Il terremoto e il servilismo: Giolitti umilia Messina ma la città lo vota

Il terremoto e il servilismo: Giolitti umilia Messina ma la città lo vota

Rosaria Brancato

Il terremoto e il servilismo: Giolitti umilia Messina ma la città lo vota

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lunedì 30 Dicembre 2019 - 07:15

L'allora primo ministro fu responsabile dei ritardi, dello stato d'assedio. Eppure la nostra Sindrome di Stoccolma affonda le radici in quei mesi

In occasione dell’evento per il 111esimo anniversario del terremoto del 1908, al Palacultura, sono stati ricordati, attraverso documentazione storica, i colpevoli ritardi del primo ministro Giolitti.

Le colpe di Giolitti

Mentre i marinai russi e quelli inglesi prestavano soccorso ad una città sepolta viva, gli aiuti italiani non erano ancora partiti. Giolitti infatti, avvisato da più dispacci sin dalle 10 del mattino del 28 dicembre, sottovalutò a lungo la tragedia. Anzi, per dirla tutta, fu infastidito dalle segnalazioni dei sindaci dei comuni colpiti, che scambiò per l’ennesima lamentela meridionale. Lo fu al punto che rispose malissimo.

I ritardi, lo Stato d’assedio

Dodici ore dopo il terremoto, ai giornalisti che chiedevano notizie dell’immane tragedia il presidente del consiglio rispose invitandoli ad attendere fatti certi: “Qualcuno ha confuso la distruzione di qualche casa con la fine del mondo”. Invece era davvero stata un’apocalisse. I soccorsi italiani arrivarono con enormi ritardi, in modo disorganizzato e che si rivelò persino un ulteriore male. Il governo italiano dichiarò LO STATO D’ASSEDIO, con le conseguenze, anche per quanti agonizzavano sotto le macerie o per quanti cercavano soccorso o i loro pochi resti nelle case distrutte, di una soluzione MILITARE ad una tragedia umana.

Radere Messina al suolo

Il generale Mazza, mandato a Messina con pieni poteri (che di fatto esercitò nel peggiore dei modi) arrivò a suggerire (e pare che la cosa fu valutata con attenzione) di far saltare tutto con la dinamite. Non a caso oggi diciamo “non capisci una mazza”. Insomma, oltre a celebrare l’anniversario della tragedia, dovremmo iniziare ad avviare iniziative su quel che accadde nelle settimane seguenti, se davvero vogliamo onorare la memoria. Razzie, esecuzioni, deportazioni, ogni sorta di depredazione.

“e adesso vi presentate?”

La città stravolta dal sisma fu messa in ginocchio dai soldati. E anche quel che restava degli organismi politici della città fu per decreto revocato. Tra le frasi riportate dai giornali dell’epoca ci fu quella di una donna che all’arrivo dei soldati italiani disse: “e adesso vi presentate?” Fin qui potrebbe starci tutta l’indignazione per un comportamento del governo nazionale che continuava a vedere il sud come una palla al piede.

La sindrome di Stoccolma

Nei confronti di Giolitti e del governo quindi vi fu la ribellione della popolazione. Eppure, quel che accadde dopo la dice lunga sul servilismo di Messina, o meglio della classe dirigente e su quella sindrome di Stoccolma della quale non siamo ancora guariti.

Ringrazio Pippo Pracanica che mi ha fornito queste riflessioni ed una lettera aperta indirizzata al sindaco che a fine articolo riporto e con la quale si chiede una “giustizia” sia pure postuma.

Eppure Messina votò Giolitti!!!

Successe infatti che nel terremoto erano morti due deputati nazionali, Arigò ed Orioles. I due erano stati eletti nei collegi Arcivescovato e Priorato, rimasti quindi senza rappresentanti. Fu così che Giovanni Giolitti, lo stesso che il 28 dicembre era rimasto infastidito dai telegrammi e che dichiarò lo stato d’assedio, si CANDIDO’ il 7 marzo del 1909 in entrambi i collegi. Ma la cosa assurda è che fu votato (e con grandi risultati). Nel collegio Arcivescovado prese 789 voti contro i 123 di Giuseppe Toscano, e nel collegio Priorato raccolse 956 voti. Poiché si incominciò a parlare di brogli, Giolitti, che era stato eletto anche a Dronero, optò quest’ultimo seggio. Ricordiamo che il suffragio universale maschile fu introdotto nel 1912, ma l’accaduto è un palese esempio delle radici della nostra Sindrome di Stoccolma.

Il servilismo e la lapide del 1909

Nella lettera aperta indirizzata al sindaco De Luca, Pippo Pracanica racconta un ulteriore esempio di questo servilismo. In vista del primo anniversario del terremoto, il 28 dicembre del 1909, si pensò di collocare una lapide sul viale S.Martino e venne commissionata l’epigrafe a Tommaso Cannizzaro. Lui ne scrisse una interpretando il sentimento dei messinesi anche nei confronti dei colpevoli ritardi del governo. EBBENE ECCO COSA ACCADDE…….

