Rapporto-choc della Cgil sull’università. Dati sconfortanti per l’Unime

Rapporto-choc della Cgil sull’università. Dati sconfortanti per l’Unime

Gabriele Quattrocchi

Rapporto-choc della Cgil sull’università. Dati sconfortanti per l’Unime

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mercoledì 16 Marzo 2016 - 08:25

Franco di Renzo della Federazione dei Lavoratori della Conoscenza della CGIL ha presentato una relazione sullo stato di salute del sistema formativo universitario italiano. Ciò che emerge è un quadro disarmante. Pochi i finanziamenti, così come i laureati, alte le tasse. Il saldo negativo colpisce ancor più duramente il meridione e l’ateneo messinese non fa eccezione

Crisi economica e progressiva riduzione degli investimenti sono alla base del decadimento dell’Università italiana. È disarmante il quadro tracciato da Franco Di Renzo della FLC CGIL Sicilia sullo stato di salute del mondo accademico meridionale. La sua relazione, presentata a Messina in occasione di un incontro di approfondimento, ha portato a galla tutti i segni negativi che il sistema formativo universitario ha fatto registrare negli ultimi anni.

«La politica dei governi italiani che si sono succeduti nel tempo ha riservato alla ricerca e all’università il ruolo di cenerentola – ha detto di Renzo. Si è andati in direzione opposta a quella di paesi avanzati ma anche emergenti: mentre l’Europa si è data l’obiettivo, al 2020, di avere il 40% di giovani laureati, l’Italia è nel 2014 al 23,9%, collocandosi all’ultimo posto fra i 28 stati membri».

L’ateneo messinese, insieme agli altri siciliani, arranca ancora in fondo alle classifiche, schiacciato da una miriade di segni negativi: dalla riduzione del FFO – fondo di finanziamento ordinario (- 18.177.157€ nel periodo 2011/2015) al taglio netto sul personale docente e tecnico-amministrativo (rispettivamente -154 e -158 nel periodo 2011/2014), dalla diminuzione dei corsi di laurea attivi (-27 nel periodo 2010/2016) al calo delle immatricolazioni (-977 nel periodo compreso tra l’anno accademico 2011/12 e 2014/2015) passando per il saldo negativo degli iscritti (-4.721 nel raffronto a.a. 2011/12 e a.a. 2014/15). Il dato negativo delle immatricolazioni e delle iscrizioni si deve leggere anche in rapporto a una mobilità degli studenti a senso unico: da Sud verso Nord. In Sicilia il fenomeno nel 2014/2015 riguarda quasi un terzo degli immatricolati a fronte di meno di un sesto nel 2003/2004. L’unico dato in crescita riguarda le tasse, che lievitano mediamente dai 730€ del A.A. 2009/10 ai 915€ del A.A. 2014/15.

«La situazione del diritto allo studio – puntualizza il referente della FLC CGIL- non è certo tra le migliori in Italia e a maggior ragione nel Mezzogiorno e in Sicilia in particolare. Carente l’intervento regionale. A fronte di forti investimenti negli altri Paesi europei quali la Francia, la Germania e la Spagna. Il dettato costituzionale, l’articolo 34, per cui “ i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” oggi si può dire sostanzialmente disatteso».

Un altro dato preoccupante è quello relativo agli investimenti. «É bene ricordare – sottolinea Di Renzo – che il Fondo di Finanziamento Ordinario viene ripartito in modo assai diverso rispetto al passato, quando veniva principalmente distribuito sulla base del dato storico di finanziamento di ciascun ateneo. A partire dal 2009 esso viene invece distribuito in una “quota base” e in una “quota premiale”: la “quota base” è andata diminuendo e la “quota premiale” arriva nel 2015 al 20% del totale. Ma la “quota premiale” non svolge affatto un ruolo “premiale”, cioè aggiuntivo per gli atenei virtuosi, ma determina una diversa distribuzione fra le sedi universitarie dei tagli. In sostanza il meccanismo ha favorito gli atenei del Nord, il cui FFO è sceso meno di quello degli atenei del Sud».

