L’analisi - Conoscenza e prevenzione sismica: la città sopraelevata

L’analisi – Conoscenza e prevenzione sismica: la città sopraelevata

L’analisi – Conoscenza e prevenzione sismica: la città sopraelevata

venerdì 18 Marzo 2011 - 12:12

Di seguito pubblichiamo il contributo dell'ex direttore del servizio sismico della Regione Siciliana Leonardo Santoro

Un particolare fenomeno che ha contraddistinto la crescita edilizia di Messina è quello dell’espansione in altezza. I fabbricati del centro urbano di Messina, nel periodo che va da 1950 (primo dopoguerra), al 2004 sono stati spesso sopraelevati di uno, due e talvolta tre piani.

Ma cosa ha prodotto su questi fabbricati tale fenomeno, in termini di vulnerabilità sismica ?

Intanto è opportuno analizzare quanto previsto dalle già descritte norme sismiche vigenti nel tempo, nel merito della possibilità di sopraelevare un fabbricato esistente.

Già la legge del 25 novembre 1962, n. 1684 prevedeva al capo II art. 19 la possibilità di sopraelevare un edificio esistente in zona sismica.

Tale articolato prevedeva la possibilità di sopraelevare nelle zone a più alto rischio sismico, allora definite come “categoria 1/A” di un solo piano ed a condizione che il fabbricato non fosse già stato sopraelevato.

In zone a pericolosità immediatamente più ridotta “categoria 2/A”, tali sopraelevazioni potevano essere di ben due piani.

Tali norme però introducevano principi prescrittivi estremamente cogenti:

1) le sopraelevazioni erano ammesse a condizione di mancanza di precedenti sopraelevazioni;

2) la struttura esistente, unitamente a quella della sopraelevazione, doveva costituire un complesso che corrispondesse alle prescrizioni delle norme;

3) per gli edifici intelaiati non era ammessa la sopraelevazione se non poteva essere assicurato un efficace collegamento e continuità delle strutture, in particolare mediante la saldatura delle armature. Tali collegamenti e saldature dovevano essere constatati dall’ufficio del genio civile che doveva compilare apposito verbale.

Le successive norme, dalla legge n.64/74 ai successivi Decreti applicativi del 1986 e del 1996 hanno continuato a prevedere tale possibilità alla sola condizione che il fabbricato esistente fosse oggetto di un complessivo intervento di adeguamento sismico e con il limite di una sola sopraelevazione per gli edifici in muratura.

Ma cos’è un intervento di adeguamento sismico ?

Il fabbricato sul quale si intendeva eseguire la sopraelevazione doveva essere consolidato nelle strutture portanti esistenti al fine di garantire che queste potessero sopportare non solo la nuova sollecitazione ma con le prescrizioni, azioni e regole imposte dalla nuova normativa vigente all’epoca della progettazione della sopraelevazione.

Infine, per chiudere il quadro normativo, anche la vigente normativa tecnica in zona sismica, il Decreto del 14 gennaio 2008 prevede la possibilità di sopraelevazione di un fabbricato esistente.

Stavolta la condizione è più rigorosa e fa riferimento all’obbligo di effettuare, preventivamente, una valutazione della sicurezza strutturale e, qualora necessario, procedere all’adeguamento della costruzione.

Apparentemente l’attuale legge non modifica nulla, se non in peggio, considerato che non introduce alcun limite al numero di sopraelevazioni successive.

In realtà introduce l’obbligo di effettuare la verifica sismica dell’edificio esistente, con le modalità introdotte, per la prima volta, dall’Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n.3274 del 2003.

Tali verifiche erano state rese, in un primo momento, obbligatorie ed in assenza di alcuna necessità di intervento, solo sulle strutture “strategiche” ai fini di protezione civile o strutture “rilevanti” ai fini di un eventuale collasso a seguito di evento sismico.

