Silvestri al Senato: "Il premierato di Meloni non risolve i problemi del sistema politico"

Silvestri al Senato: “Il premierato di Meloni non risolve i problemi del sistema politico”

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Silvestri al Senato: “Il premierato di Meloni non risolve i problemi del sistema politico”

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lunedì 04 Dicembre 2023 - 20:29

Ecco il parere dell'ex presidente della Corte costituzionale sulle proposte di riforma con l'elezione diretta del presidente del Consiglio

Il premierato, con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, secondo la visione di Giorgia Meloni. Per gentile concessione del costituzionalista Gaetano Silvestri, già presidente della Corte costituzionale e rettore dell’Università di Messina, pubblichiamo la sua memoria depositata lo scorso 28 novembre alla Commissione Affari costituzionali del Senato. L’occasione è stata l’audizione del presidente emerito della Corte costituzionale e della Scuola superiore della magistratura (nella foto con le magistrate Laura Romeo e Rosa Raffa), ascoltato proprio sulle proposte di modifiche costituzionali. Modifiche che prevedono l’introduzione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio.

L’analisi di Gaetano Silvestri

Gli obiettivi della riforma proposta dal ddl n. 935 sono dichiarati nella Relazione. Si vuole porre rimedio: a) all’instabilità dei Governi; b) alla eterogeneità e volatilità delle maggioranze; c) al “transfughismo” parlamentare.
Si tratta di problemi che nascono dal sistema politico. Le proposte di riforma prevedono l’introduzione di meccanismi giuridici costrittivi volti ad ottenere con mezzi artificiali ciò che non è possibile ottenere con i mezzi istituzionali normali di una democrazia pluralista come quella italiana. C’è il rischio concreto che la conflittualità, rimossa artificiosamente dalle istituzioni democratiche rappresentative, esploda incontrollabile nella società civile, fortemente complessa e frammentata.

Analiticamente si può osservare:

A) La legittimazione democratica del Presidente del Consiglio può essere molto debole, nell’ipotesi, non improbabile, di una pluralità di candidati e quindi di una percentuale di voti ottenuti dal vincitore ben al di sotto del 50%. Si potrebbe aggravare in modo drammatico la divaricazione tra rappresentanza e
rappresentatività, tra rapporto formale e rapporto sostanziale tra eletti ed elettori. La perdita di rappresentatività non sarebbe controbilanciata da un aumento di stabilità, giacché è ragionevolmente prevedibile che – in un sistema politico contrassegnato dalla frantumazione dei partiti e dei movimenti – allo scopo di conseguire la vittoria elettorale, si formerebbero coalizioni eterogenee, pronte ad entrare in ebollizione dopo le elezioni.

B) La durata quinquennale del mandato è solo teorica, visto che si prevede la necessità di un rapporto fiduciario con il Parlamento e in considerazione dell’esperienza storica delle continue convulsioni all’interno delle maggioranze parlamentari, che non sono conseguenza della forma di governo prevista dalla Costituzione vigente, ma della conformazione del sistema politico italiano. Quest’ultimo non è stato modificato (nel senso di eliminare o attenuare la frammentazione) dall’introduzione, ormai pluridecennale, del sistema elettorale maggioritario e di vari premi di maggioranza. Il buon senso induce a ritenere che, come si diceva prima, saranno ancora necessarie coalizioni per governare, giacché l’obiettivo di introdurre per legge il bipartitismo in Italia sinora è fallito. Non si sostituisce la storia con il volontarismo normativo.
Sembrerebbe più realistico prevedere che un Governo, nominato con le regole attuali, non possa essere sfiduciato nei primi anni della sua carica (due, tre?) come era stato proposto in Assemblea costituente. Sembra giusto che un Governo possa disporre di un congruo periodo di tempo per attuare il suo programma e solo dopo possa essere assoggettato ad un giudizio parlamentare che ne possa comportare le dimissioni.

C) La clausola “antiribaltone”, con la previsione – in caso di sfiducia al Presidente eletto – di un Presidente del Consiglio subentrante tratto dalla stessa maggioranza parlamentare del dimissionario, nella realtà finirebbe con il tradire la genuina volontà popolare, giacché nel voto diretto per l’elezione di una persona al vertice di una istituzione politica esiste sempre una componente non trascurabile di fiducia personale
di natura plebiscitaria difficilmente trasferibile ad altro soggetto, peraltro non necessariamente dello stesso partito, ma solo della stessa maggioranza. Come è stato da più parti osservato, il subentrante, la cui caduta provocherebbe lo scioglimento obbligato delle Camere, sarebbe paradossalmente più stabile del Presidente eletto direttamente dal corpo elettorale. Con buona pace della sovranità popolare.
Si tratta di incongruenze che nascono dalla contraddizione insita nel sistema proposto, che prevede la permanenza – dopo l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio – di un rapporto fiduciario Governo-Parlamento coinvolgente lo stesso Presidente eletto dal popolo, com’è inevitabile, visto il suo legame inscindibile con il Governo nella sua interezza.

