Dalla non-parola al silenzio che accoglie: Via Matris di Gabriele Blundo Canto

Dalla non-parola al silenzio che accoglie: Via Matris di Gabriele Blundo Canto

Luciano Siracusa

Dalla non-parola al silenzio che accoglie: Via Matris di Gabriele Blundo Canto

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giovedì 19 Marzo 2015 - 13:05

Buon successo di pubblico al Santuario di Lourdes per l'opera drammaturgica ispirata alla "Pietà" del padre Francesco Blundo. La rappresentazione teatrale rientra nell'ambito degli eventi in onore del Beato Padre Pino Puglisi.

Un numeroso pubblico ha accolto con attenzione meditativa Via Matris di Gabriele Blundo Canto, opera drammaturgica ispirata ad un quadro del padre, l’artista Francesco Blundo, intepretata dallo stesso autore e dall’attrice Mariapia Rizzo domenica scorsa nella suggestiva cornice del Santuario di Lourdes, nell’ambito degli eventi in onore del Beato Padre Pino Puglisi.

Avvicinandosi alla tela della Pietà (1972) di Francesco Blundo, esposta per la prima volta al pubblico per l’occasione, l'impressione che si riceve è che il pittore abbia volutamente ammutolito le figure rappresentate non disegnando le bocche. Se si assume che colui che dipinge voglia esprimere un messaggio o un vissuto, in questo caso l'espressione è dentro, nella presunta non-parola.

A prima vista, sembrerebbe che l'espressione si riduca semplicemente al silenzio delle figure rappresentate: è proprio tra il silenzio che corre lungo la verticalità della tela e il forte impatto emotivo che si ha nell'ascoltare il testo recitato che si costruisce il piano di espressione di quest’operazione poetica, teatrale e spirituale: un viaggio nelle viscere della Madre che ritesse il Verbo a partire dal suo annientamento.

Attraverso le parole di Gabriele Blundo Canto si tocca una terra nuda. Terra grigia, marrone e vinaccia, che mette in risalto l'immagine vivida della nudità del corpo attraversato dal dolore. Questo corpo, dolorante, si auto-presenta e rappresenta, non avendo bisogno di parole. Cosi, tra le parole scritte da Gabriele si risale sia ad una tipologia del dolore ‘la Madre che perde il Figlio’ sia ad un'origine, oserei dire nucleare, del dolore stesso. "Ma io ti ritesso, figlio mio, sul telaio delle mie ginocchia" sono parole che può proferire soprattutto chi guarda la storia di un amato. Il dialogo tra le due figure e gli intermezzi sapientemente scelti e cantati da Mariapia Rizzo hanno lasciato e lasciano silenzio sia dopo la rappresentazione presso il Santuario di Lourdes sia per chi avrà il piacere di tornare a leggerli. Lo scritto, infatti, appare come un gioco di densità di silenzi e di profondità. Sul piano oggettivo, la prosa appare fluida e lucida, come su quello soggettivo diventa subito complessa e ricca di chiaroscuri, incontrandosi con la storia personale di ciascuno.

Di fronte a questi rivoli interni che il dolore scolpisce e modifica di continuo, una strada viene indicata da quest’opera: il silenzio che accoglie. Commosso alla fine l’intervento del pittore.

Luciano Siracusa

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