Anna Maria Garufi: «La mia è una storia di incoscienza. Ma rifarei tutto»

Anna Maria Garufi: «La mia è una storia di incoscienza. Ma rifarei tutto»

Danila La Torre

Anna Maria Garufi: «La mia è una storia di incoscienza. Ma rifarei tutto»

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sabato 06 Aprile 2019 - 07:00

La fondatrice della Lelat ci parla dell’aspetto più intimo e privato della sua vita

Anna Maria Garufi non ha bisogno di presentazioni. La sua storia pubblica la conoscono tutti, il suo impegno contro la tossicodipendenza è diventato un esempio in questa città: grazie alla Lelat, comunità che ha fondato nel 1990, ha aiutato decine di ragazzi ad uscire dal tunnel della droga. Quello che vogliamo raccontarvi oggi però è l’aspetto più intimo e privato della sua vita, che non solo si intreccia con il suo ruolo sociale ma ne è stato fortemente condizionato. In primis, per quel che riguarda il rapporto con il suo unico figlio, voluto sopra ogni cosa; e poi per l’impossibilità di coltivare amicizie vere e profonde.

Il vissuto di Annamaria Maria Gaurufi racconta di una donna combattiva, libera ed indipendente. A 25 anni si è ritrovata da solo e non un figlio: «Mi sono sposata  giovanissima, a  21 anni,   e ho divorziato a 25. Con mio marito avevamo fatto un patto: che non avremmo auto bambini. Poi, sono rimasta incinta e dopo tre anni lui ha deciso di lasciarmi».

«Dai 26 anni ai 31 anni -racconta – ho dovuto recuperare tutto il tempo perso: mi sono iscritta all’Università e ho affrontato un periodo molto faticoso perché dovevo contemporaneamente lavorare , studiare e pensare a mio figlio. All’età di 24 anni ero entrata già a far parte dell’Udi (Unione Donne Italiane), a cui tuttavia sono riuscita a dedicarmi a tempo pieno solo dopo i 30 anni. Io sono figlia di mamma settentrionale e sono stata educata in maniera diversa dalle mie coetanee: sono cresciuta con molta libertà e con un forte senso dell’indipendenza, non potevo dunque rimanere indifferente al movimento che lottava per l’affermazione dei diritti delle donne . Ho un ricordo bellissimo di quel periodo, perché abbiamo fatto campagne nazionali splendide. Attraverso l’Udi avevo iniziato ad entrare nel mondo sindacale e dopo qualche anno sono stata nominata responsabile femminile della Cgil: grazie a quel ruolo potevo difendere i diritti delle donne sul luogo di lavoro».

Anna Maria Garufi incontra il mondo della droga negli anni ’80. «Il mio lavoro di psicoterapeuta mi ha fatto entrare in contatto con alcuni tossicodipendenti e ho iniziato ad occuparmi soprattutto dei malati di Aids. A quei tempi, con l’HIV i ragazzi morivano come mosche. Ricordo che trascorrevo il mio tempo libero negli ospedali e per me diventata era una lotta contro il tempo e la morte, volevo aiutarli a reagire perché era stato dimostrato che la depressione facesse avanzare più velocemente la malattia. Il mio motto era: se non puoi dare giorni alla vita, dai vita ai giorni, affinché le loro giornate fossero piene».

«Nel 1990 ho fondato la Lelat: mi ero messa in testa di aprire una comunità per evitare che i tossicodipendenti fossero costretti ad andare al Nord. In quegli anni , le comunità di recupero proponevano un percorso “espiatorio”, la droga era infatti vista come una colpa da espiare, ma quel concetto di recupero era distante dal mio modo di concepire la comunità , che a mio avviso doveva avere una funzione terapeutica, sul modello della comunità di Don Ciotti . Dopo aver girato l’Europa per conoscere varie realtà , avevo cercato di trasformare in comunità, senza tuttavia riuscirci, la Lam (Lega antidroga messinese) , di cui io ero vice presidente e Franco Providenti il presidente. A quel punto però non volevo fermarmi, in estate ho studiato tutto nei minimi dettagli e a Ottobre è nata la Lelat, esattamente come l’avevo immaginata».

La prima battaglia Anna Maria Garufi la vince dunque realizzando una comunità per tossicodipendenti secondo quella che era la sua idea di recupero, ma all’inizio la strada per lei e la “sua” Lelat è stata tutta in salita: «All’inizio è stato molto difficile, avevo solo il supporto dei volontari. Dal punto di vista economico, era un vero disastro: per tirare avanti ero costretta a sovvenzionare la comunità con il mio lavoro di psicoterapeuta e dovevo svolgere la terapia con i tossicodipendenti a casa mia, dalle sette di sera a mezzanotte».

Dopo 4 anni di esistenza della Lelat, che ha mosso i suoi primi passi in condizioni precarie, senza l’aiuto da parte delle Istituzioni, qualcosa fortunatamente è cambiata: «Il primo a darmi un aiuto concreto – spiega la Garufi – è stato Pippo Naro, allora presidente della Provincia. Con il piccolo contributo erogato da Palazzo dei Leoni abbiamo preso la nostra prima sede , un piccolo appartamento di 3 stanze a Bordonaro con 27 ragazzi. Stavamo uno sopra l’atro (ride ndr). A Bordonaro siamo stati circa 3-4 anni , ma la sede non aveva i requisiti per l’accreditamento. La svolta è avvenuta quando Franco Providenti è diventato sindaco e ha stanziato un contributo sostanzioso per la Lelat : questo ci ha consentito di trasferirci in una sede più grande, a San Filippo, e di ottenere l’accreditamento. Da quel luogo è iniziata la lunga attività della Lelat, ma nel frattempo erano passati 10 anni».

