"Quando come un coperchio" di Auretta Sterrantino. Aperta la rassegna "Atto Unico"

“Quando come un coperchio” di Auretta Sterrantino. Aperta la rassegna “Atto Unico”

Laura Giacobbe

“Quando come un coperchio” di Auretta Sterrantino. Aperta la rassegna “Atto Unico”

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mercoledì 28 Ottobre 2015 - 08:24

Un omaggio al lavoro di quattro grandi personalità artistiche: Lucio Piccolo, Eugenio Montale, Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino.

E’ andata in scena domenica scorsa, in doppio appuntamento, la pièce di apertura della rassegna del teatro Savio di Messina “Atto Unico – Scene di vita. Vite di Scena”. La direzione artistica a cura di Auretta Sterrantino ha inaugurato la terza edizione con lo spettacolo dal titolo “Quando come un coperchio”, scritto e diretto dalla stessa Sterrantino. Lo spettacolo, già rappresentato in città nel Febbraio di quest’anno nell’ambito della rassegna “Incroci”, vuole essere un omaggio al lavoro di quattro grandi personalità artistiche care all’autrice: Lucio Piccolo, Eugenio Montale, Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino.
Protagonisti della vicenda, Oreste De Pasquale e Giada Vadalà, rispettivamente nei panni di Bruno ed Amelia, personaggi ambigui e ritrosi, intendi a scrutare tra le pieghe di una quotidianità sbiadita, alla ricerca ossessiva di un senso andato perduto.
La scena, un salotto retrò dal sapore stantio, è riflesso di due esistenze che hanno perso il contatto col mondo esterno. Per prima si manifesta, prepotente, la presenza di lui, che capiamo essere uno scrittore, tormentato dai capricci dell’ispirazione e dal parere di un possibile mecenate, che tarda ad esprimersi. Solo dopo ci si accorge di lei, che schiva e quasi in rispettoso silenzio si muove sulla scena. E mentre lui a grandi falcate la attraversa e idealmente la occupa tutta, lei ne contorna i bordi, restando sempre un po’ ai margini.
E’ notte, scopriamo quasi subito, perché la luce del giorno, così come il mare, la brezza ed ogni altro indizio di vita, sconvolge l’animo turbato del padrone di casa, e la donna, che pure vorrebbe goderne, si adegua al volere di lui senza capirne il motivo, per semplice devozione o per abitudine. Strani rituali scandiscono il passare delle ore, mentre i versi declamati di lui si alternano agli interrogativi di lei, lanciati nell’aria come grida nel deserto, che in un attimo svaniscono. Ma nello spazio saturo di attese mancate e di domande senza risposta, mentre gli stessi gesti si ripetono all’infinito in un “tempo non tempo” statico e circolare, d’un tratto percepiamo un punto di rottura. Un oggetto qualunque, prima passato inosservato, simbolilisticamente di colpo si carica di significato e diventa chiave di tutto.

Le musiche di Vincenzo Quadarella, discreto ma indispensabile contorno al ben calibrato lavoro degli interpreti, contribuiscono efficacemente a creare la tensione scenica. Convincente risulta anche l’allestimento scenografico, con il fondale dominato da una scalinata che sale verso l’ignoto, ingombrante ed impossibile da ignorare, che quasi come un mantra sembra volerci ricordare che non possiamo liberarci dai nostri fantasmi, neanche se lo vogliamo.

Laura Giacobbe

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