Rosatellum bis: il 12 gennaio la sentenza sul ricorso Palumbo-Celotto.

Rosatellum bis: il 12 gennaio la sentenza sul ricorso Palumbo-Celotto.

Rosaria Brancato

Rosatellum bis: il 12 gennaio la sentenza sul ricorso Palumbo-Celotto.

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lunedì 04 Dicembre 2017 - 05:48

Il Tribunale dovrà esprimersi sull'eccezione d'incostituzionalità presentata dai legali in merito alle legge elettorale approvata dal Parlamento un mese fa. Si profila uno scenario paradossale.

La battaglia giuridica contro il Rosatellum bis, passato a colpi di fiducia alla vigilia delle Regionali, continua ed il 12 gennaio è prevista la sentenza del Tribunale di Messina sul ricorso presentato dagli avvocati Enzo Palumbo, Tommaso Magaudda, Francesca Ugdulena, Alfonso Celotto per incostituzionalità.

Lo scorso 17 novembre infatti si è tenuta l’udienza e le parti hanno potuto presentare le note autorizzate in giudizio. L’Avvocatura dello Stato potrà depositare le sue contro-deduzioni entro il 2 gennaio ed il 12 è prevista la sentenza. In caso di accoglimento delle eccezioni d’incostituzionalità della nuova legge elettorale scatterebbe il caos. L’Italia andrebbe infatti a votare per le Politiche di marzo con una legge che è già azzoppata. In realtà l’udienza in corso è una costola del ricorso contro l’Italicum, dichiarato incostituzionale ad inizio anno.

All’udienza del 17 novembre Enzo Palumbo e i suoi “compagni di viaggio” hanno infatti presentato nuove eccezioni d’incostituzionalità che riguardano la nuova legge elettorale 3 novembre 2017, n. 165, il cosiddetto Rosatellum bis, adottato dal Parlamento in modo inusuale, a colpi di fiducia e con un’operazione fulminea in particolare al Senato, al punto da scatenare le proteste dell’opposizione.

In Tribunale gli avvocati dell’Anti-Rosatellum hanno sottolineato come “ 1) la nuova legge introduce un sistema elettorale misto, che prevede l'attribuzione a ogni elettore di un unico voto su un'unica scheda, attraverso cui circa un terzo dei parlamentari (232 deputati e 116 senatori) verranno eletti in collegi uninominali con sistema maggioritario a turno unico, mentre gli altri (386 deputati e 193 senatori) verranno eletti in collegi plurinominali, con sistema proporzionale tra liste blindate, singole (che abbiano superato la soglia del 3% dei voti validi su base nazionale) ovvero collegate in coalizioni (che abbiano raggiunto la soglia del 10% e comprendano almeno una lista sopra il 3%)”.

I legali hanno deciso di riproporre alcune questioni già avanzate per l’Italicum (ovvero l’iter legislativo seguito attraverso il voto di fiducia e la soglia d’accesso al 3%) e di aggiungere due nuove questioni

1) voto congiunto. Il voto che va al candidato nel collegio uninominale viene attribuito automaticamente per la lista blindata nel collegio plurinominale. Il divieto del voto disgiunto, evidenziano i ricorrenti “contraddice la stessa legge che all'art. 1 stabilisce che il voto è diretto e libero, quando invece, il voto è in gran parte indiretto e tutt'altro che libero, essendo previsto: che il voto al candidato uninominale viene trasferito automaticamente alla lista collegata e che il voto dato alle liste in coalizione che non abbiano superato la soglia dell'1%, sia distribuito alle altre liste collegate.

2)l'esenzione dalle firme di presentazione per le liste che fanno riferimento ai gruppi parlamentari costituiti alla data del 15 aprile 2017.

Nella nota depositata in Tribunale Palumbo e Celotto si soffermano su quanto accaduto in Parlamento nei giorni d’approvazione del Rosatellum bis, con particolare attenzione per la seduta fulminea del Senato. Non a caso il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha lasciato il Pd subito dopo il voto mentre non sono mancate dichiarazioni dai toni duri dello stesso ex presidente Napolitano.

