Il Barbiere di Siviglia di Tiezzi incanta e riflette con pensosa leggerezza

Il Barbiere di Siviglia di Tiezzi incanta e riflette con pensosa leggerezza

Emanuela Giorgianni

Il Barbiere di Siviglia di Tiezzi incanta e riflette con pensosa leggerezza

sabato 27 Novembre 2021 - 06:40

Un successo di applausi ed emozioni la prima al Teatro Vittorio Emanuele. Si prosegue il 28 novembre alle 17,30 e il 30 novembre alle 21

Il sipario si apre, le luci si accendono su una piazza dai colori intensi e spazi geometrici astratti, quasi metafisici. Troviamo sul palco un uomo di spalle, in compagnia di un cane che volge, invece, il suo sguardo al pubblico; poi diversi personaggi si esibiscono, chi suona la tromba, chi il clarinetto; compaiono stravaganti maschere da animale; dietro di loro dei tecnici portano sul palco la scenografia.

Così “Il Barbiere di Siviglia” torna al Teatro Vittorio Emanuele, dopo 27 anni. È tornato nella sua veste originaria, con lo stesso allestimento, la stessa regia, ma indossando una nuova modernità che gli regala travolgente potenza.

Il Barbiere di Tiezzi

Nel 1994, “Il Barbiere di Siviglia” di Federico Tiezzi, prodotto dall’Ente Teatro di Messina, ebbe grandissimo successo, incantando non solo la città dello Stretto, ma anche importanti teatri italiani (Treviso, per esempio, e Venezia, a La Fenice). La stessa produzione ritorna oggi. Alla regia, insieme a Tiezzi, Francesco Torrigiani, quale regista collaboratore; le scene, meravigliose e sognanti, di Pierpaolo Bisleri; i costumi storici di Pasquale Grossi e le luci diGianni Pollini. Ad aumentare pregio e valore all’opera è la presenza dell’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, guidata dal Maestro Giuseppe Ratti (che torna a Messina dove ha diretto, tra gli altri, “La Vedova allegra” di Lehar e lo spettacolo “La bella malinconia”).

Opera di pensosa leggerezza

È, per il Teatro Vittorio Emanuele, l’Opera della ripartenza. Una ripartenza affidata all’Opera, alla grande musica e, come ha dichiarato il Direttore Artistico Matteo Pappalardo, ad una “pensosa leggerezza” che solo un capolavoro come Il Barbiere di Siviglia può consegnare allo spettatore. Il Barbiere, infatti, non è una semplice opera buffa, la sua comicità, a tratti anche irriverente, non ha niente a che vedere con la risata grassa; i suoi personaggi, apparentemente comici, nascondono una loro tragicità, i suoi sorrisi si confrontano con qualcosa di sempre spigoloso. È merito, o responsabilità, dello spessore attento del suo testo. Il linguaggio unico (il libretto è di Cesare Sterbini, tratto dalla commedia omonima francese di Pierre Beaumarchais) non ha mai una parola fuori posti, è un perfetto intrigo farsesco, comico ma profondo, il cui accento viene posto sempre sull’azione e sulla vivacità.

Modernità

E il “Barbiere 2.0” di Tiezzi, che non nasconde la grande esperienza del suo regista anche nella prosa, vuole essere una celebrazione di questa vivacità. D’altronde, la natura originaria del Barbiere è proprio quella di atto rivoluzionario (Gioachino Rossini riproponeva un’opera portata al successo dal maestro Giovanni Paisiello, che oscurerà del tutto); e Tiezzi attua la sua rivoluzione vivificando l’opera, stravolgendola con il contemporaneo, donandole nuova forza ed energia.

A rendere visibile e tangibile questa vivacità è un cast impeccabile di giovanissimi interpreti, capaci di valorizzare con freschezza quel capolavoro di ritmo che il Barbiere è, rendendo la sua fruizione piacevole, effervescente, coinvolgente.

Atmosfere dechirichiane

Gli ingarbugliati e avvincenti intrecci tra il comico e il farsesco, l’amore del Conte d’Almaviva per Rosina che si scontra con quello di Don Bartolo, i machiavellici piani di Figaro, trovano luogo in questa grande piazza che non sembra più quella di Siviglia, ma si ispira a e richiama, invece, le atmosfere dechirichiane, le Piazze d’Italia metafisiche dell’artista, una Siviglia come Pesaro o Pescara. Bisleri ha dichiarato di essersi lasciato guidare dal lavoro dell’architetto Ricardo Bofill e del pittore Marc Chagall, capaci di destrutturare totalmente la realtà degli oggetti che siamo abituati a conoscere, regalando loro forma totalmente nuova. Il Barbiere, nella sua nuova veste, destruttura, infatti, lo stile spagnolo e le attrezzature classiche, riconvertendo lo spazio, rendendolo astratto, contemporaneo e metafisico.

I nuclei

Protagonista di questo spazio metafisico è il gioco dello spiare, di cui anche lo spettatore si fa partecipe. La maestosa scenografia, (quella originaria del 1994 e, ormai, irriproducibile) si diverte con l’utilizzo delle persiane e delle veneziane, permette di portare concretamente e materialmente in scena un infinito spionaggio tra i personaggi. Tutti si osservano di nascosto, vicendevolmente, tramite le veneziane e, così, facciamo anche noi, fino al gran finale, che infrange la quarta di parete e svela il funzionamento della macchina teatrale.

