Condanne confermate ma meno severe per quelli che gestivano i furti e le ricettazioni, scoperti e arrestati dalla Gdf
MESSINA- Era già buio pesto e gli agenti del posto di guardia si preparavano a chiudere i portoni di Palazzo Piacentini, ieri, quando la Corte d’Appello (presidente Giacobello) ha letto la sentenza: Cinque anni e mezzo per Alessio Nostro, 3 anni e mezzo per Gaetano Batessa, 3 anni e 5 mesi per Pietro Micali, un anno e mezzo per Nunzio Buscemi (pena sospesa), 2 anni e 8 mesi per Gabriele Fratacci
E’ questa la sentenza di secondo grado alla fine del processo nato dal blitz della Guardia di Finanza su un giro di furti e ricettazione di pezzi di ricambio. Dietro i colpi, secondo gli investigatori, una rete di soggetti collegati tra di loro e, tra gli indagati, anche sospettati di singoli episodi di ricettazione. All’udienza preliminare il processo si divise in due tronconi e i componenti della presunta “banda” optarono per il processo abbreviato, definendo la loro posizione prima del dibattimento. Oggi per loro si è chiuso il processo d’appello e a tutti i giudici hanno concesso uno “sconto” di pena, alleggerendo il verdetto complessivo con la concessione delle attenuanti generiche.
Erano accusati di associazione a delinquere, di far parte appunto della “banda” che programmava i furti, gestiva la vendita dei pezzi ricettati, tirava le fila delle estorsioni col così detto metodo del “cavallo di ritorno”, chiedendo cioè ai proprietari derubati di pagare per la restituzione del mezzo. Sono stati difesi dagli avvocati Cinzia Panebianco, Salvatore Silvestro, Alessandro Trovato, Luigi Gangemi, Daniela Garufi.
L’operazione
Il blitz della Guardia di Finanza è scattato il 20 luglio dello scorso anno. Dodici le persone colpite dal provvedimento del giudice, coinvolti nell’inchiesta fatta di intercettazioni e pedinamenti. Le Fiamme gialle, decriptato gli sms e le conversazioni “in codice, sono riusciti ad identificare le attività di una rete di soggetti che metteva a segno continui furti, di auto e mezzi meccanici, o parti di veicoli, per poi “rivenderli” o restituirli ai proprietari con la classica tecnica del cavallo di ritorno. In alcuni casi i pezzi sono stati rivenduti sul web o ad officine compiacenti.
A Giostra tutti sapevano chi c’era dietro i raid
Gli inquirenti spiegano che, nel rione, quando qualcuno subiva un furto sapeva, direttamente o tramite intermediari, a chi doveva rivolgersi. La banda aveva solidi legami con esponenti di spicco della criminalità catanese: quando un furto è stato compiuto fuori provincia, i “giostroti” si sono mossi subito e sono riusciti comunque a recuperare il maltolto al loro concittadino.
