Via agli interrogatori dopo l'operazione antimafia Inganno, parola ai difensori
MESSINA – Qualcuno ha parlato, ma i più hanno taciuto. E’ questo il bilancio della prima tornata di interrogatori seguita all‘operazione antimafia Inganno, l’inchiesta di Direzione Antimafia e Ros dei Carabinieri sfociata ieri in 7 arresti.
Gli interrogatori
Il giudice per le indagini preliminari Ornella Pastore ha aperto gli interrogatori di garanzia col confronto con Vincenzo Miano, Giuseppe Isgrò e Carmelo Mastroeni, difesi dagli avvocati Pietro Fusca, Tino Celi e Gaetano Pino. I tre erano in libertà al momento del blitz e sono finiti dietro le sbarre. A chiamarli in causa sono stati i pentiti, in particolare Carmelo D’Amico e Salvatore Micale. Ma i difensori sono fiduciosi che il prosieguo dell’indagine contribuirà a chiarire la loro effettiva posizione.
Parola ai difensori
Il giudice ha vietato loro di comunicare col difensore prima del confronto, anche per questo probabilmente li ha spinti ad avvalersi della facoltà di non rispondere, in attesa di poter valutare con i rispettivi legali le accuse. Ha scelto di rispondere invece Isgró, sostenendo che al momento dei fatti contestati non conosceva le persone a cui i pentiti lo collegano. “Il mio assistito ha risposto respingendo le accuse”, spiega l’avvocato Celi, pronto a ricorrere al Tribunale del Riesame come gli altri difensori.
Stamani sono attesi al confronto col giudice che ha autorizzato il blitz le altre quattro persone coinvolte che quando è scattata l’operazione erano già in carcere. Ovvero Pippo Gullotti e Sam Di Salvo, considerati dagli inquirenti i vertici del clan del Longano e indicati dai pentiti come i mandanti di 13 omicidi avvenuti tra il 1992 e il 1998, Nicola Cannone e Stefano Genovese, difesi dagli avvocati Tommaso Autru Ryolo, Diego Lanza e Luisella Mancuso.
Il ruolo di Stefanino Genovese

L’Avvocato Diego Lanza difende Stefano Genovese, recentemente scagionato dall’accusa di aver preso parte all’omicidio del giornalista Beppe Alfano, ed è ottimista in merito al nuovo mandato di arresto: “Nulla di nuovo è emerso nel panorama probatorio derivante dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a carico del Genovese stesso. L’ordinanza ultima non si discosta dalle
indagini relative ad altri omicidi ove sarebbe coinvolto il Genovese, il contenuto accusatorio è sempre relativo alle dichiarazioni autonome e indipendenti di D’Amico Carmelo cui non segue come necessario ai fini della prova ulteriore dichiarazione accusatoria che sia corredata da autonomia e indipendenza rispetto a D’amico. Nemmeno Micale Salvatore ultimo in ordine di tempo colma la lacuna probatoria determinando l’insufficienza del quadro investigativo e accusatorio”.
Dopo 30 anni una luce sull’omicidio Longo
A coinvolgere il cinquantenne nell’operazione Inganno sono oggi i pentiti, che lo chiamano in causa per l’omicidio di Francesco Longo, ucciso la sera del 28 dicembre 1992. Anche questo un delitto rimasto nell’ombra per decenni fino a quando i collaboratori non lo ascrivono alla faida mafiosa di quegli anni: Longo era un chiofalano e per questo era stato dato incarico di eliminarlo a Genovese e Carmelo D’Amico.
