La Regina di ghiaccio. Uscita in libertà

La Regina di ghiaccio. Uscita in libertà

Tosi Siragusa

La Regina di ghiaccio. Uscita in libertà

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martedì 27 Febbraio 2018 - 07:46

Non convince la Turandot pop firmata da Maurizio Colombi. . Le coreografie di Rita Pivano sono apparse invece convincenti, come le scene di Alessandro Chiti e la videografia di Marco Schiavone; anche il disegno luci di Alessio De Simone e il disegno suono di Emanuele Carlucci hanno raggiunto esiti discreti

Liberamente (troppo) ispirato alla Turandot di Giacomo Puccini, il musical prodotto da “Teatro Brancaccio” e diretto da Maurizio Colombo non convince (non potrebbe) i palati fini, costruito come è intorno alla figura di Lorella Cuccarini e poco attento quanto alle musiche e ai testi. Teatro Vittorio Emanuele gremito al debutto messinese e tanti applausi, va detto.

La vicenda di base è ben nota, forse meno il suo essere di derivazione persiana, inserita fra i “Racconti” di quelle latitudini, prima di aver costituito materia prima per la celeberrima opera incompiuta pucciniana. La principessa cinese è di divina bellezza, ma gravata da sortilegio e il suo solo ritratto ha il potere di sedurre i giovani rampolli reali, ai quali è riservata una tragica fine, ma dopo fiere resistenze e tanto sangue di vittime sacrificali, è alfine vinta dal giovane principe Calaf, persiano appunto, che è saggio, valente bello e tanto ardente. Il folclore orientale contribuisce a ricreare un ambiente di fiaba e sogno, che contrasta con la crudele alterigia e la sdegnosità della fanciulla, che ha costretto il re Altun-Can, suo padre, a pubblicare un editto secondo cui nessun principe potrà aspirare alla sua mano se non saprà dare la soluzione a tre difficilissimi enigmi; la sconfitta causerà la perdita della testa – e non solo letteralmente – dei malcapitati pretendenti. Turandot considera infatti insolenza che il più nobile dei principi osi elevare il suo pensiero fino a lei e, poiché però la sua perfetta bellezza continua ad attrarre i dissennati, le esecuzioni capitali si susseguono poiché non si riesce a indovinare la risposta alle sue fatali domande….. finchè Calaf non è accettato in sposo da Turandot, che, a parti invertite, riuscirà ad indovinare il suo nome, e il suo essere figlio Timur–Tasch e, ricambiando la generosità del principe (che in vero aveva risolto gli indovinelli) acconsentirà lo stesso alle nozze. Questa l’accattivante storia. Il musical riprende la tematica in modo stucchevole, dandone una lettura più adatta all’infanzia (elemento questo, certo, di per sé non necessariamente disdicevole) con inserimento di personaggi quali le tre streghe, Tormenta, Gelida e Nebbia (fautrici dell’incantesimo che ha reso la regina crudele e malefica) costruite sul modello delle Trix (anche per i costumi) e che forse avrebbero voluto ricalcare (parodisticamente) le tre sorelle fatali del “Macbeth”. I consiglieri dell’imperatore sono, come in Turandot, Ping, Pong, Pang, i tre saggi eunuchi; vi sono poi un grazioso albero parlante, la Dea (bambina) della Luna, Changè, e il Dio del Sole Yao, tutti introdotti “ex novo”. Parecchi anche gli effetti speciali, che vorrebbero coinvolgere gli spettatori con uso di raffinate tecnologie, apprezzabili certo. Pietro Pignatelli è Calaf e non brilla di certo per la sua interpretazione. Lorella Cuccarini- con parrucca nero corvino – non convince appieno nel ruolo di “cuore di ghiaccio”, né i costumi creati per lei per l’occasione da Francesca Grassi con il candido bianco a simboleggiare quella algida freddezza, pur se è abbastanza disinvolta e agile ma forse un po’ fuori parte. I testi di Maurizio Colombi e Giulio Nannini sono poco incisivi e sovente banali e le musiche di Davide Magnabosco, Paolo Barillari e Alex Procacci, unitamente alla direzione musicale e agli arrangiamenti, non soddisfano.

I diciotto brani musicali hanno riferimenti melodici ad alcune famose arie di Puccini – non solo da Turandot, ma da Madame Butterfly, come il coro muto, e Boheme, per dirne solo alcune. Le coreografie di Rita Pivano sono apparse invece convincenti, come le scene di Alessandro Chiti e la videografia di Marco Schiavone; anche il disegno luci di Alessio De Simone e il disegno suono di Emanuele Carlucci hanno raggiunto esiti discreti. Insomma, un cast creativo solo in parte riuscito e un cast artistico solo sufficiente. In conclusione, il mito o complesso di Brunilde, figlia di Wotan, che tante storie e favole ha ispirato, e che nella ieratica Turandot trova fulgore e centralità, non aveva di certo bisogno di essere rispolverato in toni che non possono che definirsi minori: se il musical non avesse avuto la pretesa di ispirarsi al mitico personaggio e avesse scelto un soggetto del tutto originale (anziché scimmiottare i precedenti illustri) certo ne avremmo potuto parlare diversamente.

Tosi Siragusa

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