Solo per dovere di cronaca si rammenta che l’Ordinanza richiamata nasce dopo la tragedia del Molise che vide nel 2002 il crollo di una scuola (sopraelevata), a San Giuliano di Puglia.

Si parlerà pertanto in dettaglio di tali “verifiche tecniche di sicurezza sismica”, analizzandone modalità di esecuzione e finalità, a prima vista inspiegabili.

Per ora torniamo invece ad analizzare il fenomeno delle sopraelevazioni.

Tornando quindi agli effetti prodotti da tale pratica sui fabbricati del centro urbano di Messina è ormai chiaro come, la maggior parte dei fabbricati riedificati dopo la distruzione del terremoto del 1908 in tutto il perimetro urbano delimitato dal Piano “Borzì”, fossero sì, fabbricati in cemento armato, assimilabili a strutture intelaiate, quelle cioè per le quali la norma del 1962 prevedeva la necessità di assicurare un efficace collegamento e con continuità con le strutture esistenti, ma erano contemporaneamente edifici in muratura !

Molti di tali fabbricati, sarebbe utile redigere una mappa della vulnerabilità sismica da sopraelevazione, del centro urbano di Messina, furono sopraelevati, assimilandoli a strutture intelaiate, provvedendo a saldare le armature a quelle esistenti, provando a considerare la funzione irrigidente dei setti in muratura di mattoni, in ultimo, sempre conseguendo, almeno le sopraelevazioni non abusive, l’approvazione preventiva dei calcoli statici da parte del Genio Civile.

Ma perché gli effetti dei terremoti hanno evidenziato l’aumento della vulnerabilità sismica di un fabbricato sopraelevato ?

Il motivo è semplice e documentato dai danni rilevati in terremoti recenti (dall’Umbria e Marche, all’Etna, fino all’Abruzzo) dove era sempre fin troppo evidente l’effetto, su materiali diversi, delle sollecitazioni sismiche.

Vado per ordine. Le sopraelevazioni su edifici in muratura comportano, come detto, la necessità, a norma di legge di un adeguamento sismico dell’esistente.

Nei fatti, il calcolo della sopraelevazione (il 30% dei crolli documentati in Umbria e Marche, lo dimostra) prevede la sostituzione della copertura esistente, in quel caso, spesso in legno a falde, con interi piani realizzati in mattoni pieni e successiva copertura sempre a tetto ma con solaio in cemento armato.

Già si evidenziano così due nuovi fondamentali indicatori di vulnerabilità.

La diversità dei materiali strutturali (pietrame caotico non consolidato ai piani inferiori, setti in mattoni pieni in sopraelevazione ed aumento del 42 % del carico sulle murature preesistenti dovuto alla sostituita tipologia dei solai (consisteva proprio in questo l’adeguamento sismico), da legno e caldane alleggerite (150 Kg/mq. di peso proprio) a solai in travetti prefabbricati e pignatte laterizie (350 Kg/mq. di peso proprio).

A questo si aggiunga che, per incassare travetti e cordolo in cemento armato nelle murature esistenti, (a norma di legge) era necessario demolire la metà almeno dello spessore delle murature esistenti, e la tragedia è così avvenuta.

Quel terremoto, fù il primo sisma mediatico ed il fenomeno denunciato delle sopraelevazioni e dei sottotetti adeguati sismicamente, fù evidente. Poi l’attenzione si concentrò, anche giustamente, sul danno e le vittime, prodotte dal sisma nelle Chiese dell’Umbria e delle Marche.

Tali tipi di collasso strutturale sono pertanto possibili in tutti gli edifici in muratura, sopraelevati, in cui non si sia provveduto ad un contemporaneo consolidamento strutturale dell’esistente.

A Messina sono pochi gli edifici totalmente in muratura che abbiano subito interventi di sopraelevazione, di contro, sono moltissimi quelli con strutture miste in c.a. e murature di mattoni pieni o meglio a “muratura confinata”, sopraelevati.

