Fiori di pesco: 18 condanne nel clan Brunetto: imponeva il pizzo nel taorminese

Fiori di pesco: 18 condanne nel clan Brunetto: imponeva il pizzo nel taorminese

Alessandra Serio

Fiori di pesco: 18 condanne nel clan Brunetto: imponeva il pizzo nel taorminese

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giovedì 02 Luglio 2020 - 07:40

18 condanne a Messina per il clan Brunetto di Catania che imponeva il pizzo alle imprese agricole della Valle Alcantara arrestati nel blitz Fiori di Pesco del 2017

Sono 18 condanne ed una sola assoluzione quelle decise dal Tribunale di Messina alla fine del processo “Fiori di pesco”, l’inchiesta dei Carabinieri sugli affari del clan Brunetto di Catania nel taorminese. Gli arresti – 12 persone – sono scattati al novembre 2017 e ieri è arrivata la sentenza di primo grado.

Eccola: 20 anni e 10 mesi per Angelo Salmeri, 12 anni e mezzo per Carmelo Caminiti, 12 anni per Vincenzo Antonino Pino; 11 anni e 7 mesi ad Antonio Monforte, 11 anni per Vincenzo Lomonaco, Salvatore Scuderi e Daniele Nicolosi, 10 anni e 9 mesi per Filippo Scuderi, 10 anni e mezzo a Salvatore Coco, 10 anni a Pietro Carmelo Olivieri 10 annni, 6 anni per Alfio Di Bella, 4 anni per Antonino Salanitri e Antonino Mollica, 3 anni a Carmelo Crisafulli, 1 anno e mezzo per Giuseppe Minissale e Mariella Cannavó, 1 anno e 2 mesi a Salvatore Minissale e Carmelo Rolando Patti.

Assolto soltanto Giuseppe Lombardo Pontillo.

L’indagine scattò con la denuncia di un dirigente sindacale UIL, nel 2013, per un atto estorsivo nei suoi confronti. Alla vittima, socio di una cooperativa agricola della Valle dell’Alcantara, qualcuno bruciò 2 auto sotto casa. Indagando, i carabinieri scoprirono che dietro c’era il clan Brunetto di Catania, legato ai Santapaola -Ercolano, che per conto della mafia catanese teneva sotto scacco le imprese agricole della zona intorno a Taormina.

Alcuni di questi imprenditori, residenti nella Valle dell’Alcantara, avevano spesso ricevuto “visite” da parte dei sodali del gruppo con pressanti richieste di denaro o di assunzione per i propri parenti. Da ulteriori approfondimenti è poi emerso come il Clan Brunetto operasse attivamente anche nelle zone di Malvagna, Mojo alcantara e Roccella Valdemone.

A capo di tutta l’organizzazione vi era Paolo Brunetto che, benché sofferente e gravemente ammalato (morì nel 2013, durante l’inchiesta) riusciva a coordinare gli affari facendo leva su referenti di zona. Era a lui che spettava risolvere tutte le questioni, anche quelle più delicate come le “dispute” tra gli affiliati.

Il capo poteva comunque contare sull’appoggio di Vincenzo Pino, che gestiva l’area di Malvagna, e Carmelo Caminiti che, insieme a Antonio Monforte, si occupava di Francavilla di Sicilia e zone limitrofe. Per imporre il pizzo, il Clan Brunetto utilizzava un metodo ormai consolidato:il così detto cavallo di ritorno. Attivi anche i traffici di droga, soprattutto per lo smercio di marijuana e hashish.

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