L’iter al Senato è stato fulmineo, in termini assolutamente irrispettosi della procedura ordinaria che deve essere garantita a una materia così delicata come quella elettorale, presidiata dall'art. 72 della Costituzione. Nella Commissione Affari Costituzionali del Senato non si è svolto alcun vero dibattito ma un esame virtuale, frettoloso e superficiale, iniziato nel pomeriggio del 17 ottobre, con la fissazione per la mattinata del 20 ottobre del termine per la presentazione degli emendamenti, ancora prima dell'audizione dei costituzionalisti tenutasi nella giornata del 19 ottobre, mentre la discussione degli emendamenti è stata fissata per le ore 16.00 e per le ore 20.00 del 23 ottobre. Nel frattempo, era stato già fissato per le ore 13.00 dello stesso giorno il termine per la presentazione degli emendamenti per l'Aula; una prescrizione, questa, palesemente assurda, posto che gli emendamenti per l'Aula avrebbero dovuto logicamente seguire, e non precedere, il testo licenziato dalla Commissione. Ne risulta confermata la premeditata intenzione di bypassare gli emendamenti dei commissari, senza nemmeno discuterli, facendoli poi decadere in Aula, attraverso l'apposizione di cinque questioni di fiducia e ciò all'evidente scopo di evitare che l'approvazione di qualche emendamento costringesse a rinviare il ddl alla Camera per un nuovo esame. Quando ci si trova a votare su un ddl unitamente alla fiducia sul Governo, le valutazioni politiche dei parlamentari finiscono inevitabilmente per prevalere rispetto alle valutazioni sul merito del ddl, perché, in quel momento, nessuno dei parlamentari sta realmente legiferando in termini diretti e autonomi, ma tutti si esprimono avendo presente esclusivamente il rapporto fiduciario col Governo, con l'ovvia conseguenza che chi è per la fiducia al Governo ma dissente sul merito del ddl sarà costretto a votare a favore anche di quel ddl che vorrebbe invece avversare, e chi invece è contro la fiducia al Governo ma favorevole al merito del ddl sarà costretto a votare contro quel ddl che vorrebbe invece approvare”

Palumbo l’ha definita la “Quarta truffa”, ricordando che c’è stato un solo precedente in oltre 60 anni per un voto di fiducia sulla legge elettorale: nel gennaio del 1953, governo De Gasperi, per quella passata alla storia come la legge-truffa che attribuiva il 65% di deputati alla coalizione che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi. Il 18 gennaio del 1953, ricorda Palumbo, la Camera disse sì dopo ben 57 sedute e 340 ore di discussione (nonché l’uscita dall'Aula delle opposizioni e le dimissioni di una parte dell'Ufficio di Presidenza). Al Senato furono necessarie 42 sedute. Prima di allora l’unico precedente era stato nel 1923, quando Mussolini aveva posto la fiducia sulla Legge Acerbo. Nell’Italia repubblicana si replicò appunto nel ’53 ed in Senato la fiducia fu approvata dopo 72 ore di discussione, senza le opposizioni e con il Presidente del Senato dimissionario. Era il pomeriggio della domenica delle Palme del 29 marzo e si votò mentre tutti abbandonavano l’Aula. La legge truffa non sortì gli effetti sperati da chi l’aveva imposta (e questo dovrebbe far riflettere….).

In sostanza due precedenti e non certo esemplari, per arrivare ad un’altra approvazione con voto di fiducia, il 28 aprile 2015 con l’Italicum. Due anni dopo, nell’autunno 2017, nonostante la Corte Costituzionale a gennaio avesse dichiarato incostituzionale l’Italicum e nonostante la vittoria dei no al Referendum Costituzionale, il governo Gentiloni ha fatto approvare il Rosatellum bis a colpi di fiducia.

Adesso quel Rosatellum potrebbe finire al centro di un vero e proprio rompicapo sin dal 12 gennaio quando arriverà la sentenza del Tribunale sul ricorso.

Rosaria Brancato

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