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Quartetto “Alla Maniera Italiana”. Raffinata musica da camera con strumenti originali

Il Quartetto d’archi “Alla Maniera Italiana”, composto da Giacomo Coletti e Stefano Raccagni al violino, Alessia Menin alla viola e Anna Camporini al violoncello, ha eseguito, su strumenti fabbricati come quelli del tempo, cioè con le corde di budello e archetti differenti, un programma classico, da Bach a Haydn, passando per il giovane Mozart..

Come ha ricordato il direttore artistico della Filarmonica Laudamo, Antonino Cicero, i quartetti d’archi, nel 700’, si eseguivano non nei teatri, bensì proprio in sale private, (non per nulla si chiama musica da camera), per cui assistere alla performance di questi giovani e bravissimi artisti in una sala di una storica villa messinese è stata un’esperienza dal sapore tutto particolare, affascinante e accattivante. Inoltre la vicinanza così prossima ai musicisti ha consentito agli spettatori di apprezzare le ampie sonorità degli strumenti ad arco utilizzati.

Il Quartetto d’archi ha iniziato il concerto con l’esecuzione di tre Contrappunti, il primo, il terzo e il nono, da “Die Kunst der Fuge” (L’Arte della Fuga) BWV 1080 di Johann Sebastian Bach.

Con questa monumentale opera, appartenente alla sfera della musica teorica, che può essere eseguita in svariati modi, dalla sola tastiera all’orchestra da camera, il musicista tedesco scandaglia fino all’inverosimile tutte le possibilità della fuga e del contrappunto: fughe naturali e invertite, aumentate e diminuite, a più voci (fino a quattro) etc. Rappresenta senz’altro il punto d’arrivo della scienza contrappuntistica barocca. Molto efficace l’esecuzione per quartetto d’archi, con gli strumenti che si alternano nelle singole voci e dialogano in contrappunto. Meravigliosa la resa della musica di Bach con gli strumenti originali. Entusiasmante in particolare il contrappunto n. 9, dall’andamento concitato, ove a turno gli archi si inseriscono suonando il tema originario, perseguendo un’armonia contrappuntistica senza eguali.

Il Quartetto K 156 di Wolfgang Amadeus Mozart, eseguito dopo Bach, è il secondo di una serie di quartetti detti “Milanesi” in quanto composti a Milano da un giovanissimo Mozart (sedici anni).

In tre movimenti, il quartetto costituisce un mirabile incontro fra la maniera italiana, all’ora in voga, un esempio per tutti Boccherini, e quella tedesca, sviluppata in quel periodo da Joseph Haydn. Ne scaturisce un brano di irresistibile freschezza, melodico, ma anche di complessa costruzione armonica, ove si ravvisano in nuce le straordinarie intuizioni musicali che porteranno Mozart a comporre i grandi futuri capolavori cameristici. Notevole lo sviluppo del primo tempo “Presto”, ove ogni strumento assurge a protagonista. Di rilevante interesse l’”Adagio”, brano eminentemente drammatico, in minore, che rimpiazzò un altro movimento lento composto originariamente dallo stesso Mozart. Più convenzionale il terzo movimento, un Minuetto, che contiene però al suo interno un delizioso secondo Minuetto (Trio) in tonalità minore. Il critico musicale Einstein scrisse che quest’opera, nel suo insieme, “Rispecchia cieli più azzurri di quelli che si possono trovare nella produzione haydniana”.

L’ultimo brano eseguito è stato il Quartetto in re magg. op. 20 n. 4 di Franz Joseph Haydn. Si tratta del quarto di una serie di sei quartetti, soprannominati “Quartetti del sole” per via di una decorazione del frontespizio di una ristampa.

Haydn, oltre ad essere considerato il padre della sinfonia e della forma sonata, può essere tranquillamente definito anche il padre del quartetto d’archi – ne ha composti 68 – in quanto per primo ha portato questo genere musicale a quell’evoluzione della quale saranno debitori tutti i grandi compositori successivi, a partire da Mozart e Beethoven, cioè l’equilibrio delle parti suddivise fra i quattro strumenti. Fu Joseph Haydn il primo a sviluppare la forma del quartetto d’archi ove ogni strumento ha pari dignità e dialoga con gli altri, e ciò avvenne inizialmente proprio con i sei quartetti op. 20.

La rivoluzione di Haydn è rappresentata dal fatto che i quattro strumenti dialogano, ciascuno con una propria autonomia e non in funzione di accompagnamento del solista, in modo tale che il discorso musicale viene distribuito e alternato fra tutti gli strumenti. Il n. 4, eseguito dal Quartetto “Alla Maniera Italiana”, in re maggiore, nei movimenti: “Allegro di molto”; “Un poco adagio affettuoso”, “Menuetto. Allegretto” alla zingarese – Trio”, e “Presto scherzando”, costituisce un esempio perfetto della nuova veste che il musicista austriaco ha dato a questo genere musicale.

In esso il compositore austriaco riesce a coniugare miracolosamente elementi seri e ironici, basti ascoltare l’incipit del primo movimento, che lascia indeciso l’ascoltatore sulla natura tragica o umoristica del brano. È un quartetto ricco di sorprese, di invenzioni, delle quali Haydn è sempre stato maestro. Il primo movimento, estremamente esteso, è di una costruzione formale perfetta, ma nel contempo ricco di spunti innovativi e sorprendenti. Il secondo movimento è un tema adagio sul quale Haydn sviluppa quattro mirabili variazioni. Il terzo “Alla zingarese”, è un brano brillante ed energico, mentre l’ultimo tempo è anch’esso ricco di sorprese, come l’incipit affidato solo al primo violino, e il ritmo all’ungherese che caratterizza il brano, con uno sguardo, come spesso avviene in Haydn, alla musica popolare, e uno a quella colta.

Eccellente prova dei quattro giovani artisti, che si sono dilungati anche a spiegare le peculiarità degli strumenti originali. Un affiatamento già solido, nonostante la giovane formazione del gruppo, ma soprattutto un piacere nel suonare, percepito in misura maggiore in una sala privata, che ci riporta ai tempi passati, al piacere di fare musica (pensiamo alle celebri “Schubertiadi”) un mondo che non è più, ma che può ancora rivivere in splendide serate come questa.