Il regista Erik Gandini intervistato sull'uscita in libreria di Videocracy
Evento speciale a Venezia 2009, esce in libreria Videocracy. Basta apparire cui si allega il libro Come tutto è cominciato a cura di Andrea Salerno, ricco di interventi interessanti come quello di Curzio Maltese e Andrea Purgatori(Fandango; libro+dvd; €17.90). Erik Gandini, regista e produttore italiano naturalizzato svedese, rispondendo alle domande di Tempostretto.it, ribadisce come oggi sia impensabile pensare di usare la censura tanto in tv che su Facebook:«sono metodi vecchi propri della guerra fredda». Videocracy ha raccolto grande successo grazie al passaparola di chi lo ha visto in sala. Un lavoro controcorrente, realizzato con mezzi esigui per spiegare cosa sia la videocrazia, per mostrare che «dietro i sorrisi e gli applausi, dietro la cultura della banalità c’è un mondo che la tv non vuole mostrare». E di cui il premier, Silvio Berlusconi è un simbolo vivente.
Ti aspettavi tanto clamore per l’uscita di Videocracy? Il trailer è stato anche censurato…
«Assolutamente no. Fare documentari è un lavoro semplice ma complicato: trasporti attrezzatura pesante da una parte all’altra, la componente glamour del lavoro cinematografico è completamente assente. E’ un lavoro di fatica e proprio per questo mi ha sorpreso notare come questo argomento abbia destato tanto interesse, soprattutto se pensi che Videocracy non era stato neanche ideato per il pubblico italiano. La vicenda del trailer è molto triste, l’idea di voler censurare delle verità con tecniche antiquate, quasi da guerra fredda, ha fatto sì che il giorno dopo ci fosse un boom di contatti su YouTube e di fatto, è stato un lancio pubblicitario pazzesco».
In Italia oltre il 70% delle persone utilizzano la tv come principale fonte d’informazione. Possiamo sottoscrivere l’affermazione di Lele Mora, che la tv è una scatola magica?
«Sì, però oggi siamo in una fase di transizione, credo che questo periodo stia terminando. Ho letto questa storia di un poliziotto russo che, stufo della corruzione imperante nel suo mondo, si è auto-intervistato denunciando tutto e ha pubblicato tutto su YouTube. E’ stato licenziato immediatamente ma è scoppiato un caso che ha coinvolto il ministero. Cosa voglio dire? Oggi abbiamo tutti la possibilità di far sentire la nostra voce, di realizzare documentari anche a costi bassissimi. Per questo credo che sia impossibile ricreare il monopolio dell’informazione che sorse negli anni ‘80».
A proposito, cosa ne pensi delle dichiarazioni del Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, di intervenire e censurare i gruppi su Facebook?
«Questo è esattamente ciò che intendevo. Sono tecniche arcaiche, proprie dei sistemi totalitari come la Corea del Nord, che non possono più funzionare. Il mondo è cambiato ed è inutile far finta di nulla».
Nel documentario il personaggio di Fabrizio Corona è centrale. La sua condanna è un segnale positivo o è una misura di protezione del sistema?
«Non ho seguito benissimo le trafile processuali. Certamente lui vuole presentarsi come fosse la vittima e mi interessa raccontare questo contrasto fra la verità e come essa venga rappresentata. Anche Berlusconi si presenta sempre come vittima, nonostante goda di grandi privilegi. Dopo gli ultimi avvenimenti questo atteggiamento è addirittura esasperato. Questa è la videocrazia: un sistema in cui l’apparenza conta più della verità».
Mi ha colpito la frase: Nessuno sorride come il Presidente. Ma cosa nasconde quel sorriso?
«E’ un talento che possiede in quanto uomo della televisione che si palesa nella sua capacità di non appoggiarsi ai fatti ma all’apparenza. Si presenta puntando al cuore di chi lo ascolta, è un nuovo modo di fare politica. Purtroppo dietro quel sorriso ci sono tante cose che non fanno affatto ridere. Lui punta sulla cultura televisiva, è il suo credo: tutti dobbiamo ridere, divertirci e non pensare a nulla. Con Videocracy ho voluto mostrare come ci sia un mondo, una realtà diversa che la tv non intende mostrare. Finchè si ride non si pensa. Ecco, creda sia giunto il momento di aprire gli occhi».
Vivi in Svezia. Che impressione hanno gli svedesi della nostra tv?
«All’estero ci si domanda come sia possibile che nonostante tutte le accuse, Berlusconi sia sempre in sella. Ci si sofferma sulle sue uscite pubbliche che fanno ridere ma anche riflettere. Ma sono rimasto molto soddisfatto che all’estero abbiano sottolineato come la cultura della banalità non sia un’esclusiva italiana, al contrario, c’è in tutta Europa».
Hai realizzato Videocracy per svelare cosa c’è dietro il mondo fatato della tv. In generale oggi tutti possono realizzare un documentario?
«Sì ed è una possibilità che non va sottovalutata. Sono convinto che non siano i soldi a fare i buoni documentari ma gli esseri umani e oggi più che mai è vero. I costi e le attrezzature sono ormai alla portata di tutti e per la prima volta i singoli possono osservare il mondo e raccontarlo, dando voce alle nostre idee».
