Discarica di Mazzarra', 10 anni di indagini e blitz non hanno scongiurato l'emergenza rifiuti

Discarica di Mazzarra’, 10 anni di indagini e blitz non hanno scongiurato l’emergenza rifiuti

Alessandra Serio

Discarica di Mazzarra’, 10 anni di indagini e blitz non hanno scongiurato l’emergenza rifiuti

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martedì 04 Novembre 2014 - 10:14

Chiude la discarica di TirrenoAmbiente e i comuni messinesi faranno pagare ai cittadini il costo dello smaltimento altrove. Impossibile una bonifica a Mazzarrà? Eppure in questi anni le inchieste, i sequestri, gli allarmi sul rischio inquinamento sono stati una costante. Ecco tutti i precedenti, dalle indagini per ecomafia ai guai giudiziari di Antonioli e Innocenti, oggi destinatari del provvedimento di sequestro.

Il blitz della Commissione Ispettiva a Mazzarrà è del gennaio 2014. A giugno arriva la relazione, e si paventa la chiusura. La Regione chiede a TirrenoAmbiente di ampliare il sito, in maniera da smaltire in maniera corretta e non pericolosa l’enorme mole di rifiuti della Provincia di Messina. A fine agosto arrivano anche i Noe e l’Arpa e c’è l’ok ad una ulteriore proroga dell’attivitá del sito, in attesa che la Conferenza regionale dei Servizi si esprima in maniera definitiva. A fine settembre i Noe tornano in discarica. Ne escono con una relazione a tinte fosche, ora compendiata nel decreto di sequestro eseguito ieri.

In estrema sintesi, sono questi i passaggi salienti che hanno condotto alla chiusura del sito di Mazzarrà Sant’Andrea gestito da TirrenoAmbiente, la più grande discarica privata siciliana. Una serie di passaggi scanditi dall’emergenza continua. Che malgrado i continui interventi, blitz, e inchieste, alla fine non è stato comunque possibile scongiurare. Oggi i Comuni di Messina si trovano a zero o quasi con i programmi per introdurre concretamente la raccolta differenziata e contenere così la produzione di rifiuti, e nessuna discarica.

Il provvedimento di sequestro emesso ieri non offre indicazioni relative ad eventuali bonifiche o messa in sicurezza. Con un milione di metri cubi in eccedenza da smaltire a queste condizioni, quindi, la prospettiva di una riapertura del sito pare lontana. L’unica strada al momento è perció il conferimento fuori provincia, con i costi che lieviteranno e anche parecchio. A scapito dei cittadini ovviamente.

Eppure negli ultimi 10 anni è stato un susseguirsi costante di denunce delle associazioni ambientaliste, di attacchi a testa bassa del sindaco di Furnari, Mario Foti, di inchieste della magistratura sulle irregolarità dei lavori nel sito, la dirigenza della società, le infiltrazioni nel business “munnizza” del potente clan locale. Tutto con un unico sfondo: il rischio ambientale costituito dalla discarica. Possibile che malgrado tutto ció in 10 anni non è stato possibile effettuare un solo intervento che evitasse la chiusura definitiva del sito, lasciando i comuni in ginocchio, e facendo ricadere i costi di tutto sempre e soltanto sui cittadini?

Andando per ordine, la prima eclatante inchiesta sulla discarica messinese è l’operazione Vivaio. Cominciata nel 2005 per arginare la faida interna del clan di Mazzarrá, culminata nell’omicidio di Antonino Rottino, un camionista impegnato nell’indotto, svela i principali affari della famiglia dal 2003 al 2008, anno della retata. Affari costituiti principalmente dal business rifiuti appunto. In mezzo ci finiscono gli allora vertici di TirrenoAmbiente, a cominciare dal presidente, il professore Sebastiano Giambó. Già sindaco di Mazzarrà e tra i fondatori di TirrenoAmbiente, nel 2002, Giambó viene condannato a 8 anni in appello per concorso esterno. Stessa accusa e stessa condanna per l’altro colletto bianco coinvolto, “U Baruni” Michele Rotella, imprenditore del movimento terra tra i più attivi, che i pentiti indicano “troppo” vicino ai boss. Per questi ultimi, in appello sono arrivate pesanti condanne all’ergastolo, nel 2014. L’inchiesta in pratica spiega che all’inizio del decennio scorso la discarica era totalmente in mano alla mafia, dallo smaltimento dei rifiuti alla società stessa. Uno smaltimento, quello effettuato dai mezzi e operai del clan, che pensare regolare sarebbe azzardato.

