Scuola: no alla settimana corta! La dottoressa Arena, pedagogista clinico, ci spiega il perché...

Scuola: no alla settimana corta! La dottoressa Arena, pedagogista clinico, ci spiega il perché…

Redazione

Scuola: no alla settimana corta! La dottoressa Arena, pedagogista clinico, ci spiega il perché…

sabato 20 Ottobre 2007 - 12:00

980 sono le ore scolastiche previste annualmente dal sistema italiano. Troppe secondo una stima fatta basandosi su quello che avviene nel resto d’Europa dove la media si attesta intorno alle 800.

E’ di pochi giorni fa la notizia che la Francia, proprio per adeguarsi al resto del continente, ha scelto di ridurre l’orario scolastico facendo sì che gli studenti vadano a scuola quattro giorni su sette.

Ed in Italia monta la polemica, non tanto perché si considerano poche le ore di studio, ma perché – stando a quanto dichiarato dai politici – prima di fare un passo del genere è necessario risolvere un problema annoso, ovvero: i bambini dove e come potrebbero trascorrere il tempo sottratto alla scuola?

Ma è davvero così gravoso il carico che i nostri ragazzi sono costretti a sopportare, e dal punto di vista strettamente sociologico sarebbe opportuno prevedere una riforma simile a quella francese?

Lo abbiamo a Graziella Arena, docente e pedagogista clinico.

“L’educazione nella nostra epoca, dominata dalle nuove scoperte, dalle nuove tecnologie, dai mass media, non può essere altro che un’educazione al cambiamento. Questo, invero, rappresenta l’essenza della storia di ogni società, anche di quelle che appaiono più statiche, ma nessuno può contestare il fatto che, da qualche decennio a questa parte, le modificazioni stanno avvenendo in maniera molto più rapida rispetto al passato. E’ necessario, dunque, seguire il ritmo della dinamica sociale giacché il rischio è quello di essere tagliati fuori dall’orizzonte educativo.

Detto questo, sono purtroppo costretta a rilevare che la scuola oggi offre molto dal punto di vista delle attrezzature tecnologiche, ma poco sul piano personale e comunicativo.

I sociologi stessi affermano che questa generazione di giovani non ha riferimenti civici solidi-.

– E questo cosa significa?

“Che non sanno quali sono i punti forti di riferimento sociale, quelli su cui possono costruire la propria esistenza. Sembra anche che i giovani vivano con una grande disillusione, non credono più in niente: così, intraprendono un’esistenza senza ideali e senza sogni. E, in questo contesto, si decide di effettuare un orario prolungato a fronte di un minor numero di giorni di frequenza: per fare cosa? Per lasciare allo sbando i ragazzi durante il sabato e la domenica (e magari il venerdì)? Per lasciare che colmino il vuoto che si crea con il sentimento di appartenenza a quel gruppo che, a sua volta, è senza tempo e senza domani?-

– Ma davvero questo può essere frutto della minore frequenza scolastica?

“ Una scuola così strutturata non consente di costruire ideali puntando sulle potenzialità degli allievi, ma “taglia corto- lasciandoli in balia di se stessi. Una volta si creava l’attesa per la giornata scolastica, ci si chiedeva quali attività si sarebbero fatte perché la scuola stuzzicava quello che definisco “l’appetito culturale- ricorrendo, quando possibile, anche al gioco. Oggi, invece, il sentimento prevalente degli studenti è la noia…-

– Dunque no assoluto alla settimana corta?

“Vi voglio raccontare una storia che ascoltai nel corso di un convegno e che narra di un carpentiere il quale, giunto ormai alla pensione, disse al suo capo che pensava di lasciare il lavoro. Ma il capo era affezionato all’operaio e gli diede un’opportunità domandandogli il favore di costruire un’ultima casa prima di andarsene. Il carpentiere accettò di malavoglia e non lavorò con la precisione di sempre. Una volta terminato il lavoro il capo, notando che non si era impegnato come nei periodi precedenti, lo ricompensò comunque regalandogli le chiavi della costruzione appena terminata, giacché quello era il suo regalo nei confronti di un operaio che era stato sempre accorto.

Ma questa volta, per la SUA casa non si era impegnato ed il futuro si presentava, in qualche modo, compromesso.

Ecco, se educhiamo i giovani a fuggire dagli impegni invece che a portarli avanti con costanza, non otterremo certamente dei grandi risultati. Insegniamo loro a volare in alto!-

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