In tali edifici, come detto, trattati talvolta impropriamente come strutture intelaiate, cioè strutture costituite da un reticolo spaziale di travi e pilastri, la o le sopraelevazioni hanno richiesto l’ammorsamento delle armature della nuova edificazione a quelle esistenti.

Diverse furono le tecnologie adottate, in assenza di una precisa norma prescrittiva (l’ultima era quella citata del 1962).

Si forarono i pilastri dell’ultimo piano annegandovi le nuove barre nervate, furono realizzate piastre in acciaio con tirafondi annegati nelle travi o nei cordoli di copertura ed a queste furono ammorsate contropiastre collegate mediante saldature alle nuove armature.

Ed ancora, furono esposte le armature augurali in ferro dolce, quelle cioè (richiamando una denominazione tipica degli edifici in muratura in cui il padre di famiglia, lasciava mensole in pietra ed ammorsamenti in parete, sulle facciate e nei sottotetti, pronte per l’edificazione di nuovi appartamenti per le figlie da maritare) che venivano appositamente lasciate scoperte all’ultimo piano in vista di nuove elevazioni ed a queste, sovrapposte le nuove armature in acciaio.

Infine, talvolta si costruirono controcordoli semplicemente posati sulle travi di coronamento e da questi, spiccate le armature dei nuovi pilastri.

Tutte queste tecnologie erano inficiate da un elemento ancora non noto all’epoca di tali edificazioni od almeno, poco volutamente studiato.

La contemporanea riduzione delle caratteristiche di resistenza dei materiali esistenti e la modifica sostanziale della rigidezza complessiva della struttura.

Quest’ultima comportava un aumento dello sforzo di taglio allo spiccato dei nuovi pilastri in sopraelevazione che richiedeva quasi sempre un incremento di armature resistenti al taglio.

Tutti queste descritte sono criticità, almeno in teoria, superate dalle nuove verifiche sismiche agli stati limite che impongono, da una parte, l’inserimento nel modello strutturale delle reali caratteristiche di resistenza dei materiali (a seguito di idonea campagna di indagini) e, dall’altra, una verifica di tipo lineare o non lineare statica o dinamica che mette in luce spettro di risposta e diagramma domanda-capacità delle strutture a superare indenni le verifiche agli stati limite di esercizio ed ultimi.

Da tali verifiche inoltre, con una metodologia definita “push over” è possibile ricavare i primi meccanismi di collasso della struttura e così facendo, individuare le membrature sottostanti su cui intervenire con consolidamenti mirati.

In ultimo le sopraelevazioni venivano liquidate con una semplice verifica geotecnica delle tensioni prodotte sul terreno a seguito dell’applicazione dei nuovi carichi.

La problematica geotecnica naturalmente è molto più complessa ma a questa ha posto rimedio, trattando queste considerazioni soltanto della Messina ricostruita, la tecnologia adottata dopo il terremoto del 1908 per la realizzazione di massetti di sottofondazione e strutture fondali sovradimensionate.

Infine, accenno soltanto, trattando di competenze che esulano dalle mie, agli effetti delle sopraelevazioni in termini di maggiore carico urbanistico e di pasticci perpetrati in merito agli stili architettonici adottati nelle sopraelevazioni.

Quest’ultimo aspetto, consegna oggi a Messina, ad imperitura memoria (fino al prossimo terremoto disastroso) le scelte nel tempo adottate dall’Assessore Comunale all’urbanistica di turno che prevedevano, negli anni ’50 e ’60, che le sopraelevazioni dovessero, architettonicamente, distanziarsi dallo stile dell’edificio sottostante ed a scelte diametralmente opposte riferite alle sopraelevazioni realizzate negli anni successivi.

Ai lettori, la curiosità di andare a ricercare graziosi esempi di stile Liberty o Neoclassico degli anni ‘30, sormontate da lineari e spigolose sopraelevazioni degli anni ’50.

Leonardo Santoro

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