Taobuk. Il canto libero di 3 colossi della letteratura

Taobuk. Il canto libero di 3 colossi della letteratura

Emanuela Giorgianni

Taobuk. Il canto libero di 3 colossi della letteratura

Tag:

lunedì 19 Giugno 2023 - 08:00

Oates, Nafisi ed Ernaux - dopo aver ricevuto il Taobuk Award for Literary Excellence - si raccontano in tre incontri separati ma dalla forte continuità

TAORMINA – 3 donne diverse, 3 espressioni di libertà, 3 colossi della letteratura straniera. L’americana Joyce Carol Oates, l’iraniana Azar Nafisi e la francese Premio Nobel 2022 Annie Ernaux sono le protagoniste della XIII edizione del Taobuk, dedicata a “Le libertà”.

Dopo aver ricevuto, durante la serata di gala al Teatro Antico di Taormina, il Taobuk Award for Literary Excellence, le scrittrici si donano al pubblico nella giornata di domenica. Tre incontri differenti ma che risultano, alla fine, legati da una forte continuità.

La prima è Joyce Carol Oates con un incontro dal titolo “Oltre gli abissi della plutocrazia e dell’oppressione. Il canto libero di Joyce Carol Oates” in dialogo con Farah Nayeri del The New York Times e le letture dell’attrice Donatella Finocchiaro.

Dopo di lei, Azar Nafisi dialoga con Barbara Stefanelli, vicedirettrice vicaria de Il Corriere della Sera e fondatrice de Il Tempo delle donne, di “La libertà delle libertà: il diritto all’immaginazione. Il «passaporto della lettura» contro ogni forma di discriminazione”. Ad accompagnarle le letture di Donatella Finocchiaro.

E, infine, Annie Ernaux con “L’autobiografia condivisa per denunciare i vincoli sociali. Liberarsi delle sovrastrutture che intralciano la libertà”. Modera Caterina Andò, giornalista e membro del Comitato Scientifico di Taobuk See Sicily. Con Lorenzo Flabbi, critico letterario e co-fondatore della Casa Editrice L’Orma, editore e traduttore italiano delle opere di Annie Ernaux. E, ancora, le letture di Donatella Finocchiaro.

L’amore per Taormina

Tutte e tre le autrici sentono il dovere di cominciare esprimendo la propria gratitudine verso Taormina, che le ha accolte e fatto vivere un sogno. “Qui ho vissuto l’unità tra corpo, cuore e anima, il Festival mi ha dato grandi emozioni” afferma Nafisi. “È un’esperienza commovente trovarmi in un luogo che ha più di 2 mila anni, io vengo da un paese che ha poco più di 300 anni e non so neanche se arriverà a 400. Stare qui ha elevato il mio spirito” dichiara Oates. E precisa Ernaux: “Mi sento di dire grazie alle organizzatrici. Sono veramente tante le donne dietro il Taobuk, perciò credo di poter esprimermi così, di usare stavolta il femminile come generico”.

L’influenza della letteratura italiana

Ciascuna di loro ha, poi, riconosciuto il valore della nostra letteratura per la propria formazione. La Oates racconta di essersi dedicata, proprio prima di arrivare al Taobuk, alla rilettura di due italiani che ama molto: “Ho letto Alberto Moravia e Dino Buzzati, loro riescono a trascinare me, che non sono italiana, ben al di sotto della superficie delle cose. Da turisti vediamo solo la superficie, la loro letteratura – la loro come di tanti grandi vostri italiani – riesce ad offrirci un’esperienza profonda della realtà delle cose descritte”.