LETTERA APERTA di Pracanica al sindaco De Luca

A proposito del servilismo della classe politica messinese del tempo, merita di essere ricordato un episodio che ha visto protagonista Tommaso Cannizzaro. Nel 1909 si era costituito un comitato, di cui era presidente l’on. avv. Ludovico Fulci, per ricordare degnamente il primo anniversario del terremoto. Si decise, tra l’altro, ad un anno esatto dall’evento luttuoso, di murare una lapide sul viale S. Martino e se ne commissionò l’epigrafe a Tommaso Cannizzaro.

L’epigrafe scritta da Cannizzaro

Sulla Gazzetta di Messina e delle Calabrie del 27-28 dicembre 1909 venne pubblicato quanto vergato da Cannizzaro, che, tra l’altro, aveva avuto modo di scrivere “tra la maggior desolazione ed il colpevole abbandono”. Era indubbiamente il giudizio negativo e veritiero che meritava, per quello che non aveva fatto, il governo del re e, in modo particolare, il presidente del consiglio Giolitti. Tale giudizio, peraltro, era pienamente condiviso dai cittadini messinesi, perché le malefatte governative le avevano vissuto sulla propria pelle.

La frase scomparsa…..

Poiché quella frase era scomparsa dalla lapide, che venne affissa sul viale S. Martino, il cronista del giornale si recò a trovare Tommaso Cannizzaro, nel villino di via S. Giuseppe, a Catania, per appurare quali erano stati i motivi che avevano indotto Cannizzaro a modificare il testo, peraltro già comunicato alla stampa.

Cannizzaro racconta al cronista

Quanto da lui riferito venne riportato sul giornale (Gazzetta della Sicilia e delle Calabrie del 4-5 gennaio 1910). “Essendo stato incaricato dal Comitato Messinese a comporre una epigrafe commemorativa per le vittime del disastro ho scritto alcune righe che qualche giorno dopo ho potuto leggere e consegnare ad alcuni membri del Comitato stesso venuti da Messina per ritirarli. Dopo un paio di giorni la sera del 21 ricevetti successivamente due telegrammi.

“Togliere la frase….”

“Intervento autorità consentendo comitato deciderebbesi togliere epigrafe colpevole abbandono; pregola autorizzarmi debbiasi sostituire altra frase o togliere completamente. SCHEPIS.” “Riferimento telegramma Schepis pregola consentire venga tolta epigrafe frase colpevole abbandono onde commemorazione possa essere unanime e solenne. R. Comm. SALVADORI”.

Cannizzaro non si arrende

Avendo rilevato dai due telegrammi che il Comitato e il R. Commissario erano perfettamente d’accordo sulla soppressione delle parole colpevole abbandono io ho sostituito le medesime con le parole tra lo scompiglio e la desolazione. Però animato dallo stesso principio che mi aveva suggerito la prima frase ho aggiunto in seguito alla seconda linea dell’epigrafe le parole seguenti: solo da città sorelle e da stranieri soccorsa.

“protesta la mia coscienza”

Senonchè la sera del giorno 22 è venuto a trovarmi in persona il R. Commissario Comm. Salvadori, questi ha insistito che si togliessero le parole colpevole abbandono nonché la seconda linea aggiunta, facendo osservare che altrimenti né egli né alcun’altra autorità sarebbe intervenuta alla funebre cerimonia, intervento al quale giusta il telegramma Schepis il Comitato non aveva creduto rinunciare. A questo punto io semplice incaricato del Comitato malgrado la protesta della propria coscienza ho dovuto trascrivere l’epigrafe togliendone le parole incriminate, non senza però aggiungere in fondo alla pagina le seguenti parole. N.B. Ho creduto di modificare la epigrafe così salvo approvazione del Comitato, scaricandomi di ogni responsabilità”.

La proposta: sostituire la lapide

Tommaso Cannizzaro ha scritto “malgrado la protesta della propria coscienza”. Sig. Sindaco per farlo stare in pace con la sua coscienza le chiedo di togliere dal frontespizio del palazzo comunale la lapide con l’epigrafe che gli è stata imposta e sostituirla con un’altra che riporti quella da lui dettata. Con questa sua decisione non solo ristabilirebbe la verità storica ma onorerebbe anche i nostri poveri morti.

Distinti saluti

Pippo Pracanica

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Un commento

  1. Giuseppe Bonaccorso 20 Febbraio 2024 14:24

    Ho letto con interesse questo articolo.
    I messinesi, soprattutto le gente comune, assente ogni lapide e frasi commemorative indigeste alle autorità nazionali non si peritò di dare da allora ai propri cani il nome di “Giulitti” …
    Sono messinese di nascita e di stirpe e ho quasi 80 anni. Mio nonno materno, nato nel dicembre del 1887, lavorò prima in un saponificio poi come mezzadro alle pendici dei Peloritani vicino Messina.
    Ebbene ricordo che da bambino aveva un cane cui diede il nome di “Giulitti” con il quale da piccolo ci giocavo.
    Penso che ve ne siano stati tanti altri. L’unico modo per non essere inquisiti e condannati per vilipendio… La fantasia popolare è sempre ineguagliabile!
    Cosa meritava un Presidente del Consiglio che dopo tutti i soccorsi provenienti dall’estero, a partire dei russi, intervenirono con sollecitudine, mentre lui si recò a Messina totalmente distrutta solo nel 1911! Ed era nel corso del suo quarto mandato iniziato il 30 marzo 1911.

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