Anche a Messina l'iniziativa dell'associazione "L'Italia ripudia la guerra". In piazza Unione europea l'ex sindaco Accorinti con uno striscione pacifista
MESSINA – “Ripudiamo la guerra”. Non solo la cerimonia ufficiale del 4 novembre. Ovvero, la Giornata dell’Unità nazionale e delle forze armate. C’è chi, da Emergency a piazza Duomo all’ex sindaco Accorinti a pochi passi dalla cerimonia, ha ribadito oggi il “no” alla guerra. Un messaggio ancora più urgente in una fase storica così segnata dai conflitti. Conflitti che, nel mondo, ci sono sempre stati ma che oggi vediamo più facilmente, dalla vicina Ucraina a Gaza e il Libano. Il tutto mentre aumentano l’angoscia e l’impotenza di un fronte occidentale sempre più debole nel contrapporre diritti umani e rispetto della vita alle derive belliciste.
“32 miliardi di euro per le spese militari in Italia”
Ecco l’appello di Emergency, protagonista stamattina di un’iniziativa a piazza Duomo, come in tante altre piazze italiane: “In Italia c’è una legge bellissima: la Costituzione. Che nell’articolo 11 dice una cosa bellissima: l’Italia non vuole più fare la guerra. La ripudia. Dopo i conflitti mondiali, le atomiche e milioni di morti, l’Italia è rinata dall’idea che nessuna guerra potrà mai essere la soluzione. Il nostro Paese si è impegnato a risolvere i conflitti con altri mezzi: con la diplomazia, la politica e la pace. Eppure non stiamo più assistendo a significative azioni di pace. Il linguaggio della guerra dilaga come fosse una verità inoppugnabile: l’opinione pubblica è chiamata alla guerra attraverso le parole dei politici e dei media. In Italia e in Europa i governi si riarmano e dicono che la pace è un lusso”.
Continua Emergency: “Ma il lusso è proprio l’industria bellica. Secondo Milex, l’Osservatorio sulle spese militari in Italia, solo nel 2025 il nostro Paese ha già preventivato di destinare 32 miliardi di euro alle spese militari, record storico con un aumento del 12,4% rispetto al 2024 e del 60% sul decennio. Di questi 32 miliardi ne riserverà 13 per i nuovi armamenti, con un balzo del 77% nell’ultimo quinquennio”.
L’impegno di Emergency nei Paesi in guerra
Fondata da Gino Strada, un chirurgo di guerra, Teresa Sarti, un’insegnante di lettere, Graziella Sacchetti, una ginecologa, e Franco Casella, un avvocato, Emergency è nata per offrire cure medico chirurgiche gratuite di elevata qualità alle vittime della guerra. E per promuovere una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani, dalla sua fondazione è intervenuta in 21 Paesi curando, in tutte le sue strutture, oltre 13 milioni di pazienti nel mondo. Oggi l’organizzazione è presente in 8 Paesi del mondo, tre dei quali con un conflitto in corso: il Sudan, l’Ucraina e la Striscia di Gaza in Palestina. “Proprio grazie alla nostra esperienza sul campo, affermiamo che il 90% dei morti e dei feriti sono civili e che la spesa di un F-35 vale quanto 3.244 posti letto di terapia intensiva”.
L’iniziativa di Accorinti
Con uno striscione contro la guerra, anche Renato Accorinti, ex sindaco di Messina, ha manifestato a pochi passi dalla manifestazione vicino al Municipio. Celebri le polemiche quando, da primo cittadino, esibì, durante la cerimonia, la bandiera della pace.
Le manifestazioni contro la guerra hanno il merito di ricordarci il fallimento della politica
In questi anni abbiamo assistito, impotenti, alla sconfitta della diplomazia e alla “normalizzazione” della guerra come strumento ordinario di risoluzione dei conflitti. Dall’11 settembre in poi la guerra è stata sempre più sdoganata. E oggi la voce dell’Europa è flebile, mentre il mondo appare sempre più insicuro. Una sensazione acuita dalla velocità delle comunicazioni via Internet e tramite i social.
Ecco l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
Non arrendiamoci, dunque, a considerare normale l’uso quotidiano delle armi nei conflitti tra i popoli.