D) Il premio di maggioranza del 55%, senza previsione di una soglia minima, contrasta con il principio costituzionale supremo della democraticità delle istituzioni rappresentative. La maggioranza parlamentare non sarebbe frutto della volontà popolare, ma della macchina calcolatrice. D’altra parte, la previsione del premio di maggioranza è inevitabile per far sì che il nuovo sistema non porti a situazioni di conflitto e di stallo difficilmente superabili. Sembra difficile che in Italia prevalga il pragmatismo di stampo americano, quella wisdom che induce i protagonisti delle istituzioni a non azionare sino in fondo i loro poteri. Non è difficile prevedere che, senza l’enorme premio di maggioranza, il rimedio sarebbe peggio del male. Né
l’introduzione di un sistema elettorale a doppio turno darebbe garanzie di soluzione del problema, giacché con questo sistema è molto difficile introdurre un meccanismo nazionale di forzatura della maggioranza.

E) Il Presidente della Repubblica sarebbe vincolato da una serie di automatismi (nella nomina del Presidente del Consiglio e nello scioglimento delle Camere) tali da togliere ai suoi atti ogni valore di garanzia e di equilibrio del sistema costituzionale. Gli interventi del Presidente della Repubblica in tanto possono avere una qualche efficacia, in quanto aderiscono in modo flessibile alla situazione politica concreta che si è venuta a creare. Appare evidente l’incompatibilità di tali prestazioni con ogni forma di
automatismo, che le trasformerebbe in funzioni notarili.
In un sistema come quello proposto, ogni iniziativa autonoma del Capo dello Stato aprirebbe una contraddizione interna foriera di ulteriori difficoltà proprio perché in contraddizione con la sua nuova funzione di passiva registrazione degli accadimenti.

F) L’abolizione dei senatori a vita appare un inutile atto di ostilità verso la valorizzazione del merito che i Costituenti avevano voluto simbolicamente inserire nella Carta. Eppure l’esaltazione del merito ha un grande valore democratico perché esclude altri criteri basati sul privilegio, sulle appartenenze e sui favoritismi. Si possono discutere le singole scelte fatte dai diversi Presidenti della Repubblica, ma non si può negare l’alto messaggio etico proveniente dalla presenza in Parlamento di persone scelte per il lustro dato all’Italia dal loro operato come artisti, scienziati e operatori sociali.

Il ddl n. 830 converge sostanzialmente con il n. 935. Peraltro in esso il Presidente del Consiglio viene definito, con espressione non adatta ad un testo costituzionale, “organo di vertice”, con ciò rivelando in modo chiaro la sua impronta cesaristica.

La proposta di riforma costituzionale

Cosa prevede in sintesi la riforma costituzionale sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio proposta dal governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni:

  • Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione delle due Camere e del Presidente del Consiglio avvengono contestualmente. Il Presidente del Consiglio dei ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura. Deve essere, dunque, necessariamente un parlamentare.
  • Un premio di maggioranza, assegnato su base nazionale, garantirà il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei ministri. Non è prevista una soglia minima di voti per ottenere il premio di maggioranza.
  • Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri.
  • Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non sia approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche in quest’ultimo caso il Governo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.
  • In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto. Dunque, non ci sarà più spazio per governi a guida “tecnica”. Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere. E’ la cosiddetta norma antiribaltone.
  • Non è più prevista la nomina di senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica. Gli attuali rimarranno in carica.

Gaetano Silvestri

Il costituzionalista Silvestri è nato a Patti nel 1944. Dal 1990 al 1994 è stato componente del Consiglio superiore della magistratura. Dal 1998 al 2004 è stato rettore dell’Università di Messina. È stato vicepresidente della Conferenza dei rettori delle Università italiane.
Nel 2005 è stato eletto dal Parlamento giudice della Corte costituzionale. Nel 2013 è stato eletto presidente della stessa Corte, con un incarico fino al 28 giugno 2014.
Nel 2016 è stato eletto presidente della Scuola superiore della magistratura.
È autore di circa centocinquanta pubblicazioni, su riviste specializzate e in opere collettanee, riguardanti molteplici argomenti di diritto costituzionale ed è stato relatore in numerosi convegni scientifici in Italia e all’estero.

Un commento

  1. ANTONIO BARBERA 5 Dicembre 2023 16:21

    “Il premio di maggioranza del 55%, senza previsione di una soglia minima, contrasta con il principio costituzionale supremo della democraticità delle istituzioni rappresentative. ” Invece la legge regionale n.17/2016 vigente in Sicilia per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale maggioranza assoluta con il 40 % dei voti è costituzionale ! L’Autonomia Siciliana è stata solo utile ai politici che hanno fatto i loro interessi .

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