Per garantirsi il business, i clan infiltravano anche le amministrazioni locali, pilotando le elezioni. E’ sempre l’inchiesta Vivaio a svelarlo, portando allo scioglimento del Comune di Furnari, nel 2009. Nel 2010 l’operazione Torrente, che racconta l’ultima latitanza del boss mazzarroto Carmelo Bisognano, poi pentito, porta all’arresto dell’ex sindaco di Furnari, Salvatore Lopez.

Tra gli indagati una lunga serie di personaggi di Mazzarrà Sant’Andrea. Come Carmelo Navarra, eletto sindaco di Mazzarrá Sant’Andrea nel 2007. Col sostanziale appoggio dei clan, secondo Bisognano che racconta, nei verbali agli atti dell’inchiesta Gotha 3, delle pressioni per far ritirare il concorrente Carmelo Torre, dell’appoggio elettorale a Navarra, “pupo” di Giambó, dei continui accordi con Giambó per i lavori da realizzare alla discarica. Accordi e incontri ai quali era presente, in almeno una occasione, anche l’uomo al quale Tirrenoambiente é stata affidata dopo il primo ciclone giudiziario, Pino Innocenti, oggi indagato. Bisognano racconta in particolare di un incontro con Giambó e Innocenti per “concordare” una fattura per lavori eseguiti nella vecchia discarica di inerti. Discarica realizzata dall’impresa barcellonese CaTiFra, cioè la sigla di Tindaro Calabrese, il costruttore ancora in piena attività, cresciuto all’ombra del consuocero senatore Mimmo Nania. I pentiti lo chiamano “u lupu” per la sua grande capacità di scalzare i concorrenti, e lo indicano interno al cartello di imprese dei soggetti del clan, oggi quasi tutti in carcere.

Le accuse alle amministrazioni di Mazzarra’ vengono ribadite anche da Salvatore Artino, figlio di Salvatore, braccio destro di Bisognano, ucciso “all’alba” del pentimento del boss. Artino spiega delle tangenti dell’amministrazione al clan e dei rapporti con i vertici della discarica, almeno fino al 2007, e indica tra i collusi l’assessore al bilancio Carmelo Pietrafitta. Oggi il sindaco di Mazzarrà, dove i cittadini non pagano le bollette, “saldate” da TirrenoAmbiente, è Salvatore Bucolo. Eletto nel 2012, per una manciata di voti ha sconfitto proprio Pietrafitta. Proveniente dall’estrema destra, gravita oggi in area di centro destra ed è stato tra i principali animatori della recente “rinascita” dei club di Forza Italia. Anche su di lui il pentito Artino allunga una pesante ombra. O meglio sul fratello Angelo, indicandolo come coinvolto nell’omicidio del camionista Rottino.

Ma anche negli anni più recenti è stato un susseguirsi di blitz in discarica delle forze dell’ordine e di sequestri per rischio inquinamento. Gia nel 2009 il Noe di Catania, dopo un sopralluogo, consegnó alla Procura una informativa che ipotizzava il sequestro. All’inizio del 2013 la Forestale mise i sigilli all’impianto di biogas di contrada Zuppà proprio perché inquinante e avvisó Pino Innocenti e Giuseppe Antonioli, vertici di TirrenoAmbiente.
Nell’aprile 2014 entrambi sono stati avvisati dalla Procura di Vercelli per truffa per i contratti tra TirrenoAmbiente e la Osmon, dove gli stessi figurano come soci privati. A luglio scorso Antonioli è stato arrestato dalla Procura di Palermo per un’inchiesta su un giro di mazzette all’assessorato regionale. Pagate- questa è l’accusa – per ottenere autorizzazioni per la discarica di Mazzarrà. La richiesta di rinvio a giudizio per lui è già arrivata. L’ultimo cambio ai vertici del Cda di Tirrenoambiente gli ha tolto la carica di amministratore delegato ma gli ha lasciato ampi poteri gestionali, quelli di direttore generale.

A fine anno, infine, si dovrebbe concludere l’udienza preliminare per i 17 indagati per i lavori di realizzazione del secondo modulo della discarica di Tripi, un tiro di schioppo da Furnari e Mazzarra’, ora inattiva. Lavori considerati giudicati irregolari e pericolosi, tanto che la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di tecnici comunali e regionali, imprenditori e gli allora responsabili di Messinambiente, la società mista messinese, commissariata per mafia nel 2004. Sono già sotto processo, invece, i costruttori La Monica di Caronia, ai quali la Procura ha confiscato il patrimonio per mafia, e due dirigenti comunali di Messina, imputati di aver realizzato e autorizzato lavori al sito di Formaggiara in maniera irregolare, tanto che il percolato inquinava le acque sottostanti.

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