“Amleto”, tempo fuor di sesto

“Amleto”, tempo fuor di sesto

Domenico Colosi

“Amleto”, tempo fuor di sesto

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sabato 27 Febbraio 2016 - 15:50

Incisivo adattamento del classico shakespeariano da parte di Ninni Bruschetta, tra continue accelerazioni e brillanti soluzioni sceniche. Ottime le interpretazioni di Angelo Campolo e Francesco Natoli

Fantasmi e vendette alla corte di Danimarca, gli echi di guerre lontane non interferiscono sull’inarrestabile sete di sangue scaturita dalla violenta uccisione del legittimo sovrano: un trono usurpato, una regina svampita, un principe in cerca di sicurezze. L’incesto sotto le lenzuola, la pazzia, una messinscena rivelatrice: dopo le perplessità scatta il redde rationem, i deboli abbandonano la scena, il meccanismo imperfetto della vendetta chiede sangue al sangue. Solo nel racconto di un amico fidato l’eredità di Amleto, principe di Danimarca.

Reduce dalle fortunate date in Lombardia ad un anno di distanza dalla prima assoluta al Teatro Placido Mandanici di Barcellona Pozzo di Gotto, l’“Amleto” di Ninni Bruschetta approda a Messina all’apice della maturazione di un lavoro che mostra un'armonia tra le parti spia di una riuscita traduzione delle intenzioni in azioni. Il dialogo tra antico e moderno, con una visione pulp del classico shakespeariano alimentata probabilmente dalla stessa ambizione dei giovani attori in scena, abbandona il lirismo per soggiornare nell’orgia decadente dell’eterno “tempo fuor di sesto” della natura umana: accelerazioni continue, velocità d’esecuzione e rapide transizioni per un continuum che non lascia spazio allo sterile autocompiacimento, al silenzio carico di intellettualistica meditazione. In questo senso, esemplare l’interpretazione del protagonista Angelo Campolo, costantemente in grado di dettare i tempi all’intero lavoro al di là delle esigenze strettamente narrative. Guida motivazionale per i più giovani, l’attore messinese trascina verso il disvelamento i vari Orazio, Rosencratz, Guildenstern, Polonio e Laerte, occupando il palcoscenico con una grazia sorniona figlia delle stesse intenzioni del regista. Se anche in questa occasione, nonostante le brillanti doti interpretative, l’Ofelia di Celeste Gugliandolo resta fuori fuoco e quasi avulsa dal meccanismo costruito da Bruschetta, si rivelano ancora più aderenti al disegno originale le prove di Antonio Alveario (Polonio), Ivan Bertolami (Laerte), Diego e Dario Delfino (Rosencratz e Guildenstern) e Simone Corso (Marcello); discorso a parte per Francesco Natoli (Orazio), tra i migliori sin dal debutto al Teatro Mandanici e candidato a rappresentare una speranza per l’intero movimento teatrale messinese. A conclusione del discorso meritano una menzione anche i suggestivi camei di Giovanni Boncoddo (il Fantasma) e Maurizio Puglisi (il becchino), sapientemente introdotti in un lavoro che vede protagonisti soprattutto giovani e giovanissimi formati nei vari laboratori teatrali cittadini: l’esperienza, in questo caso, si traduce felicemente in un ideale passaggio di testimone tra generazioni. Nota a parte per le scene di Mariella Bellantone, con un piattaforma-ring circondata da panche removibili che rendono gli stessi attori spettatori del proprio lavoro, e le musiche dal vivo di Giancarlo Scorziello e Toni Canto, co-protagoniste dell’azione con puntuali sottolineature.

In un Teatro Vittorio Emanuele da tutto esaurito, gli scroscianti applausi finali vengono interrotti dalle parole di Bruschetta, che dedica lo spettacolo all’attrice suicida Monica Samassa. Teatro specchio della realtà: pace per le vittime di un tempo fuor di sesto.

Domenico Colosi

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