“Achille. Studio sulla fragilità umana” e il complesso riconoscersi padri

“Achille. Studio sulla fragilità umana” e il complesso riconoscersi padri

Emanuela Giorgianni

“Achille. Studio sulla fragilità umana” e il complesso riconoscersi padri

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giovedì 22 Dicembre 2022 - 12:15

L’eroismo della fragilità. In scena al Retronouveau, il penultimo appuntamento della rassegna di sperimentazioni teatrali “Impromptu”

Una scena scarna sullo sfondo, un pesce rosso in una bolla.
Salvatore Tringali, davanti al pubblico, si scusa con chi avesse sentito i toni concitati tra lui e la sua compagnia. “Mi chiedono ancora :

– perché vuoi esporre il rapporto tra te e tuo figlio?

– Non lo so. Credo che mio figlio non mi stimi”.

Così inizia il suo racconto intimo, sincero, autentico e generoso della complessità del legame padre – figlio, tra emozioni e difficoltà.

Impromptu

Achille. Studio sulla fragilità umana”, della compagnia Condorelli/Tringali, è la terza sperimentazione teatrale protagonista di “Impromptu”, in scena al Retronouveau, con la direzione artistica di Roberto Zorn Bonaventura. La rassegna è al centro del progetto “Quartieri in scena”, ideato e prodotto dall’Associazione culturale Scimone-Sframeli, in partenariato con l’Associazione culturale Castello di Sancio, promosso dal Ministero della Cultura e dal Comune di Messina, per il teatro dal vivo nelle periferie della città, Terza e Quinta Circoscrizione.

Achille

Usando come espediente narrativo il legame con il grande eroe omerico, Tringali racconta una storia moderna sulla fragilità umana; la sua di storia, con suo figlio Achille.

Achille è alto 193 cm, pesa 110 kg, porta i capelli lunghi, veste al reparto caccia Decathlon e vive in Polonia con la mamma, Teti. Per Achille, l’unico momento positivo del venire in Sicilia è quello in cui prende l’aereo per tornare in Polonia e può dire, finalmente, addio al papà “e ai suoi amici artisti”.

Al contrario di ciò che sembra da tale descrizione, il ragazzo è un gigante buono e assomiglia molto all’Achille del poema classico. Non per l’ira funesta in questo caso, ma perché tanto il mitologico Achille quanto il giovane Achille diciottenne sono gentili e sensibili; l’unica differenza sta nel fatto che suo figlio – racconta Tringali – non è dedito alle arti, “preferisce anzi il cemento armato”.

Il loro rapporto non è facile: Tringali confessa che il termine papà, ora rassicurante, fu per lui fonte di inquietudine. Complicata è la storia che ha messo alla luce il bambino, e complicata è la distanza che li divide durante tutta la sua crescita. Anche Peleo, però, è stato a lungo lontano dal suo Achille. E la mamma Teti, in questo caso, non è avversaria, ma ha cercato sempre di rendere Salvatore visibile agli occhi del figlio.
Niente è perduto, come dimostrano foto, suoni e registrazioni di telefonate tra i due.

Sperimentazioni teatrali

Il racconto di Tringali è fatto di ricordi, immagini, sensazioni. A narrarlo sono, infatti, in un unico linguaggio, voce, musica e video.

Vi è un telo su cui scorrono foto e riprese dal vivo di Alessandro Turchi, rendendo ancora più tangibile il vissuto che viene testimoniato.

La musica live di Riccardo Leotta “è immersa dentro una drammaturgia sonora liquida, dove il rumore di acque è pericolo, protezione e via di fuga” come dichiarano le note di regia.

Tramite il gioco delle immagini e dei suoni, si disegnano metafore: il pesciolino rosso nella boccia si trasforma in un feto nel liquido amniotico; le mani di Tringali che tengono il casco appaiono come quelle che abbracciano una gravidanza.

Una narrazione pluriforme ma con un’unica voce: quella sulla fragilità di un uomo e di un padre. Un padre che ha il coraggio di spogliarsi di ogni armatura, maschera o sovrastruttura, per mostrare con autenticità spiazzante, e dolorosa anche per lo spettatore, i vuoti della sua vita: i momenti in cui è stato lontano da suo figlio, in cui non c’è stato per lui, o in cui è stato Achille stesso ad allontanarlo.

L’eroismo della fragilità

Anche il grande Achille, semidio mitico, d’altronde, ha un punto debole: il suo tallone. Anche lui ha delle fragilità. Così si capovolge il nostro punto di vista. La maestosità dell’eroe dell’Iliade non sta nell’essere il più grande guerriero del suo tempo, il più forte o il più veloce, ma risiede proprio nell’accettazione della sua fragilità. E ad essere a lui simile, stavolta, non è soltanto il giovane Achille, ma anche il suo papà.

Proprio per quell’ammissione e condivisione di fragilità, paure, errori ed insicurezze, Tringali appare al suo pubblico – e spero anche al suo Achille – un vero eroe.

Tringali, mettendosi a nudo, veste tutti di emozione, sempre intensa, che sia struggimento, nostalgia, dolore o commozione. Allo spegnersi delle luci, c’è un secondo di attesa prima di far risuonare gli applausi, il pubblico non è ancora pronto a veder chiudere il sipario. L’applauso, poi, esplode, ma rimane forte il desiderio di addentrarsi sempre più in quella storia e la speranza che possa raggiungere il lieto fine che merita.

di Orazio Condorelli, Salvatore Tringali

con Salvatore Tringali

musiche dal vivo Riccardo Leotta

voce over Denisa C. Sandru

riprese dal vivo Alessandro Turchi

disegno luci Giuseppe Bonfiglio

regia Orazio Condorelli

con la collaborazione di Francesco Arevalos

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