole approfondimento di quest’ultima a seguito del calore latente sprigionato dalla condensazione del vapore acqueo messo a disposizione dalla calda superficie del mare.

In questo caso il ciclone diventa pienamente autonomo rispetto al contesto sinottico generale, prendendo la sua energia dal calore latente fornito dal mare. Di conseguenza la convenzione, forzata, esplode nel centro del sistema, il “gradiente barico orizzontale” attorno il ciclone si è rafforzato a dismisura, divenendo anche molto fitto, mentre i venti si sono intensificati improvvisamente fino a superare i 100-120 km/h, con veri e proprie bufere di vento, specie sul quadrante meridionale, che agevolano la formazione del tipico occhio del ciclone attorno le imponenti “torri temporalesche”, molto ben visibile dalle moviole satellitari.

Senza questo tipo di innesco dinamico in quota, rappresentato da un flusso di aria molto fredda e secca che dalla bassa stratosfera riesce a scivolare verso l’alta troposfera (“invasioni di aria stratosferica”), destabilizzando l’intera colonna d’aria, la formazione dei “TLC” e la loro successiva degenerazione in “Mediterranean Tropical Storm”, o più raramente in “Medicane” (uragani mediterranei), diventa quasi impossibile. Proprio per questo i “TLC” mediterranei possono nascere pure sopra mari freddi nel cuore della stagione invernale.

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