La lettera. "La mia odissea per una gastroscopia, serve più attenzione al paziente"

La lettera. “La mia odissea per una gastroscopia, serve più attenzione al paziente”

Autore Esterno

La lettera. “La mia odissea per una gastroscopia, serve più attenzione al paziente”

lunedì 12 Giugno 2023 - 07:30

Una lettrice racconta la sua snervante attesa all'ospedale "San Vincenzo" di Taormina e infine al Policlinico di Messina: "La sanità pubblica va potenziata"

Da una lettrice riceviamo e volentieri pubblichiamo un “resoconto della disavventura che ho avuto il dispiacere di vivere alcuni giorni fa presso l’ospedale di Taormina. Le chiedo se può di pubblicarlo per raccontare ai lettori come vengono trattati, non per responsabilità del personale, i pazienti in quella realtà che da molti viene rappresentata come il fiore all’occhiello della sanità pubblica regionale”.

Precisa la paziente: “Questa mia lettera non vuole essere una denuncia verso il personale medico e paramedico che fa quello che può, svolgendo un lavoro egregio e faticoso, ma verso una gestione amministrativa e politica che fa acqua da tutte le parti e che in nome del profitto perde di vista il paziente nella sua centralità”.

La lettrice solleva dei problemi su cui ci siamo concentrati in questi mesi e siamo pronti ad accogliere anche il punto di vista delle strutture ospedaliere.

“La mia odissea nella sanità pubblica”

Cittadina milazzese di età già avanzata, classe 1951, per motivi di salute mi viene prescritta dal medico curante una gastroscopia. Prenoto al Cup, Centro unico prenotazioni, di Messina e la prima data utile è quella di lunedì 5 giugno a Taormina, ospedale “San Vincenzo”. Dovrò aspettare circa un mese per effettuare l’esame, pazienza, anzi poteva andare peggio, quello che mi dispiace di più è che dovrò spostarmi a quasi 90 chilometri da casa mia. Per fortuna la mia situazione non è grave e ho chi può accompagnarmi, ma so bene che non per tutti è così.

Lunedì 5 giugno mi presento puntuale all’appuntamento, fissato per le 12, e da qui comincia la mia odissea.
Ore 12,00: digiuna dalla sera precedente (così come richiesto dai medici), arrivo in reparto e dopo una decina di minuti vengo chiamata per la registrazione. Rientro in sala di attesa e aspetto il mio turno. Trascorro più di un’ora e mezza aspettando, quando, finalmente, mi chiamano.
Ore 13,30: vengo sistemata nel lettino per l’esame. L’infermiere inserisce nel mio braccio la cannula per la sedazione in vena, collega l’indice della mia mano destra al monitor e mi lascia sola. Da quel momento in poi mi terranno compagnia solo le pulsazioni del mio cuore.

Ore 14,30: dopo un’ora dalla mia sistemazione comincio ad impensierirmi. Entrano due infermieri, prima una donna, poi un uomo. Chiedo a entrambi. Mi rispondono che i medici stanno ritardando per via di alcune urgenze ma che presto si sarebbero dedicati a me. Resto di nuovo sola in compagnia dei miei battiti.
Ore 15,30: sono trascorse già due ore dalla mia sistemazione e nessuno viene a vedere come sto. Mi impensierisco ancora di più pensando anche a mio marito che mi aspetta in sala d’attesa. Temo che nessuno lo stia informando che sto bene e che possa essere molto preoccupato, data l’attesa lunga e inspiegabile. Insieme alla preoccupazione comincia a montare in me anche la rabbia. Sicuramente il mio non è lo stato d’animo giusto per affrontare un esame invasivo come la gastroscopia. Chiamo più volte alla ricerca di aiuto e delucidazioni, nessuno mi risponde. Si saranno dimenticati di me, penso!

“La mia attesa snervante”

Imbragata così come sono, provo a scendere dal letto per vedere se nel corridoio se c’è qualcuno e per poter raggiungere il cellulare in borsa, ma niente da fare in entrambi i casi. Sono trascorse quasi quattro ore dall’ingresso in ospedale e due ore e mezzo dalla preparazione dell’esame. Sono ancora digiuna, stanca e preoccupata, l’attesa si è fatta veramente snervante.

A quel punto, e in quella posizione, vedo la figlia di una signora che era stata sottoposta a colonscopia e chiedo aiuto. Così finalmente mi raggiunge l’infermiere che mi aveva sistemata sul lettino per l’esame. Chiedo spiegazioni di così tanto ritardo e lui, con un fare poco rassicurante, mi risponde che non è colpa loro, che il lavoro è tanto e il personale al minimo. Aggiunge anche che dovremmo essere noi pazienti i primi a ribellarci presso la direzione sanitaria.