Per questa stessa ragione, Nafisi ha dichiarato di aver conosciuto molto bene l’Italia già prima di visitarla, grazie alle storie che il papà le raccontava prima di andare a dormire. “Ho iniziato a coltivare l’immaginazione a 3 anni, quando mio papà mi raccontava delle storie ogni sera. Nel farlo era sempre molto democratico, ogni sera cambiava luogo e autore: mi ha portato tra le vite delle donne iraniane, poi, in Francia con Il piccolo principe, con l’Italia abbiamo iniziato da Pinocchio. Nella mia cameretta di Teheran stava entrando il mondo intero e, da allora, non ha più smesso di farlo. Vi conoscevo già tutti prima di incontrarvi tramite le parole di Dante, Ovidio, Calvino, Svevo, Natalia Ginzburg. Per non parlare del cinema italiano: sono, da sempre, pazza di Franco e Ciccio, ho seguito Rossano Brazzi, i grandi cineasti come Fellini, Rossellini, Pasolini e De Sica. L’immaginazione in Iran ci è servita proprio a questo, ci ha permesso di restare in contatto con il resto del mondo; la vostra musica, la possibilità di leggere i vostri libri – anche se di nascosto – ci ha permesso di portare il mondo da noi, quando non potevamo scappare noi nel mondo”.

A lungo, infatti, Nafisi si sofferma sul ruolo dell’immaginazione: “L’immaginazione è poter vedere qualcosa di diverso, è fare accadere ciò che ancora non è accaduto. È l’immaginazione che ha dato la forza alle donne in Iran per combattere e cambiare le cose. Sappiamo di uscire senza essere sicure di tornare a casa, ma è la voglia e la necessità di immaginare che le cose siano e potranno essere diverse che ci porta a farlo. Per questo l’immaginazione è fondamentale in Iran e tanto pericolosa per il regime, ma in Italia tutto è immaginazione, guardatevi intorno, l’immaginazione è ovunque”.

La forza delle donne

Centrale nelle discussioni delle tre autrici è il dibattito sul coraggio e la libertà delle donne. Ovviamente Nafisi ne porta la sua testimonianza: “Se vado in Iran sono costretta ad indossare un velo che non mi rende più chi sono. Questo vuole il regime, toglierci l’identità, la singolarità della femminilità, renderci qualcosa che non siamo. Contro questo combattiamo. La prima donna a togliere il velo in pubblico fu una bellissima poetessa. Tutti capirono che il suo gesto fosse un evento universale, alcuni uomini rimasero talmente scioccati da tagliarsi la gola con un coltello. Venne arrestata da quello che noi chiamiamo il clero e imprigionata in casa di un notabile per circa quattro anni. Poiché era molto conosciuta non volevano ucciderla e trasformarla, così, in un simbolo ma, non riuscendo mai a ricondurla all’ortodossia, la condannarono a morte. Di notte, e in segreto, la strangolarono con il suo stesso velo e la buttarono da un ponte, così da non poterle neanche offrire sepoltura. Dobbiamo raccontare queste storie. La sua lotta di emancipazione adesso è la lotta di emancipazione di tutte noi. Il suo nome era Tahirin”.

Le storie vanno raccontate per “salvarne il vissuto”. È ciò su cui si sofferma anche Ernaux: “Salvare tutto ciò che si è vissuto. Non dico tutto ciò che ho vissuto, ma che si è vissuto a livello collettivo”. Anche lei riflette sul coraggio delle donne, sull’impegno per la propria libertà e il diritto sul proprio corpo, tramite i pensieri del suo “Memoria di ragazza”: racconto autobiografico anticipatore dei temi e della lotta del movimento Me too, del quale Ernaux è una forte sostenitrice.

“Mi ha preso un sacco di tempo scrivere questo libro, è il racconto di quando ho lasciato che un ragazzo facesse ciò che voleva del mio corpo. Avevo 18 anni, era il 1958. Non lo chiamavo violenza ai tempi, non lo chiamavo stupro, ma ora utilizzerei questo nome. Io ne ho scritto prima che scoppiasse la battaglia del Me too; fortunatamente, adesso, il movimento ha fatto tanto per le donne. Ha rimesso in discussione la politica del consenso”.

Il racconto del vissuto

Una parte importante delle discussioni delle 3 autrici è dedicata al racconto del loro vissuto esperienziale, personale e autobiografico e all’impatto che esso ha avuto sulla loro scrittura.

La vita della Oates è stata caratterizzata dalla tragedia, forse da qui nasce la voglia di raccontarla: “La tragedia è una forma d’arte per me, su di essa voglio concentrare la mia attenzione” dichiara. Quando è solo una bambina deve confrontarsi con la morte della nonna, con la quale viveva. Poi, la scoperta che il padre si fosse suicidato sparandosi in bocca: “Una storia di grande dolore caratterizza la mia famiglia, una violenza gemella ha fatto trovare i miei genitori, da tale violenza arrivo io, che poi l’ho vissuta a mia volta. Mi sono chiesta per tutta la vita cosa significhi il lutto, quale sia il senso di tanto dolore”. Questo ha ispirato tutta la sua letteratura.