Una volta individuati gli elementi di criticità del sistema, non resta che provare a formulare una prognosi. Se si pensa che la capacità dei Paesi più avanzati di essere competitivi dipenderà a sua volta dalla competitività delle imprese e dall’avere una forza lavoro altamente qualificata, secondo la CGIL, si capisce bene che l’Italia, per mantenere la sua posizione a livello economico, dovrà avere più laureati. Tra le proposte avanzate dalla FLC, una tra le più significative prevede il passaggio da un livello regionale a un livello nazionale di copertura delle borse di studio, che probabilmente porrebbe anche un freno alla mobilità Nord-Sud degli studenti.

Di Renzo ha anche stigmatizzato «la pesante campagna mediatica contro l'università italiana, basata sempre sugli stessi assunti: la spesa per l'istruzione è troppo alta ed inefficiente rispetto ai risultati, abbiamo troppe università, troppi corsi di studio, la nostra ricerca ha un ruolo marginale nel panorama mondiale. Occorre, quindi, secondo questa logica ridurre gli sprechi, salvare solo le eccellenze da premiare con le risorse sottratte alle parti inerti e meno produttive del sistema, cioè quelle meridionali».

Ma l’Italia, e il Mezzogiorno in particolare, non può uscire dalla crisi, senza investire in maniera crescente nell’università e nella ricerca, investimento che per la FLC CGIL deve essere più imponente proprio nelle aree più depresse. Bisogna puntare sull’innovazione come elemento fondamentale per un avanzamento non al ribasso del Paese. Non si può pensare di poter competere in un mondo sempre più globalizzato, puntando su una politica economica fondata su un costo del lavoro decrescente.

Contestualmente, Di Renzo punta il dito contro la «“privatizzazione” degli atenei». «L’investimento in ricerca e istruzione non può che essere un investimento pubblico e quindi è assolutamente da respingere qualsiasi idea di privatizzazione attraverso, ad esempio, lo strumento della fondazione».

Un investimento che passa dalla valorizzazione dei laureati e dei ricercatori e dall’incremento del numero di docenti, che a Messina come altrove è andato progressivamente diminuendo parallelamente alla riduzione dei finanziamenti. L’obiettivo è superare la figura del ricercatore a tempo determinato, le cui prospettive di inserimento appaiono frequentemente frustate.

La FLC CGIL lancia un messaggio di riforma del modello di governo degli atenei, delineato dalla Legge 240/2010. Una riforma intesa in senso radicalmente più democratico, che tenga conto di tutte le componenti che animano le università italiane, mantenendo e rafforzando la distinzione tra attività politica e quella gestionale. Occorre garantire un finanziamento diffuso della ricerca che non deve essere appannaggio di pochi gruppi.

Gabriele Quattrocchi

4 commenti

  1. SaltaLaMacchia 16 Marzo 2016 10:57

    Tagliate dipartimenti inutili e cominciate a considerare l’universita’ come un’azienda.
    Fuori chi non produce risultati o reddito.

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  2. SaltaLaMacchia 16 Marzo 2016 10:57

    Tagliate dipartimenti inutili e cominciate a considerare l’universita’ come un’azienda.
    Fuori chi non produce risultati o reddito.

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  3. l’università in Italia e soprattutto al Sud è autoreferenziale ed inutile per l’inserimento nel mondo del lavoro, a parte che per il ferreo rispetto delle leggi genetiche. I giovani se ne sono accorti perchè la pergamena oltre ad essere inutile è perfino troppo dura per essere utilizzata come carte igienica … che pena!!!

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  4. l’università in Italia e soprattutto al Sud è autoreferenziale ed inutile per l’inserimento nel mondo del lavoro, a parte che per il ferreo rispetto delle leggi genetiche. I giovani se ne sono accorti perchè la pergamena oltre ad essere inutile è perfino troppo dura per essere utilizzata come carte igienica … che pena!!!

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