Perquisizioni a tappeto in Sicilia, soprattutto nel trapanese e nel palermitano, da parte degli uomini del Corpo Forestale, su delega della Procura di Verona, dove si indaga sulle fatture gonfiate di alcune aziende che imbottigliavano vino.
La fuga di notizie relativa all’inchiesta condotta dagli inquirenti del nord italia ha impresso un’accelerata anche alle indagini condotte in Sicilia. Da sabato scorso gli uomini della Forestale sono perciò impegnati nelle perquisizione delle sedi di numerose aziende vinicole, degli uffici e le abitazioni di 11 titolari di imprese che risultano coinvolte nella fittizia vendita di mosto. Intanto, a Catalafimi e Salemi sono state sequestrati numerosi documenti e sono stati apposti i sigilli agli stabilimenti di produzione di vino. Gli atti sono tutt’ora al vaglio degli inquirenti per ricostruire l’organizzazione dell’attività criminale e per identificare tutti gli autori del reato e le responsabilità di ognuno e non è escluso che l’inchiesta abbia ulteriori sviluppi.
A condurre nell’Isola sono state alcune fatture e bolle di consegna di partite di vino trovate nelle aziende venete. Le prime indagini svolte nel trapanese hanno evidenziato che le case vinicole siciliane, indicate nelle bolle di consegna, non producevano vino da qualche anno o non esistevano affatto.
Nemmeno un litro di vino era quindi partito dalla Sicilia. Il vino sofisticato era prodotto artificialmente in Veneto, utilizzando acqua e prodotti tossici per coprire lo zucchero, dare il colore. Le finte fatturazioni e le bolle di consegna servivano solo a giustificare la produzione dei 70.000 ettolitri di veleno dal colore rosso venduto per vino.
