La riflessione. Unità d'Italia e sud

La riflessione. Unità d’Italia e sud

La riflessione. Unità d’Italia e sud

mercoledì 11 Novembre 2009 - 09:48

Gli enormi costi pagati dal Meridione per unire un Paese tutt’ora diviso

La questione meridionale è una questione nazionale, non regionale. E’ una questione nazionale in quanto il mezzogiorno è una terra che ha avuto dall’unificazione una serie di eventi e sorti non sempre positive. L’unità fatta non col rispetto della realtà del territorio, ma con le baionette non è stata del tutto positiva e non è affatto azzardato ipotizzare come, ancor oggi, manchi un serio bilancio storico sui fatti che l’hanno realizzata. Se infatti da un lato vi è, forse, la reazione esagerata della letteratura minore, che riporta documenti di straziante interesse, dall’altro non si è dato il giusto risalto ad alcuni importanti aspetti. Come può considerarsi positiva l’unificazione se una grande capitale europea come Napoli si è trasformata di colpo, da un giorno all’altro, in una prefettura sabauda? Quanto capitale è stato annichilito e distrutto? Che impatto ha avuto l’unificazione sulla borghesia napoletana?

L’unificazione ha distrutto una quota enorme di capitale umano. Il meridione d’Italia, da allora, ha fatto da proletariato esterno dell’America, nel periodo postunitario, alimentando nel Secondo dopoguerra la grande ondata migratoria che ha portato all’industrializzazione del nord Italia. Il nord ha dunque un debito nei confronti del Meridione ed è giunta l’ora di una riflessione spassionata, non convenzionale, al riparo dagli ascari politici che del meridionalismo fanno una professione distruttiva.

Bisogna che ognuno, soprattutto chi è impegnato in politica, si assuma senza complessi il dramma umano all’origine del divario tra nord e sud. Napoli era una metropoli in cui si concentravano relazioni industriali e internazionali. Aveva la ferrovia più sofisticata d’Italia, una flotta meccanizzata, un’industria meccanica di precisione, un’industria tessile. Dagli atti dell’Esposizione universale di Parigi del 1856 risulta che il regno delle Due Sicilie era lo stato non solo più esteso ma pure il più industrializzato d’Italia, terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia. A Pietrarsa, per esempio, nel 1840, ben 44 anni prima della Breda, fu inaugurata la fabbrica metalmeccanica di motrici a vapore per uso navale, rinomata in tutta Europa, che lo zar Nicola I prese a modello per Kronstadt. In Calabria, a Mongiana, nell’attuale deserto boscoso delle Serre, sorgeva un complesso siderurgico d’avanguardia, da dove uscirono le catene per i ponti sul Garigliano e sul Calore, e che sino al 1860 fu il maggior produttore di ghisa e semilavorati. Quanto al tessile, a Salerno il cotonificio von Willer impiegava 1.425 operai, la filanda di Piedimonte 2.159, quando in Lombardia la filatura Ponti non raggiungeva i 414 addetti. E riguardo la flotta, quella delle Due Sicilie era la quarta del mondo, con 9.800 bastimenti di cui un centinaio a vapore, 40 cantieri navali di prim’ordine, come i Filona al Ponte di Viglieno da cui nel 1818 uscì il primo vascello a vapore del Mediterraneo o Castellammare di Stabia, che con 1.800 addetti era il primo cantiere navale del Mediterraneo.

Inoltre, per guidare la politica economica del Regno, nel 1851 fu istituita la Commissione statistica generale, affiancata dalle giunte provinciali e circondariali, e da un Istituto di incoraggiamento per incentivare l’iniziativa privata. Risultato: da quando, nel 1734, erano arrivati i Borbone, la popolazione era triplicata. E nel 1861 la bilancia commerciale era in attivo per 35 milioni di ducati.

