Iris, sorridi alla vita

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Redazione

Iris, sorridi alla vita

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mercoledì 02 Dicembre 2020 - 07:44

Pubblichiamo il testo di un nostro lettore, Gianmarco Cotroneo, studente del quinto superiore del Liceo Classico "E. Trimarchi" di Santa Teresa di Riva, scritto in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne

Pubblichiamo il testo di un nostro lettore, Gianmarco Cotroneo, studente del quinto superiore del Liceo Classico “E. Trimarchi” di Santa Teresa di Riva, scritto in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne.

Il brano, definibile una “prosa poetica”, trova ispirazione in pezzi memorabili del cantautorato italiano, specialmente nelle canzoni di Francesco De Gregori. L’autore pone in essere un monologo rivolto ad un interlocutore fittizio, una ragazza di nome Iris. L’intento è descrivere un’esperienza di violenza e redenzione senza cadere nel particolare e nella cronaca di un determinato evento, modellando, così, una situazione adattabile a più contesti, più interpretazioni grazie ad un abbondante uso di metafore e parallelismi. Il riecheggiare di concetti scandisce il ritmo della composizione, alimenta la “suspense” e accompagna il lettore verso un finale in cui tutto assume una piega diversa, rivelando la sua vera essenza.

Il testo

Ascolti De Gregori, Iris. Vai leggermente fuori tempo mentre scuoti un po’ la testa accompagnando le sue eterne melodie, come eterno vorresti fosse il ticchettìo in mezzo al tuo petto. Quel petto che freme ancora un po’ di timore quando qualcuno arpiona il tuo sguardo, facendoti mancare alle nozze delle tue pupille con quelle di chi ti sta dinanzi. Quelle pupille ancora giovani e vispe, cristalline, quasi vitree, che sorridono quando dai e ricevi amore. Quell’amore che muove ogni tuo pensiero e smuove ogni tua montagna di insicurezza, mutandola in specchio d’acqua limpido, puro come tutto ciò che fai e tutto ciò che sei: una sognatrice, perenne infante cullata dalla speranza di un mondo incontaminato, che ti somigli, ma al tempo stesso amante del diverso; ringrazi il cielo se ciò che è “Certo” per te diventa un “Probabile”, o ancora, un “Impossibile” per chi ti sta attorno. E gli altri non saranno mai come te, forse migliori, forse abbandonati nell’adulazione di sé e nel disinteresse verso gli altri. Niente è perfetto e ciò che sembra tale è soltanto avvolto da una coltre di finzione che si disperderà, rivelando la propria incompletezza, la propria imperfezione. È una questione di tempo, ma ogni muro crollerà, ogni ghiacciaio si sgretolerà, ogni sipario si aprirà, disvelando chi c’è dietro, chi c’è dentro: Pirandello, a tal proposito, direbbe “Uno, Nessuno, Centomila”, ma tu puoi affermare che non esiste una pluralità né una nullità. Esistiamo noi, tutto il resto è futile contorno. Noi, singolarità nel mare magnum del molteplice, un’unica moneta tra innumerevoli pile di spiccioli. Allora, ecco che come monete il tempo ci ruota, ci gira e rigira, disvelando nuovi lati, angoli ancora ignoti agli altri e a noi stessi. Magari aspetti di cui abbiamo avvertito la presenza, percepito un germoglio, ma che non abbiamo mai svelato, mai scoperto, forse per incapacità, forse per paura di chi potremmo essere e che già, inconsciamente, siamo. Potrebbe trattarsi di aspetti positivi, perché no. È questo che ti hanno insegnato a scuola, “Conosci te stesso”. Letteralmente un imperativo, quasi un dovere morale, un superamento dei limiti interni che ti consentirà di valicare i limiti esterni che sono e continueranno ad essere posti ed imposti, un trofeo da mostrare agli spettatori del tuo spettacolo. È sempre visto come un miglioramento, un principio estremamente positivo. Ma se nel “Conoscere te stesso” scoprissi qualcosa di negativo, di