Un tempo in Iran si diceva che “se una ragazza è nubile a vent’anni bisogna piangere per lei”...

Un tempo in Iran si diceva che “se una ragazza è nubile a vent’anni bisogna piangere per lei”…

Un tempo in Iran si diceva che “se una ragazza è nubile a vent’anni bisogna piangere per lei”…

venerdì 30 Aprile 2010 - 06:59

Saniee Parinoush, in “Quello che mi spetta”, porta sulla pagina trent’anni di storia iraniana e un amore vietato

Improvvisamente, giunto alla sua tredicesima edizione, il best-seller della scrittrice iraniana Saniee Parinoush, venne proibito in patria. Ciò che in un paese occidentale oggi sarebbe assurdo, impensabile, non sconvolse più di tanto la scrittrice: «In quel periodo moltissimi libri erano bloccati, non c’era soltanto il mio caso. Purtroppo è una situazione cui ci siamo dovuti abituare». Fortunatamente vinse il ricorso e quel libro dove si raccontavano trent’anni di storia iraniana, compresa la sofferta e deludente rivoluzione islamica, tornò in circolazione e oggi giunge nel nostro paese. Quello che mi spetta (Garzanti; pp. 432; € 19.60 – traduzione dal farsi di Narges Gholizadeh Monsef e Sepideh Rouhi, postfazione di Shahla Lahiji), racconta la storia della quindicenne Masumeh, condannata ad una vita di rinunce e violenze solo per aver osato amare Saeid. Sarà costretta a sposare un uomo che non conosce e che non la rispetta per riparare, per salvare l’onore familiare. Masumeh sacrificherà se stessa per far studiare i propri figli ma continuerà a chiedersi quando avrà ciò che le spetta, quella vita di cui è stata privata solo per aver osato amare.

Il suo libro è un sofferto viaggio nella condizione della donna iraniana, ragazze divenute madri troppo presto. Quanto c’è di autobiografico in questa storia?

«Nella generazione precedente ciò che descrivo accadeva molto frequentemente, invece attualmente non capita molto spesso. All’epoca il matrimonio si celebrava dai 14 sino ai 18 anni e da qui nasce un nostro detto: “se una ragazza è nubile a vent’anni bisogna piangere per lei”. Non ho sottomano nessuna statistica ma per fortuna oggi l’età media si è alzata notevolmente».

Una finestra su cinquant’anni di travagliata storia iraniana. Cosa vi aspettavate dalla rivoluzione islamica e com’è mutata la condizione delle donne?

«Avevamo grandi aspettative. Volevamo la libertà, una vita migliore. Alcune cose le abbiamo ottenute ma la maggior parte ci è stata negata. Ma le donne iraniane sono forti, sono capaci di lottare per ottenere ciò che spetta loro».

Com’ha vissuto la notizia che la ristampa del suo libro era stata vietata?

«In quel periodo moltissimi libri erano bloccati, non c’era soltanto il mio caso. Purtroppo è una situazione cui ci siamo dovuti abituare. Ma se si bloccano venti libri di una stessa casa editrice quella sì che è una vera tragedia».

Ci può essere vera libertà rinunciando a lottare per la cultura?

«No, credo che senza la cultura non si possa ottenere nulla. Per tale motivo le donne iraniane concentrano tutte le proprie attività sullo studio perché sono consapevoli che ciò è la necessaria infrastruttura per ottenere un vero cambiamento nella società».

Il suo libro è stato apprezzato anche dal pubblico maschile, solitamente restio a certi temi e alle storie più intimiste. Ciò è avvenuto grazie all’espediente di instaurare un dialogo con il lettore?

«Ho cercato di esprimere anche la condizione dell’uomo e la sua posizione nella nostra società. Loro sono costretti a lavorare duramente per mantenere la famiglia, sono coinvolti in politica e per forza di cose sono assenti, lontani dal focolare».

Le donne iraniane sono talmente forti da riuscire ad amare in silenzio, come accade alla sua protagonista?

«Non tutte le donne, si sono quelle che nascondono il proprio amore e altre che non hanno alcuna paura di scriverne e parlarne, andando incontro al proprio destino».

Per lei scrivere cosa vuol dire?

«E’ come una terapia. Cerco di presentare i dolori, i problemi anche per trovare una soluzione. Per me è importante che il lettore si rispecchi almeno in parte in un personaggio del libro in modo da poter creare con loro un dialogo ideale e aiutarlo a risolvere i propri tormenti».

Oggi i suoi figli studiano all’estero. Cosa vorrebbe per il loro futuro?

«L’importante è che i miei figli siano soddisfatti della propria vita, ovunque essi siano. Non sogno per loro un percorso ideale a livello professionale, vorrei solo che fossero contenti».

Si ringrazia per la traduzione in simultanea la dr.ssa Ela Mohammadi

Saniee Parinoush, terza di cinque figli, è nata a Teheran nel 1949. Il padre, giurista e professore all’università, le ha consentito l’accesso alla biblioteca di casa sin da quando era piccola, permettendole così di coltivare la passione per la narrativa e la scrittura. Laureatasi in psicologia, madre di due figli, entrambi residenti all’estero, Parinoush è oggi una delle intellettuali iraniane più conosciute in Medio Oriente e una scrittrice di grande successo. Il suo primo bestseller, Quello che mi spetta, oggi, dopo essere stato bandito e censurato dal governo, è ancora tra i libri più venduti in Iran.

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