Anche nella vita dell’Ernaux fu il dolore il campanello d’allarme rivelatore della necessità per lei della scrittura. Due suoi lavori amatissimi sono dedicati alla storia dei genitori. “Il posto” è il racconto dell’esperienza di vita del padre tramite la sua stessa esperienza personale e, viceversa, il racconto dell’esperienza personale di Ernaux attraverso quella della vita di suo padre. Così la scrittrice ripercorre i suoi ricordi: “Mio papà ha avuto un infarto e due giorni dopo è venuto a mancare; dopo questo evento scioccante ho sentito un bisogno incredibile di scrivere, ho compreso che scrivere per me non fosse una semplice esperienza individuale, ma una imperiosa necessità. Come ho detto anche in occasione del ricevimento del Premio Nobel: scrivo per la necessità di rivendicare la mia razza. Ho capito che c’era una distanza molto forte tra me e mio padre dopo la sua morte, la scrittura mi è servita a sanare questa separazione”.
Alla mamma, invece, è dedicato il libro “Una donna”; mamma malata di Alzheimer in un tempo in cui la malattia non era ancora abbastanza studiata, non aveva neanche un nome preciso a definirla. “Questo libro – spiega Ernaux – è molto diverso rispetto al libro su mio padre. Il posto aveva un forte intento politico: volevo mettere in luce il mondo dei dominati cui mio padre apparteneva. Non avendo studiato, non avendo una cultura, mio padre non era libero di scegliere e, quindi, controllabile. Perdonandolo e perdonandomi, volevo ergere il mio inno di denuncia verso tutto ciò. Questo è, invece, assente nel desiderio di raccontare mia mamma e viverne il lutto”.

Anche Azar Nafisi ha usato la scrittura come strumento per comprendere la sua famiglia, per riuscire a riappacificarsene. Le cose che non ho detto è, infatti, un magnifico ritratto dei genitori di Nafisi e del suo rapporto con essi. Del padre, sindaco di Teheran all’epoca dello scià, e della madre, fra le prime sei donne nel Parlamento iraniano. Dei tradimenti del padre e della difficile convivenza di Azar con entrambi. Ci spiega allora: “Sembra che le scrittrici sappiano tutto, in realtà noi non sappiamo niente, indaghiamo semplicemente sulle cose per conoscerle. Ho dovuto indagare tanto sulla mia famiglia per comprenderla, ho dovuto riflettere su questa realtà – la mia – per poterci far pace”.
“Questa stessa mamma che ho tanto faticato a comprendere – prosegue – la mattina prima che partissi dall’Iran mi raccomandò soltanto una cosa: ‘dillo! Parla! Continua a raccontare la vita che facciamo qui, portala nel mondo’. E me lo ripete ancora oggi. Non mi disse mai come gli altri genitori degli espratiatri: “stai attenta, non parlare, proteggiti”; lei mi dice “ti ho ascoltata alla televisione, brava, continua così, dillo!”.

Ma questo stesso appello, oggi, Nafisi rivolge ai presenti: “Vi chiedo lo stesso: ascoltate gli iraniani, parlate con gli iraniani, parlate degli iraniani. La libertà è come la vita, va nutrita quotidianamente, quotidianamente bisogna ricordarsi che va conquistata. Vi prego di non lasciare sole le donne iraniane”.

Dalla vita alla scrittura, dalla scrittura alla vita, in questa dolce circolarità si articola il canto libero di 3 grandi autrici e 3 grandi donne al Taobuk.

Articoli correlati

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta
Tempostretto - Quotidiano online delle Città Metropolitane di Messina e Reggio Calabria

Via Francesco Crispi 4 98121 - Messina

Marco Olivieri direttore responsabile

Privacy Policy

Termini e Condizioni

info@tempostretto.it

Telefono 090.9412305

Fax 090.2509937 P.IVA 02916600832

n° reg. tribunale 04/2007 del 05/06/2007