Una dirigenza cinica e sprezzante. L'ultimo regalo dei Franza è la cancellazione del Messina

Una dirigenza cinica e sprezzante. L’ultimo regalo dei Franza è la cancellazione del Messina

Redazione

Una dirigenza cinica e sprezzante. L’ultimo regalo dei Franza è la cancellazione del Messina

martedì 15 Luglio 2008 - 23:21

Se Caronte potesse parlare forse anche lui esprimerebbe la sua amarezza. Già, una figura così imponente come la sua costretta da freddi affaristi armatori a traghettare il Messina dai luminosi paradisi della serie A all’inferno buio e tetro delle serie dilettantistiche. Anche lui soffrirebbe per la fine del sogno, per una realtà incenerita, per anni di storia che rischiano ora di essere sepolti dall’oblio.

Caronte è un’affascinante figura mitologica ma potrebbe essere anche il simbolo di un impero finanziario che da sempre cavalca l’onda di affari e profitti. Solo ricavi e programmi economici, rateizzazioni e termini inaccessibili ai più come quel projet financing che per anni ha roso come un tarlo il cervello dei boss di casa Franza.

E così in nome di una spietata programmazione finanziaria oggi il gruppo Franza ha messo la parola fine ad un’avventura che aveva trascinato con sé un’intera città. Quindici anni fa era solo CND, poi arrivò Aliotta e fu serie B. I Franza posero la ciliegina sulla torta raggiungendo dopo 39 anni una serie A che nessuno osava nemmeno pronunciare. Un miracolo di programmazione, lavoro, fortuna ed incoscienza. La famiglia, detestata dalla città per alcune impopolari scelte imprenditoriali, era diventata una vera e propria icona. Ma in pochi mesi tutto è cambiato. Si è passati dalle porte della coppa Uefa al tonfo più clamoroso. Due retrocessioni consecutive, un anno in B triste ed anonimo ed ora l’addio. Un taglio netto, improvviso, senza appello che ricaccia il Messina nell’umiliante calderone della serie D. Un’eutanasia fredda come il rapporto che in questi sei anni ha fatto da cuscinetto fra tifosi e dirigenza. Ecco cosa è mancato: il rapporto umano, la passione. I Franza sono stati gli imprenditori che hanno guidato il Messina verso straordinarie conquiste. Quando dalla roulette non è più uscito il numero vincente il distacco ha creato il baratro. Freddi nei rapporti con i tifosi, nel trattare con la stampa, testardi nel voler fare sempre di testa propria affidandosi spesso a uomini sbagliati. E se la piazza chiedeva la testa di persone sgradite e dalle modestissime capacità professionali come Giordano e Valentini arrivavano puntuali le riconferme, anzi i prolungamenti di contratto come nel caso del rampante direttore sportivo marchigiano. Insomma un occhio ai bilanci e l’altro ai libri contabili ma alle ragioni del cuore mai nessuna concessione. Ma le società di calcio spesso si gestiscono con un altro elemento che nei volumi di ragioneria non esiste: la passione. Luzzara con pochi mezzi ha fatto grande la Cremonese, Bortolotti l’Atalanta, Mazza la Spal, Rozzi l’Ascoli e potremmo continuare a lungo. Ma nella famiglia Franza questa componente è rimasta quasi sconosciuta se si eccettua il periodo d’oro della promozione in A e del settimo posto quando il presidente Pietro, novello zar giallorosso, entrò in perfetta sintonia con i tifosi che lo volevano addirittura sindaco della città. Fu in quei giorni che i Franza toccarono l’apice del gradimento. Da bravi imprenditori una mossa l’avevano già azzeccata. Salire sul carro di Luciano Moggi, nel momento di massimo fulgore, consentì al Messina di stare con i più forti. E, infatti, da Torino arrivarono in giallorosso numerosi talenti che aiutarono la squadra nel raggiungimento dei maggiori successi. Naturalmente sfaldandosi il fenomeno Moggi cominciarono i problemi anche per il Messina e arrivarono due retrocessioni di fila. L’inizio della fine anche per la dirigenza. Gestire da soli una società di calcio non è impresa facile. Più complesso che gestire alberghi o compagnie di navigazione. Da qui l’idea, sempre più concreta, di abbandonare la nave che affonda. Un gesto irresponsabile che ha provocato la cancellazione della società dalla mappa del calcio. Solo a fine maggio i Franza avevano stretto un patto con i tifosi invitandoli a recarsi allo stadio per la partita con il Lecce. Una messinscena? Forse si, probabilmente era stato tutto deciso. Il Messina doveva sparire dal grande calcio, troppo costoso e pieno di rischi. Oggi i Franza propongono alla città, come se niente fosse, un bel campionato dilettantistico ed un buon settore giovanile. Un atteggiamento sprezzante come se le colpe del fallimento fossero da addebitare ai messinesi. Dimenticando la passione e l’amore che un’intera città ha riversato sulla squadra giallorossa. Se errori ci sono stati vanno ricercati nelle stanze di via Acireale e forse in quelle della politica che in queste ore ha lanciato solo qualche timido proclama. Se tanto mi dà tanto Messina può dire addio ai Franza senza rimpianti, anzi tirando un sospiro di sollievo. Niente è perduto. Il Lodo Petrucci potrebbe consentire ad una società nuova di zecca di ricominciare dalla Seconda divisione (la vecchia C\2). Magari potendo contare su una dirigenza meno ricca ma più appassionata, dallo stile poco manageriale ma più vicina ai tifosi ed alla città. Siamo stufi di projet financing, parcheggi multipiano, supermercati e cinema multisale. Ciò che vuole Messina è una squadra forte e vincente. Quello che i Franza non erano in grado o non volevano più garantire.

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