"Un autunno lungo un giorno" di Silvia Simona Biolcati Rinaldi (prima parte)

“Un autunno lungo un giorno” di Silvia Simona Biolcati Rinaldi (prima parte)

“Un autunno lungo un giorno” di Silvia Simona Biolcati Rinaldi (prima parte)

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lunedì 20 Aprile 2015 - 19:46

Un momento da dedicare a se stessi, un angolo dalle luci soffuse, per raccontarsi e raccontare, e ritrovarsi nei racconti degli altri. Inviateci pure i vostri lavori, romanzi o racconti a raccontodellasera@gmail.com: i migliori diventeranno Il Racconto della Sera.

UN AUTUNNO LUNGO UN GIORNO
Ogni giorno percorrevo quella strada, dopo aver attraversato circa cinque chilometri di campagna, tra strade dissestate e strette, tra rigogliosi cespugli e rovi trascurati tra i fossi, facendo attenzione agli animaletti selvatici che, indisturbati la attraversavano sentendola di proprio dominio, ed ogni giorno, inconsapevolmente giungevo in quel punto dove la mia strada si incrocio’ un giorno col destino, il mio e quello di altre persone precedentemente sconosciute, in quel punto il tempo si arrestava violentemente, ogni volta, come se un buco nero fosse in grado di inghiottire tutto, senza riuscire mai a colmarsi.
Sabato sera. Il primo di quel lunghissimo autunno, ancora abbastanza caldo per godersi una bella passeggiata tra le vetrine del centro dopo una cena con gli amici, ancora abbastanza tranquillo per decidere una strada alternativa tornando a casa; decidiamo di passare dalla campagna per guidare piu’ piano del solito e con i finestrini abbassati sentire i suoni e i profumi di quel paesaggio tipicamente padano.
Con gli occhi sono sulla strada, ma il pensiero va in altri luoghi, trasportato da quegli aromi che portano con se’ ancora un po di primavera, una primavera matura che non vuole saperne di mettersi a riposo, a tratti rivolgo lo sguardo al mio compagno, lo vedo sorridere e mentre scherza prendendomi in giro perche canticchio un motivetto che mi tormente da tutta la giornata, ripenso ai brutti momenti passati, a tutte le difficolta’ che ci siamo lasciati alle spalle,e per un attimo un piccolo brivido mi percorre tutta la schiena quando una perte di me, profondamente angosciata dal futuro comincia a lavorare freneticamente. Ed è proprio mentre cerco di allontanare quei pensieri negativi che rischiano di rovinare la nostra bella serata che la voce di Maurizio mi richiama ruvidamente alla realta’: “oh oh fermati! fermati che devo far pipi'”. Rido per la sua richiesta fatta in modo cosi’ infantile” ma dai Mauri, ormai siamo quasi arrrivati, non ce la fai a tenerla?” “no” mi risponde imperativamente” se non ti fermi te la faccio in macchina”….convinta da tanta decisione scendo dalla rampa del cavalcavia e accosto sulla destra, dove si incrociano due strade appena praticabili in cui non passa mai nessuno. Ma proprio in quella manciata di minuti in cui ci fermammo il destino ci raggiunse, e solo in seguito mi resi conto che sorpassandoci concluse il suo gioco bizzarro, quando da quella piccola strada vedemmo sfrecciare una moto da competizione con un paio di figure a bordo, riuscii appena ad intravederli, nel buio che si faceva sempre piu’ avanti, si allontanavano repentinamente a fari spenti nella stessa direzione che stavamo prendendo poco prima.
Maurizio risali in macchina, e lentamente mi rimisi in marcia quando, arrivando nei pressi della statale mi venne automatico rallentare ulteriormente notando uno strano movimento. In questa zona difficilmente si trova del traffico, nemmeno il sabato sera è una strada molto frequentata, e questo è uno dei motivi che mi spingono a sceglierla in alternativa a quella principale per giungere in città.
Un sesto senso che ignoravo di possedere percepisce appena delle luci gialle intermittenti e immediatamente mi metto in allarme. Mi avvicino finchè mi ritrovo ferma dietro un’auto apparentemeente parcheggiata in centro corsia con le quattro frecce accese, nessuno a bordo.
La mia mente sta ancora formulando i suoi interrogativi quando, guardandomi intorno per capirci qualcosa, il mio sguardo si pietrifica, si incolla al finestrino sulla mia sinistra e con la voce bloccata in gola riesco soltanto ad allungare la mano sulla gamba di Maurizio, senza distogliere mai lo sguardo da quello che vedevo, per richiamare la sua attenzione.
Ci sono due sagome scure riverse sull’asfalto, quello che vedo, nell’insieme è qualcosa di innaturale, una scena che volendola immaginare, nemmeno con la piu’ grande fantasia avrei potuto descriverla cosi’.
Quelle sagome sono corpi, buttati come stracci sulla strada, si notano movimenti impercettibili, come le code delle lucertole quando la perdono….ci sono diverse persone nei paraggi, ma nessuno, proprio nessuno vicino a loro. Quattro o cinque ragazzi ad una ventina di metri camminano avanti e indietro, uno di loro parla al cellulare, gli altri, con le mani sprofondate nelle tasche, o tra i capelli, ma non si avvicinano. Si tengono a distanza, sento la loro paura bussare violentemente al mio finestrino.
Il mondo si ferma, divento sorda per un istante ed insensibile ad ogni stimolo come un arto quando il sangue smette per un poco di attraversarlo tutto.
Maurizio scende al volo mentre io cerco di rientrare nella realtà, e gridando mi chiede i guanti, sapendo che ne ho sempre qualcuno di lattice nel bagagliaio dell’auto per non sporcarmi in caso di necessità meccaniche.
Uno di quei ragazzi interpreta la richiesta di guanti di Maurizio come un miracolo ed esulta “è arrivato un dottore! è arrivato un dottore!”….ma non siamo dottori, siamo solo due che passavano per caso, la prima sera d’autunno, tornando a casa.
Il tempo si ferma insieme a tutte le auto che sopraggiungono. Attivo le frecce che fendono il buio, diventato improvvisamente piu’ fitto come se qualcuno da in cima al cielo avesse lanciato una coperta scura per celare in qualche modo l’orrore che si stava consumando. Scendo e mi avvicino, non è difficile, i ragazzi rimangono lontani, impauriti, c’è un bar proprio davanti al luogo dello schianto, i vecchi escono incespicando nelle sedie, bianchi come cenci lavati, con le bocche aperte, tremanti, asciutte, temo che qualcuno di loro stia per sentirsi male. Mi avvicino ancora, Maurizio è già li con una mano sul torace del ragazzo e l’altra gli tiene il polso con due dita, come a raccogliere lo stelo di un fiore reciso. Lui non parla, sembra che faccia fatica a respirare, la testa è avvolta nel sangue, girata in una posizione innaturale. Lui è senza casco. Maurizio gli parla, continua a rispondere a domande che non arrivano, con un tono rassicurante e tranquillo, il ragazzo non da segni di capire ma lui gli parla lo stesso e rimane così per tutto il tempo, inginocchiato vicino a lui.
(fine prima parte)

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