"The Elevator", atteggiamento internazionale per il messinese Massimo Coglitore

“The Elevator”, atteggiamento internazionale per il messinese Massimo Coglitore

Redazione

“The Elevator”, atteggiamento internazionale per il messinese Massimo Coglitore

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giovedì 11 Luglio 2019 - 07:48

E’ uscito lo scorso giugno, nelle sale italiane, il thriller The Elevator (che vi avevamo presentato qui) del regista messinese Massimo Coglitore. Ecco la recensione del film da parte di un’appassionata.

La recensione

La necessità di The Elevator di catturare il pubblico è spinta fino ad un limite rischiosissimo, ma alla fine il bottino è portato a casa. Lo spettatore è costretto ad entrare subito nel film, pena l’esclusione per l’intera durata della storia (scritta da Mauro Graiani e Riccardo Irrera).

Come insegna qualsiasi manuale di narrazione popolare, se non vieni coinvolto subito, cominci a farti una serie di inutili domande. Soprattutto nel caso di una situazione talmente circoscritta ed intima come quella del film di Coglitore.

Il film, prodotto da Lupin Film, dopo pochi minuti di apparente normalità ti catapulta in un incubo notturno ad occhia aperti, se pur dentro un ascensore. E se non entri, tutto quello che puoi far è guardare dalla finestra, con una gamba ingessata (citando un film di genere). Ma la tua finestra non dà su un cortile e tu non hai un teleobiettivo.

Coglitore e i suoi collaboratori rischiano il tutto per tutto spingendoci subito a mettere piede emotivamente nell’ascensore, prima che lo facciano concretamente gli stessi protagonisti, due strepitosi Caroline Goodaal (migliore attrice al RIFF 2015 per The Elevator) e James Park, visto nell’ultimo film di Quentin Tarantino.

Musiche, fotografia e montaggio camminano in armonia. Coglitore ci chiede un salto, una fiducia immediata, un abbandono che si concede solo al proprio pusher di intrattenimento di fiducia. E poi chiude la porta e ci blinda fino al termine della proiezione lasciandoci sospesi tra il credulo e l’incredulo. Niente saldi di fine stagione, niente ostentazioni fine a se stessi, solo adrenalina pura. Certo qualcuno rimane fuori (pochissimi a giudicare dai commenti positivi a fine proiezione) e si perde il divertimento, la tensione che cresce e la storia dalle pieghe inaspettate.

Un film italiano, anche se girato in lingua inglese e con attori americani, che scandisce con una punteggiatura cinematografica rara in un Italia. Un film che segna l’evoluzione del gusto, della storia e del linguaggio cinematografico italiano con un atteggiamento internazionale senza cadere nello schema di “spaghetti e mandolino”.

Recensione di Daniela Caltabiano

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