I Cameristi di Santa Cecilia, un gioco di equilibrio

I Cameristi di Santa Cecilia, un gioco di equilibrio

giovanni francio

I Cameristi di Santa Cecilia, un gioco di equilibrio

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martedì 06 Febbraio 2018 - 08:56

Eccellente performance al Palacultura per i solisti della celebre orchestra italiana

Come avviene per le principali orchestre europee – ad esempio la Filarmonica di Berlino o la Concertgebouw di Amsterdam – anche l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, una delle migliori in Italia e non solo, annovera, fra i suoi componenti, musicisti che si esibiscono in ensemble da camera, con eccellenti risultati.

L’ensemble dei “Cameristi di Santa Cecilia”, esibitosi al Palacultura per la stagione musicale della Filarmonica Laudamo, è composto per lo più dalle prime parti soliste dell’orchestra: Andrea Oliva flauto; Francesco Di Rosa oboe; Elena La Montagna e Ingrid Belli violino; Simona Briatore viola e Carlo Onori violoncello. Molto equilibrio nel programma proposto, in quanto la prima parte ha visto esibirsi l’ensemble in quattro componenti: un violino una viola e violoncello, con l’alternanza prima del flauto e poi dell’oboe nei due celebri quartetti mozartiani, mentre nella seconda parte si è aggiunto il secondo violino, per eseguire un quintetto con flauto (Boccherini), uno con oboe (Reicha), per concludere con l’organico al completo (sestetto) che ha eseguito la Fantasia brillante sul Guglielmo Tell di Rossini di Demessermann. È noto che Mozart non amava affatto il flauto (pare che lui stesso ammise di sentirsi “anchilosato” quando era costretto a scrivere per tale strumento), e le uniche composizioni per flauto nel catalogo mozartiano le scrisse su commissione, soprattutto da parte del ricco flautista dilettante olandese De Jean, e non sono certo annoverabili fra i suoi capolavori. Costituisce però eccezione il Quartetto n. 1 in re maggiore K 285 per flauto, violino, viola, violoncello, pagina che presenta un primo movimento con uno sviluppo elaborato e complesso, che trascende lo stile galante nell’ambito del quale è comunque collocata la composizione. Particolarmente bello l’Adagio, una dolce melodia del flauto accompagnata dal pizzicato degli archi, a proposito del quale così scrisse il musicologo Einstein: “L’adagio dolcemente malinconico, forse il più bel solo accompagnato che sia mai stato scritto per flauto”. Già nell’esecuzione di questo quartetto si è colta immediatamente la notevole intesa ed il valore dei musicisti – suoni all’unisono in perfetta sincronia, pulizia del suono, ottima capacità interpretativa – e l’eccezionale livello artistico del flauto solista Andrea Oliva, autore di una performance di assoluto rilievo, così come del resto l’oboista Francesco Di Rosa nel successivo quartetto di Mozart. Probabilmente il quartetto con oboe K370 di Wolfgang Amadeus Mozart, che ha concluso la prima parte del concerto. Costituisce il pezzo più importante mai composto nella letteratura musicale per questo tipo di raggruppamento. Composto a Monaco nel 1781, come dono all’orchestra della città in segno di riconoscenza per la splendida esecuzione dell’”Idomeneo”, il quartetto fu dedicato al celebre oboista Friedrich Ramm, grande virtuoso dello strumento, definito da Mozart “gran musicista… gran valentuomo e gran libertino”. Mozart riuscì a contemperare magistralmente l’esigenza di far dialogare i quattro strumenti alla stregua di un quartetto d’archi, che all’epoca vedeva in Haydn il grande indiscusso maestro, in cui il discorso musicale viene distribuito e alternato fra i vari strumenti senza che uno prenda il sopravvento sugli altri, e nel contempo di esaltare la figura dell’oboe (che sostituisce il primo violino di un classico quartetto d’archi), al quale è riservata comunque una parte concertante da protagonista. Suddiviso in tre movimenti, supera di gran lunga tutti i componimenti musicali da camera per archi e strumento a fiato solista dell’epoca, e verrà superato a sua volta solo dal meraviglioso quintetto con clarinetto k 581 dello stesso autore. Anche qui spicca il secondo movimento, un adagio, scritto nella tonalità di re minore, che costituisce un vero lamento desolato, indubbiamente la gemma più preziosa di questo capolavoro. Non equilibrato invece è risultata la suddivisione dei brani in programma fra la prima e la seconda parte del concerto: troppa differenza, sotto il profilo musicale, fra gli splendidi quartetti mozartiani e i brani proposti nel prosieguo. Il Quintetto n. 3 op. 55 per flauto e quartetto d’archi, in due movimenti, fa parte delle molteplici composizioni di musica da camera composte da Luigi Boccherini a Madrid, e presenta un certo interesse per quel continuo ondeggiare fra tonalità maggiore e minore. Il Quintetto in fa maggiore op. 117 per oboe e quartetto d’archi di Antonin Reicha – musicista ceko contemporaneo di Beethoven, più famoso come didatta che come compositore – come gli altri suoi quintetti per fiati (praticamente le uniche composizioni rilevanti di questo autore) presenta dei bei temi dal carattere amabile, ma risulta alquanto prolisso.

Infine la “Fantasia brillante sul Guglielmo Tell di Rossini” di Jules Auguste Demessermann, musicista francese ottocentesco, famoso più come flautista che come compositore, è un brano adatto a mettere in risalto la bravura dei due fiati, nulla più. Straordinaria e applauditissima performance dell’ensemble, artefice di esecuzioni cristalline ed equilibrate. I Cameristi hanno concesso un bis, questa volta di alto livello, il primo movimento “Allegro molto” dal Concerto RV 533 in do maggiore per due flauti e archi di Antonio Vivaldi, in una versione per flauto e oboe, uno dei concerti più felici ed eseguiti per strumenti a fiato del musicista veneziano.

Giovanni Franciò

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