Il costo dell’unificazione in realtà è stato addossato per una grossa quota al sud. Il brigantaggio fu un fenomeno diverso da quello letto sui libri di scuola. Poi ci fu il fascismo che stese una coltre sulla questione meridionale, e nel Dopoguerra, creando la Cassa del Mezzogiorno, i settentrionali illuminati cercarono di replicare la Tennessee Valley Authority ma il processo si arenò con le Regioni, con la differenza che mentre al nord le Regioni fanno sistema, e si ragiona sul corridoio 5 sull’asse Brennero Verona, a sud ogni Regione fa capo a sé e il Mezzogiorno ha perso la sua identità. Il risultato è un paese duale, con un nord di 40 milioni di abitanti, grande quanto la Spagna o la Polonia e una ricchezza sopra la media europea, e un sud di 20 milioni di abitanti che vivono al di sotto della media europea.

Oggi non si può più accettare una situazione che vede il nostro Paese dividersi a causa di questo crescente dualismo. Ma allora che fare? Intanto comprendere le cause, a cominciare dalla caduta della presenza dello Stato per l’ingresso delle Regioni, che fu un fattore di arretramento. L’asse del potere si è spostato dal centro alla periferia, ma la tragedia è che la periferia è diventata il centro di se stessa. Il fatto è che l’enorme flusso di capitale trasferito al sud negli ultimi vent’anni, oltre a essere cresciuto, ha funzionato sempre peggio: lo Stato ha cannibalizzato il privato e il privato ha cannibalizzato lo Stato, mentre lo Stato deve tornare a fare lo Stato, opere pubbliche, legge e ordine, e il privato il privato. Da qui il federalismo fiscale che reintroduce il criterio del no taxation without representation, e il principio di responsabilità democratica, che permette il controllo dei costi e la valutazione dell’efficienza. Non che tutto il bilancio delle Regioni debba essere finanziato con entrate fiscali. Basterà una piccola percentuale per attivare i cittadini al controllo della spesa pubblica: e infatti, se si può aggiungere ogni voce di spesa a piè di lista, si è fuori dalla democrazia, e dalla democrazia si passa alla malavita. Allora perché non concentrare in un unico Fas meridionale i Fas delle regioni del sud, con la sola eccezione della Sicilia, e attivare il credito di imposta? E poi c’è il discorso sulla Banca del Sud, che sarà una banca privata, sul modello del Crédit Agricole, con lo Stato come promotore nella sola fase iniziale per favorire il credito alle piccole e medie imprese. Nel disegno di legge che presenterà il governo c’è anche un’altra norma che prevede che tutto il risparmio raccolto ovunque e comunque in Italia, in Friuli, Veneto o Lombardia, in qualsiasi luogo da qualsiasi banca con strumenti che canalizzano l’investimento dei capitali verso il sud avrà una ritenuta fiscale del 5 per cento, anziché del 27 com’è ora sui conti correnti o del 12,5 sui certificati di deposito. E’ l’ultimo uovo di Colombo per sdebitarsi col sud. La cosa che risulta oggettivamente strana è che tutti i ministri meridionali si sono opposti a un’iniziativa che non costa nulla ma può rendere molto.

Ecco, fa specie che a sostenere tutto quanto appena riportato sia un valtellinese, nativo di Sondrio e originario del Cadore, ovvero il ministro Giulio Tremonti. E non si capisce per quale motivo storici come Paolo Macry nutrano perplessità o preoccupazione rispetto alla vena filo-borbonica dei leghisti (http://archiviostorico.corriere.it/2009/novembre/01/baionette_sabaude_gli_ascari_africani_co_8_091101011.shtml). Ma dico: Macry ha idea di che razza di politici si ritrova il sud? Prendendo in esame l’esemplificativa situazione siciliana un dato risalta su tutti gli altri: a destra come a sinistra tutti sono esclusivamente impegnati a sostenere o a contrastare il sistema di potere messo in piedi da Cuffaro – attualmente in fase calante – o quello – emergente – di Lombardo.

Il Pdl Sicilia e il Pd Sicilia non sono nient’altro che questo: una lotta intestina all’interno dei due maggiori partiti a difesa di due opposti poteri. A farne le spese sono i mille problemi dell’Isola per i quali né l’uno, né l’altro partito sembrano mostrare interesse alcuno.

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