Reggio. Cuzzocrea: società poco attenta ai più piccoli, anche in tempo di pandemia

Reggio. Cuzzocrea: società poco attenta ai più piccoli, anche in tempo di pandemia

mario meliado

Reggio. Cuzzocrea: società poco attenta ai più piccoli, anche in tempo di pandemia

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domenica 17 Luglio 2022 - 08:00

Ansie e interviste nel volume "Che fine hanno fatto i bambini?", presentato dall'autrice, vicedirettrice del quotidiano "La Stampa", nella sua città

REGGIO CALABRIA – Ha presentato nella sua Reggio Calabria, al Circolo tennis ‘Rocco Polimeni’, su iniziativa del Rhegium Julii nel contesto dei suoi Caffè letterari, il recente saggio-inchiesta Che fine hanno fatto i bambini?, caleidoscopio di fatti e cifre ed emozioni e interviste e timori. L’autrice è la giornalista reggina Annalisa Cuzzocrea, specialista di politica e oggi vicedirettrice del quotidiano torinese La Stampa.

Se la nostra società non vede i bambini

Non certo questioni minori, bensì vicende importanti per tutti coi minori – finalmente – al centro delle cose, a dispetto di una società che tende a trascurarli, a glissarci sopra, a neanche vederli. Aggravante specifica, accade anche in tempo di Covid, quando centinaia di migliaia di bambini e ragazzini hanno patito terribilmente una solitudine innaturale a quell’età, costrizioni-cautele temibili anche per adulti scafatissimi, strazianti addii a congiunti anche strettissimi senza poterli neanche vedere per l’ultima volta, abbracci mancati con parenti della famiglia ‘allargata’ a titolo precauzionale.

Annalisa Cuzzocrea, vicedirettrice del quotidiano “La Stampa”
Annalisa Cuzzocrea, vicedirettrice del quotidiano La Stampa
e autrice del saggio-inchiesta Che fine hanno fatto i bambini?

In Che fine hanno fatto i bambini?, debito accento sulla scarsa attenzione per i più piccoli da parte della società, anche al tempo del Coronavirus…

«Durante il Covid ce ne siamo dimenticati: li abbiamo messi in Didattica a distanza e abbiamo pensato che potesse bastare così. Era necessario metterli in Dad? Sì, certo. Era sufficiente a dar loro ciò di cui avevano bisogno? Assolutamente no: e s’è visto già dai più recenti dati Invalsi, che hanno registrato un serissimo calo d’apprendimento; s’è visto che i bambini hanno lamentato un profondo disagio, gli adolescenti ancor di più; le Neuropsichiatrie infantili ancor di più…».

Rimedi all’orizzonte?

«Coi fondi del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, si potrebbe indubbiamente fare molto. Di fatto, però, fin qui non s’è investito abbastanza su questo fondamentale tema».

«Non parliamo di ‘generazione Covid’…»

Ma ha ragione chi, per sintetizzare i danni psicofisici subiti da bambini e adolescenti, ne parla genericamente – dopo la X Generation che già aveva fatto molto parlare di sé – come di una generazione Covid?

«Non credo proprio che si possa parlare di generazione Covid, soprattutto perché bambini e ragazzi si son risollevati da sé, si sono organizzati e hanno protestato quando era giusto farlo. E poi, non è giusto ‘bollarli’ con la tragedia vissuta in questi anni; tanto più che, spesso, si sono dimostrati muniti di maggior responsabilità di noi adulti».

Per i piccoli in Ucraina lutti e costante pericolo di vita

Un po’ complicato occuparsi dei pur palesi problemi causati dal Coronavirus anche nella psiche dei più giovani quando “là fuori”, a qualche migliaio di chilometri da qui, bambini e ragazzi muoiono a decine ogni giorno per la guerra, no?

«Questa è una delle parti più terribili di questi anni difficili. Siamo usciti da un’emergenza e ci sembra d’aver vissuto quanto di più tragico potesse capitarci. E invece, vediamo che in Ucraina continuano a cadere bombe, continuano a essere uccisi civili, assassinati o mutilati bambini: alcuni di loro li abbiamo accolti in Italia… hanno perso le braccia, le gambe… i parenti… Tutto questo è terribile. Ed è terribile che non ci si pensi a sufficienza e che si pensi di più a quanto siamo preoccupati perché rischia di non arrivare il gas quest’inverno o di non essercene abbastanza per l’aria condizionata. Avevamo fatto noi l’embargo, e ora ci preoccupiamo del fatto che la Russia possa tagliarci il gas, quando dovremmo preoccuparci di come ‘costringerla’ a fermare una volta per tutte questa guerra, levandole i soldi che le forniamo come corrispettivo per l’energia».

Reggio, il giornalismo e quella torta indimenticabile…

Reggio può festeggiare una giornalista figlia di questa città vicedirettrice di un prestigioso quotidiano. Ma la sua città ‘riemerge’ anche in questo libro, legata magari a scorci di Archi o alla fragranza di una torta cioccolato e castagne provata da bambina. Il che ci dice qualcosa, appunto, anche sulle singolari modalità selettive della memoria dei più piccoli…

«Io vivevo in una zona più centrale di Reggio Calabria, ma da ragazzina sono praticamente cresciuta ad Archi perché ci viveva mia nonna e quindi ‘facevo la spola’ di continuo. Orgogliosa? Mah, più che esserlo dei traguardi raggiunti nella professione giornalistica io sono orgogliosa d’aver studiato qui. E quel che ho studiato qui m’ha consentito di proseguire i miei studi a Roma, i miei studi nella Capitale mi hanno permesso di andare a laurearmi a Londra e d’entrare in una scuola di giornalismo… Tutto partito da qui, permettendomi di realizzare i miei sogni: una cosa bellissima che vorrei potesse accadere a tutti i bambini e ragazzini, perché l’Italia è molto diseguale nell’offerta di formazione alle nuove generazioni».

Editoria & digitale, «in Italia si può fare molto di più. Ma spero che la carta stampata non debba morire mai»

Ma restando all’editoria: anche La Stampa, il suo giornale, s’è lanciata sul digital first, la priorità all’online, la dematerializzazione. Dagli abbonamenti digitali fino a quello che nel settore è il futuro – ma forse un po’ anche il presente – come gli Nft, i Not fungible token, a che punto siamo?

«Io spero che la carta stampata non debba sparire mai!, ci sono molto affezionata e in questo sono un po’ old style… Al contempo, è vero che si può e si deve fare molto di più nel settore dell’editoria online; e, in Italia, ancora molto di più per il digital first. Gedi, il gruppo che edita La Stampa e Repubblica, ci sta provando. E ha puntato molto sugli abbonamenti digitali, appunto, ma anche sui podcast: io stessa faccio un podcast, un daily ogni mattina, che registro però a notte fonda, per informare anche in un modo nuovo… La sfida è tenere tutto insieme, offrendo conoscenza a tutti su diverse piattaforme; poi ognuno sceglierà quella più consona ai suoi modi, ai suoi usi, a ciò che ha voglia di fare… L’importante è che ci sia sempre buon giornalismo, distribuito su tutte le piattaforme possibili».

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