Nello scenario di due civiltà a confronto, al Vittorio Emanuele di Messina, la splendida pièce riscrive il dramma di Shakespeare. Regia di Valter Malosti
MESSINA – “Antonio e Cleopatra”: il 28 febbraio al “Vittorio Emanuele” di Messina è andata in scena la splendida prima dello spettacolo in cartellone per l’ attuale stagione di prosa, con replica fino a oggi pomeriggio. Una felice produzione Emilia-Romagna Teatro Ert/Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Lac Lugano Arte e Cultura. Alla magistrale regia Valter Malosti che, unitamente alla valente scrittrice Nadia Fusini, si è occupato altresì di una sorta di reiscrizione del dramma, attraverso traduzione e adattamento, perfetti, della celeberrima opera teatrale di William Shakespeare, e ne è stato superbo interprete principale, nel ruolo di uno dei triumviri chiamati a reggere Roma e le terre conquistate, con una magnifica Anna Della Rosa nei panni della regale egizia.
Le sobrie scene, atte a dar conto della differente ambientazione, tra Alessandria d’Egitto e Roma, si sono attestate a Margherita Palli, coadiuvata da Cesare Accetta per quanto riguarda l’uso dell’illuminazione, i costumi del tutto consoni, pur se con tratti di originale commistione fra i rimandi d’epoca e l’attualità, a Carlo Poggioli. Lo spettacolo è stato impreziosito dalla chitarra di Andrea Cauduro e dall’arpa celtica Dario Guidi, entrambi dal vivo per il progetto sonoro di Gup Alcaro.
Ottima la resa anche degli altri attori: Danilo Nigrelli, Dario Battaglia, Paolo Giovannucci, Paolo Giangrasso, Noemi Grasso, Ivan Graziano, Dario Guidi, Flavio Pieralice, Gabriele Rametta, Carla Vukmirovic, tutti assai credibili nelle rispettive parti, con riguardo a Enobarbo, amico e soldato di Antonio, a Cesare Ottaviano ad ,Agrippa, generale romano, all’ambasciatore di Marco Antonio, a Incanto, ancella di Cleopatra, un indovino, Eros, dio dell’amore, un messaggero di Roma, un soldato di Antonio e ad Ottavia, sorella di Cesare Ottaviano.
La tragedia shakespeariana, del 1607, vede in Antonio e Cleopatra gli assoluti protagonisti della vicenda, e racchiude in sé numerosi temi cari al drammaturgo, come i conflitti fra dovere e desiderio, piaceri dell’alcova e battaglia, universo maschile e femminile in un perpetuo incontro-scontro con amore e morte a fronteggiarsi, unitamente a quelli della giovinezza e della vecchiaia.
Uno spettacolo che lascia integra l’anima shakespeariana
Nella specie, è stato ben centrato anche il contrasto fra l’antica saggezza egiziana e la concretezza politica dei romani, che desiderano portare a compimento il sogno di Giulio Cesare di generare un impero con baricentro in Oriente.
Ha piacevolmente impressionato come si sia riusciti, nella perfetta traduzione con correlato riadattamento, a lasciare integra l’anima shakespeariana, che si rintraccia tutta nella rappresentazione, un atto unico di 130 minuti, ove tutti gli elementi evidenziati hanno concorso all’ottima riuscita.
L’Oriente e l’Occidente che si fronteggiano e si sfidano attraverso la arcinota vicenda di amore e ragion di stato, ove, se infine la passione è vinta, il potere e le sue ferree leggi non hanno di che rallegrarsi.
Giustamente i sentimenti sono stati al centro e sulle loro sfaccettature ha giocato sapientemente la regia.
Ad un Marco Antonio clownesco, in scena nell’incipit di forte impatto, ove il tribuno e la Regina di insuperabile carisma e fascino che lo ha soggiogato appaiono nel loro letto a due piazze (in una prima notevole scenografia), quali personaggi che giocano sulla scena e prendono applausi di sottofondo, mentre la musica scandisce quei momenti, si contrappone immediatamente il potere regale e femminile di Cleopatra.
La innegabile visionarietà della regia così è in evidenza da subito, con la maestosa regina dalla dirompente personalità, mitica eppur storicamente esistita, di uno extra-ordinario narcisismo. Due istrioni si confrontano, ma è chiaro come quell’Antonio, pure di chiara fama per le sue gesta belliche romane, sia come plagiato dalla sovrana fino a divenire un burattino nelle sue mani che muovendone i fili, lo plasmano a proprio piacimento.
La sovrana si impone anche sugli spettatori, ammalia e conquista mentre Antonio si appresta ad andare incontro alla sua fine, sfidando per lei Cesare Ottaviano dopo un tentativo di” tornare all’ovile”, attraverso le nozze combinate con Ottavia, sorella di Cesare Ottaviano, dopo la morte della consorte Fulvia e rimanendo infine schiacciato dalla più elevata superiorità strategica di Ottaviano, che difatti diverrà il primo imperatore romano, con il nome di Augusto.
E frattanto si è stati trasportati a Roma, sono mutati i costumi e le luci, poi é ancora Alessandria a tenere banco, e successivamente ai campi di battaglia, ancora Alessandria d’Egitto.
In una visione d’insieme, dunque, può affermarsi che si è stati in tempi moderni e poi nei tempi della storia reale, che si snoda dal 41 al 30 A.C., e nel finale nuovamente nella modernità, con Cleopatra che non va incontro al suo destino fatale a mezzo veneficio procuratosi, ma con un teatrale colpo di pistola.
Senso del tragico e dissacrante comicità
Non disturba, va detto, questo andirivieni nell’eternità, a sottolineare come la narrazione sia assolutamente trasponibile e attuale in epoca contemporanea e come lo sarà anche in futuro.
Rimarranno impresse le movenze lente e sensuali, sotto la attenta cura del movimento di Marco Angelilli, della Regina per eccellenza, che è dannatamente dotata di gestualità e mimica ammaliatrici.
Senso del tragico e dissacrante comicità, sacro e grottesco si sono alternati in questo che a buon titolo può appellarsi poema filosofico-alchemico, fortemente evocativo shakespeariano, che anche il cinema ha omaggiato (si cita il capolavoro di Joseph L. Mankievicz, con la indimenticabile e realistica coppia attoriale hollywoodiana Burton- Taylor).
Anna della Rosa è stata, in conclusione, una Cleopatra del tutto in parte, regale e insopportabile in uno, e se ha soggiogato Valter Malosti – Marco Antonio, fino al suo suicidio, preferendo tuttavia pensare che abbia scelto da sé quella strada (“Solo Antonio poteva vincere su Antonio)”, ha tuttavia scelto di porre fine alla propria vita a causa di quella dipartita, perfettamente consapevole che il prosieguo non potrà che generare la sua sconfitta anche regale con inaccettabile resa al governo di Roma.
Applausi anche a scena aperta e ovazione finale per una” performance” inappuntabile, che, spiace proprio, al suo esordio messinese non abbia trovato la sala gremita come avrebbe meritato.
E ciò, occorso per la seconda volta consecutiva, dovrebbe far riflettere su come le rappresentazioni di eccelsa qualità, se non contraddistinte da storie leggere e da interpreti dotati di popolarità, purtroppo non trovino il largo consenso dei messinesi.
La grande pièce si sposterà i prossimi giorni al Teatro Biondo di Palermo, da mercoledì 5 a domenica 9 marzo, e si confida possa godere del doveroso più ampio apprezzamento.
