“La teoria del tutto”. Stephen Hawking, uno scienziato che ama comunque la vita

“La teoria del tutto”. Stephen Hawking, uno scienziato che ama comunque la vita

Nunzio Bombaci

“La teoria del tutto”. Stephen Hawking, uno scienziato che ama comunque la vita

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giovedì 12 Febbraio 2015 - 08:25

Un interessante profilo professionale ed umano nel nuovo film di James Marsh dedicato ad una delle figure decisive per l’evoluzione scientifica del secondo Novecento.

L’inglese Stephen Hawking è uno dei più celebri fisici teorici del secondo Novecento. Il film “La teoria del tutto” ne propone un sapido profilo scientifico e umano. Il regista, James Marsh, è vivamente apprezzato dalla critica soprattutto per i film diretti negli ultimi lustri. Il protagonista è interpretato da Eddie Redmayne, un giovane attore di teatro e di cinema che ha già dato prova del suo talento. Da alcuni decenni la fama di Hawking ha travalicato il mondo scientifico, come attesta la fortuna editoriale di un libro sulla “storia del tempo”, che ha venduto milioni di copie. Taluni psicologi hanno azzardato una valutazione del suo quoziente di intelligenza, ponendolo ovviamente alla sommità della scala di misurazione adottata. Tuttavia, l’intelligenza di un genio come Hawking non può essere valutata in virtù di un test del QI, così come le febbri preternaturali di padre Pio non potevano essere misurate da alcun termometro clinico: il mercurio era comunque destinato a spezzarsi.

Nel film, Hawking si definisce un cosmologo, e in effetti la sua riflessione verte sull’universo, sul Tutto. Proprio l’interesse dell’uomo nei confronti del Tutto è il primum movens del pensiero, filosofico ancor prima che scientifico, dell’Occidente. E se la filosofia del Novecento, allorché si è esaurita la parabola dell’idealismo, ha dismesso il progetto di abbracciare il Tutto con il pensiero, la scienza coeva lo ha coltivato ancora. Per lo meno, lo hanno coltivato due tra gli scienziati più famosi del secolo. Il primo è Einstein che, dopo l’elaborazione della duplice teoria della relatività, ha perseguito inutilmente – e per decenni – il tentativo di compendiare in una formula matematica l’ordine normativo che informa il Tutto. Dopo di lui, Hawking svolge una ricerca analoga. Da giovane, egli studia diacronicamente le stelle, i buchi neri, l’universo. Si pone quindi il problema dell’origine del tempo, professandosi sempre e comunque ateo, a differenza di Einstein. Egli si situa pertanto sulla scia di Pierre-Simone de Laplace, che oltre due secoli or sono stimava superflua “l’ipotesi Dio” in qualsivoglia teoria sull’origine del cosmo. Negli anni della maturità, Hawking non persegue più una teoria siffatta. Egli ritiene ora che l’universo sia eterno, infinito, e non abbia alcun senso se non in se stesso.

Nel 1963 viene diagnosticata al giovane Stephen un male gravemente invalidante, ovvero la malattia del motoneurone. Per la medicina del tempo egli ha una speranza di vita di circa due anni. A distanza di oltre mezzo secolo dall’apodittica quanto inaffidabile prognosi, egli vive ancora. Nelle scene iniziali, il film presenta uno studente ventunenne, appena “silurato” dall’Università di Oxford. Si iscrive allora a Cambridge, ove svolgerà il dottorato. Sulle prime egli appare come un giovane allampanato, sempre immerso nelle sue elucubrazioni, un po’ maldestro come gli uomini di studio che non smettono di riflettere neppure quando giocano con gli amici. In realtà, la sua gestualità alquanto impacciata è il primo segno della malattia.

Il neurologo che consulta gli espone con distacco la prognosi quoad vitam e quoad functionem e gli spiega che cosa lo attende nel prossimo futuro. Il clinico si sbaglia nel formulare entrambe le prognosi e pure nel predire che la malattia del motoneurone lascerà integro il pensiero di Stephen, ma gli precluderà ben presto la possibilità di comunicarlo ad altri. Lo scienziato, invece, potrà esprimere il suo pensiero grazie a un sintonizzatore vocale. Dopo l’umanissimo sconforto suscitato dalla diagnosi, il giovane trova la forza di andare avanti e riesce a condurre una vita gratificante sul piano affettivo e scientifico. Anche negli anni successivi, allorché la malattia si aggrava, non mancano i momenti di comprensibile scoraggiamento, mai però di rassegnazione.

Stephen dimostra un coraggio non comune nel contrastare le conseguenze invalidanti del male, lasciando lo spettatore del film ammirato e sgomento. Che cosa lo ha indotto a lottare contro la sua malattia? A dargliene la forza, in fondo, è stata la “variabile interveniente” costituita dall’amore. Si tratta di una variabile che non si può dare per scontata: non tutti gli esseri umani – sani o malati – sperimentano l’amore in modo adeguato nella propria esistenza. A sostenere Stephen è dunque l’amore per la vita, per la moglie, per i figli. È pure l’amicizia dei compagni di corso, la stima del professore che ha subito percepito il suo genio. La moglie Jane ricambia il suo amore. Vuole comunque vivere con lui, anche dopo la diagnosi, e senza assumere mai una posa da crocerossina. Jane è una persona consapevole delle sue fragilità, eppure nei momenti peggiori si rivela forte quasi quanto Stephen. Anche quando si innamora di un altro uomo, ama ancora suo marito e non lo abbandona. La vita sentimentale di Jane lascia quindi un po’ perplesso lo spettatore. Essa può però indurre a pensare che, forse ancora di più rispetto al Tutto, l’amore resiste a ogni tentativo umano di sussumerlo in leggi imprescrittibili e cogenti.

L’amore è capace pure di modulare la percezione delle difficoltà della vita, e ciò vale per Hawking come per ogni essere umano. Nel linguaggio delle teorie della complessità, si può affermare che proprio l’amore è l’“attrattore strano” che scompiglia ogni azzardo previsionale sullo stato futuro di un sistema complesso, di carattere fisico o biologico. E anche l’uomo, in fondo, è un sistema complesso. L’attrattore strano che chiamiamo amore può quindi mutare di segno il significato che attribuiamo alle condizioni in cui viviamo, anche a quelle più drammatiche. Proprio questo attrattore ha costituito la forza con la quale Stephen Hawking ha governato in modo così singolare le conseguenze psichiche della propria malattia sino a mitigarne persino l’evoluzione clinica. L’amore lo ha reso capace di vivere al massimo delle sue possibilità, sempre e comunque.

Nunzio Bombaci

2 commenti

  1. Maledetta SLA!!!!!

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  2. Maledetta SLA!!!!!

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