#welovesocial

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Giusy Pitrone

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mercoledì 17 Aprile 2019 - 09:02

Sono stanca di chiacchiere e fiumi di inchiostro contro i social network, contro l’uso che facciamo dei nostri telefonini. Svegliatevi. Il mondo è cambiato, è migliorato, è più comodo. Tutti quelli che rimpiangono i bei tempi andati in cui i cellulari non c’erano ancora – o non avevano la diffusione di oggi – in cui i rapporti umani non erano filtrati dai nuovi mezzi di comunicazione, li prenderei e li abbandonerei in autostrada. Senza telefono ovviamente. E vorrei ricordare loro quando si restava senza benzina nel motorino, non si poteva chiamare nessuno – se non invocare a gran voce entità ultraterrene – e non ti restava che spingere il mezzo fino al distributore. O quando, per riuscire a parlare col tuo migliore amico, dovevi telefonare a casa e subire l’interrogatorio del nonno sordo a cui urlare il tuo codice fiscale per convincerlo che non eri un esattore delle tasse. O quando ti piaceva qualcuno e per sapere se fosse impegnato dovevi assumere un investigatore privato invece di aprire un attimo facebook.

Ancora ci sono personaggi strani che, con candore e insensato orgoglio, affermano di non usare il telefono, se non per emergenza. Non vogliono sentirsi schiavi della tecnologia – dicono – sono dei novelli bohémien, che amano assaporare ciò che la vita gli offre così… senza filtri. Poveretti. Magari in bagno leggono ancora le etichette del bagnoschiuma, per sapere l’ora guardano l’orologio, nelle sale d’aspetto sfogliano una copia di Panorama del 2017 e scrivono i numeri nelle agendine logore. È difficile accettare questi anacronismi: le persone oggi hanno una propria identità in virtù della dimensione social.

Spesso chi dice di non essere presente su facebook o instagram, mente. C’è eccome, ma con nomi fittizi. Magari ha un compagno geloso, magari vuole condividere i link tipo monellina pensierosa o dolcissima bastarda in pace senza che qualcuno la giudichi. Poi che male c’è, tutte ci identifichiamo un po’ in Angelina Jolie col mitra in mano che dice frasi tipo se mi pesti i piedi ti crivello, sono grandi verità che certe pagine ci offrono per mostrare a tutti la nostra forte personalità. Suggerirei a queste persone di uscire dall’anonimato e abbandonare il nome Aquila Bianca che gli indiani non ci sono già da un po’.

Ci sono poi i cauti social, quelli con una presenza silenziosa, che quasi te lo dimentichi che ce l’hai tra i contatti. Postano una volta ogni sei mesi e non mettono like a nessuno. Hanno un’unica foto, quella del profilo, scattata dieci anni prima al matrimonio della cugina quando l’estetista ha fatto trucco e parrucco anche ai parenti, con un pacchetto completo in offerta. Ebbene, questa è gente pericolosa. Sono spioni social che leggono tutto di tutti, osservano e prendono nota. Quando, dopo mesi di silenzio, ricompaiono con un’originalissima frase di Bukowski, vengono accolti con attestati di stima e simpatia, come fossero appena stati rilasciati dall’anonima sequestri. Lo sappiamo che ci siete, non prendeteci per fessi.

Fra gli attivi social troviamo la categoria iocisonosoloperlavoro. Ed ecco che ci tempestano di informazioni sulle loro attività, ma nulla sulla loro vita privata. Apprezzo il fatto che vogliate condividere le vostre capacità, ma non me ne frega un piffero che sapete fare gli orecchini con le perline se non mi fate sapere neanche che avete fatto a Natale.

Troviamo poi i dolcissimi genitori social, quelli che ci allietano con le documentazioni fotografiche dei figli dal primo vagito alla laurea. Il piccolo e la prima pappa solida, il piccolo e la pupù liquida, il piccolo che ha imparato a camminare, il piccolo che scompone l’atomo e così via. Alcuni di loro evitano di mostrarci il visetto angelico dei pargoli e ci piazzano una faccina gialla. È giusto, incontrandoli per strada potremmo riconoscerli e disturbarli con slanci di ammirazione e richieste di autografi.

Veniamo ai normosocial, educati e perbene. Persone che spargono like a destra e manca, che ci tengono a non perdere le amicizie. Persone che conoscono il nuovo bon ton, che sanno che a tavola il telefonino va alla sinistra del piatto, accanto al tovagliolo, che non disturbano nei luoghi pubblici con fastidiose suonerie, ma hanno la buona creanza di sostituirle con un pezzo di Cavalleria Rusticana, un piacevole revival anni ‘80 o la hit del momento. Non sono cose lasciate al caso, badate bene, c’è tutto un galateo degno di Donna Letizia. Ad esempio, se riesci a non rompere la frittata girandola, devi condividere la tua destrezza e abilità postandoci la foto #gnamgnam. Allo stesso modo, se vai a cena fuori, faccelo sapere, altrimenti potremmo immaginarti in vestaglia di flanella a friggere spinacine mentre guardi i titoli del Tg5. Noi del mondo civile social meritiamo di sapere che tuo zio ha compiuto novant’anni, che sei andato sui colli con tuo cognato, che a colazione non hai voluto il cacao sul cappuccino, che titroviqui in ospedale perché ti sei tagliato lavando il minipimer. Perchè spendere cento euro di colpi di sole se non ti fai la foto col parrucchiere, con l’hashtag newlook, pure se sullo sfondo si vede la signora con i bigodini sotto il casco. Noi siamo i tuoi contatti social, i tuoi amici, la tua grande famiglia. E come una vera famiglia ci preoccupiamo: se una domenica non vediamo nessun vassoio di dolci postato, pensiamo a un improvviso rialzo della glicemia, se lunedì mattina non leggiamo #vogliadilavoraresaltamiaddosso, immaginiamo un licenziamento in tronco, se venerdì sera non troviamo mani smaltate che stringono bicchieri di #aperitivotime, entriamo in ansia. Siate educati. Basta un selfie per tranquillizzarci, non importa se siete in pigiama sul divano, con una banale #influenzavattenevia. A proposito di selfie, i programmi di fotoritocco li sa usare pure mia nonna, quindi abbiate la bontà di tagliarvi due fette di giro coscia e colorarvi un po’ l’incarnato. Se poi vi stirate anche il contorno occhi, vi ringrazieremo. Magari non offendetevi se per strada non vi riconosciamo, non è importante, se potrete sempre e comunque contare su un nostro like.

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