La Fondazione ovvero accumulare le cose per essere felici

La Fondazione ovvero accumulare le cose per essere felici

Gigi Giacobbe

La Fondazione ovvero accumulare le cose per essere felici

sabato 16 Marzo 2013 - 17:28

Ivano Marescotti esalta il testo di Raffaello Baldini

Su una scena rosa-fuxia, che tanto sarebbe piaciuta a Titina Maselli, campeggia un divano color verde. Nient’altro. Anche se con un po’ di fantasia dobbiamo immaginarci questa scena di Carlo De Marino piena delle più disparate cose. Di oggetti e ninnoli vari, tali da arricchire quelle lunghe liste che era solito stilare Georges Perec nei suoi romanzi, come “Le cose” ad esempio. Perché Ivano Marescotti, solitario protagonista de “La Fondazione” – ultima pièce del poeta romagnolo Raffaello Baldini scomparso nel 2005 – interpreta il ruolo d’un uomo che non butta mai niente. Chiuso nel sua giacchetta due taglie più piccola, ricca di spillette e distintivi con farfalla alla camicia, pantaloni tre dita sopra le scarpe da cui escono arrotolate calze d’un colore stonato (i costumi sono di Elena Dal Pozzo), Marescotti se ne sta rannicchiato su quel verde divano con plaid a quadri, sembrando più piccolo di quello che è, molto vicino a quei pazienti stipati in sala d’attesa che aspettano d’entrare in uno studio medico. Parla 80 minuti di filato Marescotti dissertando sulla vita e la morte e su tutte le umane cose: dal rosso San Giovese, alle carte veline che avvolgono le arance, ai tappi di sughero, ai rocchetti di filo, ai vari tipi di bicchieri, ai quadri, perché è convinto, come del resto lo era l’autore, che le cose che si gettano un domani possono tornare utili e che per non farle svanire bisogna conservarle. Una sorta di sindrome da accumulo compulsivo tale da rendere il personaggio un po’ strano e curioso. Per lui il non vendere le proprie cose è un valore. Ad una montagna ferma preferisce il mare in movimento, anzi amerebbe avere un moscone, non nuovo, ma che abbia fatto il suo tempo e tenerselo in cantina e guardarlo in penombra. Gli mancano le telefonate ed è contro i trapianti perché ti cambiano tutto. Accenna alla metempsicosi e cita Rilke sulla possibilità che l’uomo rinasca dopo la morte. La moglie lo ha mollato dopo sette anni e nove mesi e adesso vive tutto solo rimuginando, farfugliando, sussurrando, pensando alla sua vita volata via. Amerebbe avere accanto una donna di 48-49 anni, ma gli piacerebbe meglio una ragazza di 24-25 anni. Ma poi aggiunge che non si sente solo, piuttosto si sente libero di fare quello che gli pare, soprattutto di riempire i vuoti della sua vita con le cose e con i ricordi del suo passato. Parlo dunque sono, sembra affermare Marescotti, nella sua superba interpretazione, somigliando a quei personaggi logorroici dipinti da Thomas Bernhard nei suoi lavori, ma anche a quei protagonisti delle piecès di Robert Pinget in cui si respirano arie beckettiane densi di ironia e di “assurda” comicità. Riferimenti che certamente Valerio Binasco ha messo in conto, contribuendo con una regia accurata e affettuosa al successo di questo spettacolo (in scena sino a domani alla Sala Laudamo) salutato calorosamente alla fine da moltissimi applausi.- Gigi Giacobbe

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