Mario Scaccia, la passione fatta teatro

Mario Scaccia, la passione fatta teatro

Mario Scaccia, la passione fatta teatro

lunedì 09 Febbraio 2009 - 15:05

Intervista di Gigi Giacobbe a un protagonista della scena teatrale italiana

Ho incontrato Mario Scaccia in varie occasioni. L’ultima alcuni anni fa a Siracusa quando in un Edipo re di Sofocle vestiva i panni di Tiresia. Adesso, in occasione de Il signore va a caccia (Monsieur chasse ) di Feydeau al Vittorio Emanuele di Messina, di cui oltre a curare la regia veste maliziosamente gli eleganti abiti neri d’una maitresse da Belle Epoque, ci diamo appuntamento all’Hotel Commercio di Via I° Settembre. Appena lo scorgo da lontano in una fredda domenica mattina di febbraio, anche se chiuso nel suo cappotto nero, cappello, sciarpa e occhiali, capisco che è lui perché è rimasto intatto il suo sguardo luciferino, il suo viso antico, somigliante al ritratto di Federico di Montefeltro di Piero della Francesca e non sembra che il prossimo 26 dicembre compirà 90 anni. Compriamo i giornali e ci accomodiamo nel gazebo all’aperto del Bar Progresso del Viale San Martino basso.

Caro Scaccia quando ha cominciato a far teatro?

«Si può dire che sono nato recitando. Vivevo a Roma con le mie tre zie e una in particolare, appassionata di teatro, recitava in una filodrammatica che gestiva pure con funzioni di capocomico. Avevo 3 anni quando mise su uno spettacolo in cui lei aveva il ruolo d’una martire e io andavo a morte con lei. Non feci il pittore-ritrattista come mio padre, ma in compenso girai tutte le filodrammatiche. Poi a 18 anni incontrai Diego Fabbri che mi portò nella sua compagnia per mettere in scena l’Alcesti di Euripide e rimasi molto attratto da questo mondo».

bell’inizio visto che Fabbri si rivelerà poi uno dei più interessanti drammaturghi italiani. Che succede poi?

«Succede che parto militare, avrò avuto 19-20 anni, e dopo varie vicissitudini a Novara, Cuneo etc.., partecipo alla guerra d’Africa dove vengo fatto prigioniero e trascorro tre anni in Algeria»

E il Teatro che fine fa?

«Debbo ringraziare quegli anni se poi la mia vita è cambiata completamente. Infatti ad Algeri conobbi una ragazza amante del teatro che si chiamava Marielle e che mi diede la sceneggiatura del film La femme du boulanger ( La moglie del fornaio ) realizzato poi dal regista e autore drammatico francese Marcel Pagnol nel 1939. Non so come questa ragazza fosse entrata in possesso di questo testo, fatto sta che io poi lo tradussi in italiano, ne feci una commedia, la misi in scena recitando il ruolo del fornaio e scoprii così la mia natura d’attore».

Bella natura la sua visto che poi ha interpretato centinaia di personaggi in cinema e in teatro che rimangono ancora indelebili, come il Polonio dell’Amleto, l’ebreo Shylock de Il mercante di Venezia, il Malvolio de La dodicesima notte… o il Fra Timoteo de La mandragola di Macchiavelli, il Chicchigliola di Ettore Petrolini e poi i tanti Berckett e Ionesco etc..non finiremmo più di enumerarli tutti. Le chiedo, ha qualche rimpianto in teatro?

«Rimpianti veri e propri no, però mi sarebbe piaciuto interpretare l’Alceste de Il misantropo di Moliere e il Re Lear di Shakespeare, i cui caratteri comunque li ho incontrati poi in tanti altri lavori».

Questo spettacolo di Feydeau transitato dal Vittorio mi pare sia un suo cavallo di battaglia. Quando lo ha messo in scena la prima volta?

«La prima volta risale al 1959 quando io facevo la parte del marito di Leontine, ma la regia era d’un vostro concittadino, Mario Landi, diventato poi famoso per la serie televisiva del Commissario Maigret interpretato da Gino Cervi. Poi l’ho interpretato ancora nel 1975 accanto alla bella Isabella Incontrera con centinaia di repliche e adesso, mettendolo io in scena, ho voluto Debora Caprioglio come protagonista e la mia parte l’ho data ad Edoardo Sala che lavora con me da quarant’anni».

Anche agli inizi degli anni ’90 quando venne a Messina con I ragazzi irresistibili di Neil Simon doveva esserci nel cast una bella ragazza del calibro di Valeria Marini a quel tempo completamente sconosciuta. Perché non fu presente a quello spettacolo?

«Perché Fiorenzo Fiorentini, che era l’altro co-protagonista, ebbe un incidente stradale con varie ferite e incrinatura delle vertebre, mentre la Marini che viaggiava con lui si ruppe la clavicola e un braccio e dovetti sostituire Fiorentino con Aldo Giuffrè e la Marini con un’altra giovane attrice».

Ha più rivisto la Marini?

«Mi pare qualche altra volta, anche se qualcuno mi riferisce che va a dire in giro d’essere stata mia allieva. Certamente non aveva un gran talento d’attrice, tant’è che io con quel suo gran culo la raccomandai agli amici del Bagaglino che la scritturarono seduta stante».

Lei ha fatto tante pieces di Ionesco (Delirio a due, Le sedie, La lezione…). Cosa l’interessava di questo autore del “ Teatro dell’assurdo ”?

«Non solo ho conosciuto Ionesco ma siamo diventati pure amici, chiacchierando a lungo di teatro e anche di Feydeau, Labiche e Courteline che a lui piacevano e interessano tanto».

Senta Scaccia, per finire, che cos’è il Teatro per lei?

«E’ un gioco che si svolge tra la platea e il palcoscenico. Il Teatro per me è la vita. Solo in Teatro riesco ad avere una personalità, a capire ciò che va bene e che non va bene. Nella vita sono uno sprovveduto, non ho il senso pratico, vivo al rimorchio degli altri. Ho vissuto sempre per il Teatro. Il Teatro mi dà la forza di muovermi, di gestirmi, di vivere. In questo Monsieur chasse di Feydeau, ad esempio, mancava il personaggio femminile di Madame Latour e cosa ho fatto? L’ho rimpiazzato io agghindandomi da gran dama».

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