grottesco, quasi mostruoso, non avresti la benché minima intenzione di svelare al mondo la tua scoperta. Cercheresti di trovare una soluzione, un rimedio, un φάρμακον per guarire il malsano, annullare ciò che non va. Oppure lo celeresti, attenuandone ogni possibile manifestazione e cercando di dimenticartene, di abbandonarlo all’incessante caduta nell’interminabile voragine dell’oblio. Ma, come detto prima, è solo una questione di tempo. I granelli di sabbia nella clessidra scivoleranno inesorabilmente verso il basso, portandosi dietro ogni singolo tentativo e, allo scadere del tempo, potremmo essere giunti a buon fine, aver controllato, migliorato, addirittura debellato il male interiore; nella peggiore delle ipotesi, però, potremmo esserne divorati, capovolgere il verso della moneta e lasciarci andare alla parte nera del nostro ego. Spesso la peggiore delle ipotesi è anche la più frequente. Tu lo sai bene, Iris. Conosci bene cosa significa vedere, percepire il cambiamento altrui. Lo hai vissuto sulla tua stessa pelle, sulla tua stessa vita. Hai imparato a fidarti, forse poco a diffidare. Probabilmente davi tutto per buono, ma la bontà non è prerogativa di tutti, è un privilegio di pochi e quella moneta che credevi fosse gemella alla tua, perfetta nel suo splendore, si è rivelata tetra, bruciata come i residui di un incendio, i resti di un disastro. Hai visto e toccato con mano il muro nella sua perfetta compattezza, rendendoti conto giornalmente dei mattoni che andavano sgretolandosi. Crollavano pezzi di chi realmente amavi, così come a pezzi era ridotto il tuo sentimento prediletto, ferito da pesanti blocchi di ghiaccio che andavano spezzandosi inesorabilmente, piombando addosso al tuo sguardo ceruleo, ferendolo e ricoprendo il contorno occhi di un lembo corvino, solcato troppo spesso da pianti di nostalgia, dolore, impotenza. Quel sipario di un rosso acceso, intenso, vivido dei primi tempi è ormai sbiadito, irriconoscibile e i suoi teli lacerati e dischiusi a mostrare il vero attore che stava nascosto tra le pieghe. Ciò che ti sembrava “Impossibile” a realizzarsi, lontano da ogni potenzialità d’essere, non si è rivelato tale, Iris. Hai sofferto, hai tentato di recuperare l’insanabile. Hai perso anni, esperienze e vissuti impiegandoli nella ricerca delle tracce di un amore passato che credevi assoluto, ma che di fatto era solo codarda illusione, mero approfittare, vile inganno operato da chi desiderava esclusivamente la tua paura, voleva la tua rovina, bramava di osservarti prendere fuoco, arsa da fiamme divampanti e logoranti. Ci ha provato, ha tentato di farti tracollare, è stato vicino al tragico traguardo ma non ti sei lasciata divorare dal buio dei suoi pensieri, dalla notte confusa e colma di terrore fino all’orlo che stavi attraversando. Hai trovato chi, come te, ha scoperto il coraggio di andare avanti, lasciandosi dietro il marcio, ritrovando quella dignità che credeva perduta strada facendo. Hai compreso di non essere sola in quell’oscurità, hai visto delle mani volte verso le tue e le hai strette. Eri alla ricerca di un appiglio sicuro in quel vuoto di fragile incertezza, di un porto in cui approdare per salvarti dal naufragio e ce l’hai fatta. Hai ritrovato il coraggio e la forza per la scalata verso la vetta di una nuova alba per tuoi giorni; il fare impetuoso del mare si è placato e puoi tornare a navigare, fiera di aver superato la tempesta. Adesso sorridi, Iris, sorridi alla vita. Non aver timore di sollevare il tuo viso e di incrociare altri sguardi, non nascondere quei lineamenti ancora dolci che portano i segni di una battaglia da cui ne sei uscita vincitrice. Non tremare nel petto, quel cuore continua e continuerà a battere, se non in eterno almeno ancora per un po’. E continua ad ascoltare De Gregori.

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