Pasolini

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Lavinia Consolato

Pasolini

sabato 27 Settembre 2014 - 22:46

La storia dell'ultimo giorno di un uomo che con i suoi scritti e i suoi film ha provocato e scandalizzato, fino alla sua morte, la notte tra l'1 e il 2 novembre 1975.

Il film di Abel Ferrara si apre con un’intervista di un giornalista francese a Pasolini (Willem Dafoe), mentre vengono proiettate alcune scene dell’appena terminato “Salò o Le 120 giornate di Sodoma”, che verrà proiettato tre settimane dopo la morte del regista. Alla domanda se lui si senta più poeta o più regista, Pasolini risponde: “Nel passaporto scrivo semplicemente scrittore”.
Da Stoccolma, Pasolini torna a Roma, a casa con la madre Susanna (Adriana Asti) e la cugina Graziella (Giada Colagrande), dove incontra pure suo cugino Nico Naldini (Valerio Mastandrea) e l’amica Laura Betti (Maria de Madeiros).
Scrive parecchio ed incontra un giornalista, al quale spiegherà ciò che lo muove ad essere così provocatorio: “L’inferno sta salendo da voi… Siamo tutti in pericolo.” I “voi” ai quali fa riferimento sono tutti coloro che si scandalizzano senza trovare il suo messaggio, sono i politici con i loro intrighi di palazzo, sono quelli di cui si parla sul giornale, che compiono omicidi. E’ giusto scandalizzare: è un modo per far cadere il palazzo dell’ignoranza e basta un chiodo. Il rifiuto di ciò che non è corretto, il rifiuto è tale chiodo -ovvero la violenza provocatoria che Pasolini manifesta-  che può cambiare la situazione.
A cena incontra Ninetto Davoli (Riccardo Scamarcio) al quale racconta la trama del suo prossimo progetto. In tale racconto vediamo il vero Davoli interpretare Epifanio, nome non casuale, che a fianco del Davoli-Scamarcio segue una stella cometa che annuncia la venuta del Messia; attraverseranno una Roma tramutata in Sodoma e cercheranno di raggiungere il paradiso, che non c’è, salendo una scala infinita fino a vedere da lontano la Terra.
Salutato Davoli, Pasolini con la macchina gira per delle strade piene di ragazzi, i “Ragazzi di vita” del suo romanzo del 1955; sceltone uno, lo porta con sé ad Ostia in un posto isolato, andando incontro alla morte.
Tra scorci marmorei di Roma, Ferrara ci ha dato un resoconto asciutto e in certi momenti un po’ crudo di come doveva essere la vita di un uomo che viveva solo per la propria arte, che creava per lui stesso, per sfogare la sua feconda mente irrequieta.
Della morte di Pasolini si sono date tante versioni, si è parlato di complotti, ricatti e altro. Ferrara ha scelto questa, che Alberto Moravia descrisse così: “La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile”.
Lavinia Consolato

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