Nel corso di quegli anni – specifica la Garufi – in sostegno della Lelat sono intervenuti anche la famiglia Franza, la Fondazione Bonino Pulejo e gli ex assessori Gianfranco Scoglio e Gianpiero D’Alia.

La totale dedizione di Anna Maria Garufi ai tossicodipendenti della comunità ha tolto tempo alla sua vita privata e ai suoi affetti più cari. A risentirne di più è stato il figlio, oggi 52 enne: « Provava una gelosia acuta nei confronti di quei ragazzi. Una volta mi disse: devo diventare tossicodipendente per avere le tue attenzioni?» Sono sicura che se fosse stato femmina mi avrebbe capito di più. Lui non ha mai accettato il mio lavoro ed è per questo che si è sposato con una donna tradizionale, totalmente dedita alla famiglia. L’esatto opposto mio».

Anna Maria Garufi oggi è nonna di due nipoti , un maschio di 13 anni ed una femmina di 9 anni: «quest’ultima -racconta con gli occhi che le brillano – stravede per me e mi considera una nonna rampante . Con lei abbiamo inventato il pomeriggio dei sì, cioè il pomeriggio a cui rispondo sempre sì alle sue richieste. Il maschio ha un rapporto esclusivo con mio marito».

Al fianco di Anna Maria Garufi, infatti, c’è da oltre 40 anni c’anche il suo secondo marito, Saverio Di Bella – professore universitario in pensione, ex segretario della Cgil e senatore della Repubblica dal ’94 al ’96 – che rappresenta una figura fondamentale nella sua vita: «Mi sono risposata a 33 anni e sono stata molto fortunata: mio marito ha subito instaurato un rapporto molto bello con mio figlio e ha compensato il rapporto che io non avevo con lui. Molte cose le ho potute fare perché Saverio è una persona splendida . Quando è stato eletto al Senato ha attraversato un periodo molto complicato, perché lui stava a Roma ed è venuto a mancare un pilastro della mia vita. In quegli anni ho sperimentato un po’ di depressione , anche perché avevo perso da poco mia madre, che era sempre stata un punto di riferimento per me e mio figlio, e mia zia. Sono uscita dalla depressione trovando in me stessa la forza di reagire ma non è stato facile».

Quando chiediamo ad Anna Maria Garufi di dare una definizione della sua storia, le risponde così: «La mia è una storia di incoscienza , perché sono partita prima col cuore e poi con la testa. Oggi a quasi 80 anni mi ritrovo senza una vita privata: non ho amici , ma solo persone che lavorano con me. Nel corso degli anni mi sono accorta che non stavo coltivando amicizie, ma non me ne preoccupavo perché era una scelta consapevole quella di dedicarmi anima e corpo al lavoro . Adesso invece ci penso, perché so che se dovessi fermarmi sarei sola».

La presidente della Lelat confessa di temere la solitudine, ma questo non le impedisce ancora adesso di dedicarsi alla sua attività con la tenacia di sempre . La comunità di recupero per i tossicodipendenti è ancora la sua “casa”, dove trascorre la maggior parte del suo tempo. La Lelat rappresenta la sua più grande scommessa, ma non è stata l’unica sfida vinta della sua vita. Custodito nel suo cuore resta quel progetto con le scuole che coinvolgeva i figli dei mafiosi attraverso un percorso teatrale finalizzato a dare a quei ragazzi la possibilità di scegliere una vita diversa da quella della famiglia d’origine, esattamente come oggi fa il giudice Di Bella: «L’attività del magistrato – dice con orgoglio la Garufi – la sento come una logica conseguenza di quello che ho fatto io tanti anni fa». Quell’impegno contro i mafiosi le costò anche un’aggressione da parte di una baby gang, mandata da criminali adulti affinché non ci fossero risvolti sul piano penale: «Alla fine dello spettacolo teatrale nella piazza di Villaggio Aldisio, mentre insieme ad un piccolo studente riponevamo gli oggetti che erano serviti per la messa in scena, sono stata picchiata da un gruppo di ragazzi con meno di 14 anni».

Per la Garufi questo non è stato l’unico incidente di “percorso”. Una volta rischiò addirittura di essere ammazzata: «In comunità stavo seguendo una ragazza tossicodipendente omosessuale , della quale si era perdutamente innamorato un boss mafioso. Pur di averla, le procurava tutta la droga che voleva. Ma io sapevo quanto schifo potesse farle andare a letto con un uomo, ed andai a riprenderla. Dopo qualche giorno, mi hanno sparato dentro casa e mi sono salvata solo perché in quel preciso momento mi sono abbassata a prendere il pacchetto di sigarette che mi era caduto sul pavimento. Diciamo che in quell’occasione me la cercai, ma ancora oggi sono contenta di aver salvato quella ragazza da quell’uomo. Non scorderò mai la sua espressione di felicità quando andai a riprenderla».

Anna Maria Garufi ha dedicato tutta la sua vita ad aiutare agli altri , anche a costo di sacrificare l’amicizia per il lavoro e di imparare ad accettare un rapporto conflittuale con quel figlio tanto desiderato che ha sempre reclamato maggiori attenzioni. Nonostante la sua vita privata sia stata in qualche modo penalizzata dalla sua professione e dal suo impegno sociale, la Garufi di una cosa si dice certa: «Se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto».

Danila La Torre

2 commenti

  1. Caterina papalia 6 Aprile 2019 11:39

    Spesso gli audaci,aiutano la fortuna…………..Anna Maria Garufi donna più che in gamba…Caterina Papalia

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  2. SANTA SUBITO!

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