Lo sguardo indaga ed esercita un controllo. E se lo sguardo è il protagonista dell’azione drammaturgica, il suo motore è il denaro, altro grande nucleo tematico dell’opera, motore dei rapporti interpersonali e sociali. Denaro scevro, però, di un’accezione negativa; inteso, invece, come prodotto dell’intelligenza dell’essere umano. È sempre sfruttato e mai sperperato, sia se ad utilizzarlo è un aristocratico come il Conte d’Almaviva, sia quando si parla di Figaro. Figaro incarna e mostra come il denaro sia il frutto dell’ingegno, lo strumento speso per far andare le cose come dovrebbero. Figaro è, infatti, il vero motore immobile della narrazione, colui che controlla da fuori ogni cosa, che inganna e svela, complica o risolve l’intreccio, è il vero regista del tutto, rende il Barbiere, un’opera di metateatro. Il principale nucleo tematico dell’opera è costituito, infatti, dal teatro nel teatro, sin dal suo inizio quando i tecnici portano in scena parti della scenografia e continuano, poi, a farlo per tutto il tempo, fino al finale, in cui il teatro mette in scena se stesso.

Figaro e Rosina

Figaro (nella forte interpretazione di Massimo Cavalletti nella prima serata) è irrequieto e sicuro di sè, scomodo, furbo, egocentrico ma rivela, alla fine, una grande umanità. È un uomo intero, è protagonista ma sa anche restare dietro le quinte, osservando il compiersi della sua azione. Rappresenta l’emergere di nuove figure, giovani costruttori del proprio mondo, orgogliosi delle loro conquiste raggiunte con fatica, bravura e intelligenza. Accanto a lui, fondamentale e portante nello svolgimento dell’intreccio scenico, è la figura di Rosina (interpretata magistralmente da Aya Wakizono). Da subito sullo sfondo del palco, tramite l’ausilio delle proiezioni video che impreziosiscono la scena, osserviamo l’immagine di grandi rose, simbolo della sua importanza. Rosina è una donna indipendente, cerca la sua felicità, sa farsi rispettare, far valere le sue idee. Rosina è una donna emergente, emerge nella sua completezza; il suo personaggio non è funzionale a niente, non è moglie né figlia, porta in scena solo la sua storia e la sua personalità decisa, le cui caratteristiche richiamano fortemente quelle delle figure femminili del teatro goldoniano. Come una Mirandolina della moderna civiltà, Rosina è complessa, esuberante, arguta, lucida, riesce a non soccombere mai agli eventi, anzi li domina con determinazione; femmina puntigliosa è, in realtà, il vero eroe positivo. La figura di questa donna, così tratteggiata, rendeva già “Il Barbiere di Siviglia” di Beaumarchais opera moderna e nuova per i suoi tempi.

Il Barbiere di Siviglia e suoi personaggi trascinano lo spettatore nella loro storia, tra il tragico e il comico, consentono lui di toccare con mano quanto raccontato dal libretto; mentre le note di Rossini, astratte e metafisiche come quegli spazi dechirichiani, lo incalzano, lo colpiscono, lo cullano, lo divertono, donando sempre grande intensità e aggiungendo quel tono di drammaticità lì dove può mancare nel libretto. Il Maestro Ratti guida la sua orchestra con una tale maestria da far sembrare il tutto una grande danza.

Ritrovare se stessi

Questo susseguirsi, quasi estatico, rende allo spettatore visibile l’invisibile e mostra lui, al tempo stesso, una parte di sé, quel sentire, quel tormento, che coinvolge tutti gli uomini e che attraversa ogni epoca. Questa storia fatta di sguardi segreti, di travestimenti e sdoppiamenti, ci rivela come difficilmente siamo noi stessi ma cerchiamo, invece, di essere altro (idea abilmente simboleggiata dalle maschere animalesche, quasi un omaggio alla commedia dell’arte). Questa storia si rivolge universalmente ad un’umanità in crisi, in crisi allora e in crisi ancora, per permettergli di scrutare da dietro le veneziane una storia che è anche quella personale del singolo, di ascoltare in quelle voci la propria. Con lo stesso grande successo di 27 anni fa.

Melodramma buffo in due atti di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini

Direttore Giuseppe Ratti

Regia Federico Tiezzi

Regista Collaboratore Francesco Torrigiani

Scene Pierpaolo Bisleri

Costumi Pasquale Grossi

Luci Gianni Pollini

Orchestra “Teatro Vittorio Emanuele”

Coro Lirico “Francesco Cilea” diretto da Bruno Tirotta

Maestro al cembalo: Stefania Visalli
Maestri collaboratori: Francesco Maesano, Antonio Gennaro, Oriana Celesti

Allestimento e Produzione Ente Autonomo Regionale “Teatro di Messina”

Interpreti:

Il Conte di Almaviva: Didier Pieri

Don Bartolo: Fabio Maria Capitanucci

Rosina: Aya Wakizono

Figaro: Massimo Cavalletti (26 e 30 novembre) Gianni Giuga (28 novembre)

Don Basilio: Andrea Concetti

Berta: Ilaria Casai

Fiorello: Lorenzo Malagola Barbieri

Ambrogio: Antonio Lo Presti

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