“Don Giovanni”, 2+2=4

“Don Giovanni”, 2+2=4

Domenico Colosi

“Don Giovanni”, 2+2=4

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lunedì 01 Febbraio 2016 - 12:08

Semplicità ed eleganza nel classico di Molière proposto al Teatro Vittorio Emanuele dall’attore e regista napoletano Alessandro Preziosi. Tutto esaurito e applausi a scena aperta per uno spettacolo convincente fin nei minimi dettagli

Le donne, prima di tutto, le avventure galanti, gli intrighi, le menzogne. Nessun Dio per il libertino Don Giovanni, solo un 2+2=4 a segnare un’esistenza condotta sempre al limite: la ricerca del piacere, la bocca svincolata dal cuore, una corsa a perdifiato verso la rovina, Inferno e Paradiso parole prive di significato. Intorno una società triste, bigotta: una finta conversione, l’ipocrisia come estrema opportunità per redimersi agli occhi del mondo, ennesima beffa prima del rogo finale. L’edonismo a fare da filo conduttore alle vicende picaresche del nobile spagnolo, tra spose presto dimenticate, duelli, vendette, avventure esotiche e noia: una questione di temperamento la necessità di spezzare l’ordine costituito con la passione per l’effimero. Cupio dissolvi o guerra contro tutti i luoghi comuni, con una religione divenuta sterile superstizione dove ogni mistero ha bisogno di goffe spiegazioni per essere compreso: la salvezza solo nella soddisfazione del proprio ego una volta dismesse le opprimenti camicie di forza della virtù.

Un’enorme cornice a contornare il ritratto della società occidentale: gioco di scambi e rimandi il “Don Giovanni” di Molière messo in scena da Alessandro Preziosi, rapido nei dialoghi, privo di paludamenti o macchiettistiche derisioni. Prova attoriale perfetta quella dell’attore e regista napoletano, sottolineata dagli applausi a scena aperta del Teatro Vittorio Emanuele: accelerazioni e rallentamenti in un’inappuntabile scelta di tempi per esaltare la complessità di un testo in grado da quattrocento anni di rivelare nuove sfumature sulla condizione umana. Sullo sfondo uno schermo interattivo a mostrare i cambi di scena e a far da contrappunto alle vicende narrate: saggio uso per una tecnologia messa a servizio della narrazione, semplice supporto alla brillante prova degli attori. Dai mexican standoff studiati dal regista per i primi atti (quando lo sviluppo della trama si impone sulle motivazioni) ai semplici movimenti controllati dell’epilogo, traspare costantemente l’esigenza di un disegno unitario che leghi senza scossoni azione e parola: lo scopo del Teatro, dopotutto, centrato con elegante semplicità. Da sottolineare tra le interpretazioni quella di Nando Paone nel ruolo del fido Sganarello, naturalmente umano in una parte che rischia ad ogni replica prove comicamente grottesche; in questa direzione, una menzione anche per Lucrezia Guidone, perfettamente calibrata nei panni della sfortunata Donna Elvira.

La semplice addizione, dunque, metafora di un credo e dello stesso spettacolo: ogni cosa ritrova il suo posto senza frizioni, con i necessari ammodernamenti sapientemente gestiti all’interno di un disegno compatto; nessun deja-vu, solo nuove domande da sorteggiare tra tutte le risposte scontate che attraversano il nostro tempo.

Domenico Colosi

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