Tra il cielo e il mare. Intervista a Giuseppe Musso

Tra il cielo e il mare. Intervista a Giuseppe Musso

francesco musolino

Tra il cielo e il mare. Intervista a Giuseppe Musso

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mercoledì 06 Giugno 2012 - 07:31

“Tra il cielo e il mare” sarà presentato alla Libreria Mondadori di Messina, venerdì 8 giugno alle 18.

Seconda Guerra Mondiale, Sicilia. Il signor Antonino – protagonista di "Tra il cielo e il mare" (Qanat editrice), dell'insegnante palermitano Giuseppe Musso – scopre di avere un male incurabile e con senso pratico e in vista di tempi peggiori, si convince di andare a trascorrere i suoi ultimi giorni lontano da Palermo, a casa di una coppia bisognosa di denari, Salvatore e Maria. Il rapporto di convivenza non sembra dei migliori ma col passare dei giorni fra Nino e Salvatore si istaurerà un rapporto dialettico in continuo divenire «che trasforma Salvatore quasi nella voce interiore di Nino e ne determina la presa di coscienza e la maturazione». Microstorie dense di pathos, sorte all’ombra della grande cornice storica, sono state la sostanza di grandi capolavori della letteratura mondiale, vedi I Buddenbrock, e Musso, con prosa semplice e scorrevole, convoca a se il Lettore, chiamandolo a testimoniare come la tensione emotiva, persino la sofferenza, possano essere conduttrici di un’evoluzione personale, di una crescita, nell’accezione etica del termine stesso.

Una microstoria a cavallo della seconda guerra mondiale. Come nasce "Tra il cielo e il mare", cosa l'ha ispirata?

«Appartengo ad una generazione che, anche se non ha vissuto la guerra, ne ha sentito gli echi nei racconti familiari, quotidiani e intensi: quella tragedia, finita da pochi anni, rimase indelebile nel nostro immaginario collettivo. Il racconto in sé nacque dal ritrovamento, tra vecchie cose, di una ricetta medica dell’epoca, appartenente ad un lontano parente, malato e solo, che era sfollato a Terrasini – un borgo marinaro vicino a Palermo, in direzione di Trapani. La guardai con attenzione, del parente non seppi quasi nulla, nemmeno se sopravvisse alla guerra, ma quel piccolo foglietto di carta lievitò nella mia immaginazione fino a diventare la storia che è stata pubblicata. Comunque, il romanzo fa parte di un progetto più vasto di intersezione tra storie personali e sociali che arriva fino ai giorni nostri e che sarà oggetto di successive pubblicazioni».

Antonino viene accolto a pagamento in casa di Salvatore e Maria. Oggi potrebbe suonare bizzarro ma allora era una pratica in voga?
«Qualche volta sì, per quel poco che ne ho saputo. Quando non erano diffuse le case di riposo si poteva ricorrere a questa soluzione. Nel gergo comune si diceva “stanza in famiglia”. Qualcosa di simile descrisse De Sica nel film “Umberto D” del ’52, un capolavoro del neorealismo che turbò i benpensanti – dissero che era “disfattista”».

In generale, come si è documentato storicamente?
«Ho letto un paio di libri, ma soprattutto ho consultato i microfilm del “Giornale di Sicilia” corrispondenti al periodo della mia narrazione (aprile ’42 – maggio ’43). Ho cominciato a scrivere il libro nell’estate del 2000 e mi sono state anche molto utili le testimonianze dirette di chi visse quei giorni. La gente parlava volentieri e come un fiume in piena, come a volersi liberare dell’angoscia, nonostante i decenni passati».

E' corretto affermare che il rapporto fra Nino e Salvatore sia in costante divenire, tanto da diventare uno dei cardini del romanzo stesso?

«Sì, è la chiave di lettura, è il rapporto dialettico, intimo, che trasforma Salvatore quasi nella voce interiore di Nino e ne determina la presa di coscienza e la maturazione; Nino è un uomo comune, Salvatore, con tutti i suoi limiti, è un uomo positivo, che si sforza di capire l’esistenza, non la politica o la storia in lui prevale la dimensione intima ed esistenziale (per inciso, è una persona realmente esistita). Il suo lungo monologo che comincia a pag. 135, costituisce una svolta per Nino e per il romanzo stesso».

A pag. 261 scrive: "Nulla può redimere l'uomo se non una forte tensione sentimentale ed etica". Nino sembrerebbe un uomo profondamente terreno dinnanzi alla malattia e invece…

«La frase citata appartiene alle mie personali convinzioni, ma sulle labbra di Nino, quando, suo malgrado, viene a contatto fisico con le tragedie degli “altri”, diventa l’ultimo atto della sua evoluzione come protagonista. Da uomo “terreno” è riuscito a toccare una dimensione escatologica e morale che non gli apparteneva e che gli da la forza di affrontare il suo destino con le sue sole capacità; è l’ultima e unica prova di coraggio e di profonda umanità che riesce e portare a termine, ma basta a riscattarne l’esistenza. Questo sarà accaduto a tanti: a chi ha salvato un ebreo o aiutato un orfano o una vedova, a chi ha fatto qualcosa per lottare contro il nazismo e il fascismo,a chi ha contribuito a ricostruire. Un giornalista, di cui non ricordo il nome, racconta un episodio di cui fu testimone: una anziana popolana, in quei giorni, in una piazza di Palermo, si preoccupava di nutrire alcuni gatti randagi, anche quello è stato un atto di coraggio e profonda umanità».

FRANCESCO MUSOLINO

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