Strage sul lavoro, quelle 5 vite spezzate. Il punto sull'inchiesta

Strage sul lavoro, quelle 5 vite spezzate. Il punto sull’inchiesta

Alessandra Serio

Strage sul lavoro, quelle 5 vite spezzate. Il punto sull’inchiesta

martedì 07 Maggio 2024 - 15:51

Le storie degli operai scomparsi, le prime ipotesi degli accertamenti sull'incidente a Casteldaccia

Un anniversario di notte alle porte, la comunione della figlia da organizzare, il traguardo dei 71 anni da festeggiare. Sono i bagliori delle esistenze delle cinque vittime della strage sul lavoro di Casteldaccia. Esistenze cancellate, cadute una dopo l’altra come mosche, durante un normale turno di lavoro.  Ignazio Giordano, anche lui residente a Partinico, era dipendente della Quadrifoglio come Giuseppe Miraglia, residente a San Cipirello (Palermo). Sempre con la Quadrifoglio lavorava Roberto Raneri, residente ad Alcamo (Trapani).

Le esistenze spezzate a Calsteldaccia

Giuseppe La Barbera, lavoratore interinale della municipalizzata acquedotti di Palermo, fra qualche giorno avrebbe festeggiato i cinque anni di matrimonio. Lascia la giovane moglie e due bimbi piccoli. Nel quartiere dell’Albergheria da dove proveniva tutti lo ricordano perché la sua famiglia vende bombole di gas e qui gran parte delle abitazioni, senza metano, le utilizzano ancora. L’impiego all’Amap gli aveva permesso di trovare stabilità e mettere su famiglia, dopo anni di lavoretti precari. Giuseppe Miraglia, dipendente della Quadrifoglio, la ditta che effettuava il lavoro per l’Amap, era di San Cipirello come l’altro collega morto, Ignazio Giordano, e tra qualche giorno avrebbe festeggiato la comunione della bimba. Il titolare Epifanio Alsazia, originario di Partinico ma residente ad Alcamo, avrebbe tagliato il bel traguardo di 71 anni a breve. Ad Alcamo abitava anche Roberto Raneri, anche lui dipendente della ditta. “Buon compleanno a te che sei speciale, auguri papino mio”, è uno degli ultimi messaggi che la figlia Chiara gli ha dedicato su Facebook.

Vite piene di affetti e lavoro, quelle dei cinque operai morti, spezzate da procedure che non avrebbero dovuto essere messe in atto. E’ questa la primissima ipotesi che si fa strada stando agli accertamenti, in fase iniziale, coordinati dalla Procura di Termini Imerese. Il procuratore Ambrogio Cartosio ipotizza l’omicidio colposo plurimo, al momento non ci sono indagati.

Non dovevano calarsi in quel pozzo maledetto

Gli operai, è questo il quadro che sta venendo fuori, non sarebbero dovuti scendere all’interno della stazione di sollevamento, durante la manutenzione della rete fognaria. Il contratto di appalto stipulato con Amap, la municipalizzata che aveva dato alla loro ditta, la Quadrifoglio group, l’appalto dei lavori, prevedeva che l’aspirazione dei liquami avvenisse dalla superficie attraverso un autospurgo e che il personale non scendesse sotto terra. Ecco perché, forse, nessuna delle vittime indossava la mascherina né aveva il gas alert, ovvero l’apparecchio che misura la concentrazione dell’idrogeno solforato, il gas che poi li ha uccisi.

L’inchiesta

Resta da chiarire perché sono scesi in quel pozzo maledetto è cosa è successo dopo. I Vigili del fuoco smentirebbero infatti l’ipotesi che si sia rotto un tubo da cui poi è fuoriuscito il gas, mentre non si esclude che gli operai abbiano potuto aprire una paratia che sarebbe dovuta restare chiusa. L’ambiente infatti, in condizioni normali, è a tenuta stagna.

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