Poco dopo vengo a sapere da un’altra infermiera che in quel momento il personale stava godendo di una pausa necessaria a causa dei turni lunghi e massacranti.
Ore 16,00: Finalmente vengo sottoposta alla gastroscopia con sedazione in vena. L’esame dura poco. Non mi accorgo quasi di nulla. Al risveglio chiedo e vengo rassicurata.
Dopo un po’, quasi barcollante vengo accompagnata in un’altra stanza, perché intanto lì dove ero stavano effettuando la colonscopia a una giovane donna. Donna dalla quale mi separava solo un semplice paravento: la privacy era praticamente inesistente. Nella nuova stanza dopo un po’ mi raggiunge finalmente mio marito.
Ore 17,00: aspetto con lui il referto, ho ancora la cannula inserita nel braccio e sono ancora digiuna. La mia attesa si protrae per altri 45 minuti. Per non farmi mancare nulla, in questo frangente viene portato nella mia stanza un altro paziente che deve spogliarsi per prepararsi a sostenere una colonscopia: difficilmente dimenticherò il suo palpabile imbarazzo, così come il nostro dispiacere.

“Io posso permettermi gli spostamenti tra Taormina e Messina ma non tutti i pazienti possono farli”

Ore 17:45: finalmente arriva la dottoressa con il mio carteggio. Mi dà la diagnosi e anche un campione bioptico che dovrò portare personalmente al Policlinico di Messina per l’esame istologico: ennesimo spostamento richiesto direttamente al paziente per poter accedere a un esame medico di cui penso non sia necessario sottolineare l’importanza. Per fortuna posso permettermi anche questo.
La dottoressa mi saluta in maniera molto gentile, scusandosi per il ritardo.
Ore 18: finalmente esco dalla struttura stanca e avvilita. Da Taormina mi reco al Policlinico per lasciare il campione da analizzare, così come indicatomi dalla dottoressa, ma trovo il reparto già chiuso.

“Gli esami istologici esterni solo in intramoenia e la sanità pubblica mi sembra un miraggio”

L’indomani, di buon mattino ritorno da Milazzo al Policlinico di Messina, ma all’arrivo in reparto mi viene detto che gli esami istologici esterni non vengono più effettuati tramite sanità pubblica ma solo in intramoenia, al costo di 80 euro. Dulcis in fundo, mi viene anche comunicato che l’ospedale di Taormina ne era al corrente.

Con disappunto accetto, pago e lascio il mio campione da analizzare. Torno a casa ancora una volta fortemente delusa e amareggiata, domandandomi quando e come sia potuto accadere che la sanità pubblica di qualità a disposizione di ogni cittadino divenisse un miraggio invece che un diritto.

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6 commenti

  1. Dire che è una vergogna è dire poco. Non che sia colpa loro in senso stretto, ma essendo in carica… i signori Schifani, la signora Meloni…, ma anche in signor Basile, prendano atto della situazione, e correggano.
    Con tutta la disoccupazione che c’è! Ci sono medici, infermieri e soprattutto O.S.S. in cerca di lavoro… ma se nessuno assume? A Messina, parlo con cognizione di causa, hanno indetto concorsi-graduatoria per OSS; ma se c’è tutta questa carenza, perché nessuno chiama? Non è che ora con questa moda che i concorsi si pagano (10, 20, 30 Euro), si indicono bandi per mangiarsi qualche soldo, che poi difficilmente viene restituito? Dato che sui bandi, è scritto discutibilmente: “In nessun caso sarà effettuato il rimborso della quota”. “Chi pensa male fa peccato, ma non sbaglia mai”.
    Ancora più indecente, la questione degli 80 euro. La signora, intanto, avrà sicuramente diritto alla detrazione al 19%, Ma se può, farebbe meglio a rivolgersi a un giudice di pace, non solo per il rimborso totale degli 80 euro, ma anche per il disagio della trasferta: Milazzo, Taormina, Messina, Benzina, Autostrada.
    Se c’è un giudice giusto a Messina, dovrebbe dare come minimo, un risarcimento di 300 Euro; a carico di chi, è secondario (Ospedale di Taormina, Ministero Salute, Regione Siciliana). L’Importante è che la signora sia risarcita. Il resto sono chiacchiere. Ultima nota. L’infermiere ha ragione su un punto: se non protestiamo alla grande noi pazienti… sarà sempre peggio.

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  2. Invece di potenziare la sanità pubblica, che ricordo è un diritto sancito dalla nostra Costituzione,potenziare l’infrastruttura ferroviaria che in Sicilia è ancora al 90% a binario unico,mettere in sicurezza il nostro bellissimo territorio,ecc…….e quindi costi notevolissimi per le casse dello Stato,non dimenticando che quei costi sono alimentati dai NOSTRI SOLDI, in compenso spenderemo 13,5 mld di euro per fare il Ponte sullo stretto.

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  3. L’episodio accaduto alla signora è a dir poco vergognoso e scandaloso, purtroppo i vertici della sanità siciliana e non solo sono al corrente di tutto quello che succede ma la situazione non migliora ma peggiora inesorabilmente e noi cittadini dopo mesi di lunghe attese siamo costretti a subire i malanni di una sanità ormai sull’orlo del baratro, sarebbe il caso di marciare verso Palermo e fare sentire la voce di un intero popolo che si ribella a certa malasanità gestita in modo superficiale e non curanza!

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  4. Forse non hai capito che in italia non ci sarà più una sanità pubblica. W l’America.

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  5. Annunziata Cucinotta 12 Giugno 2023 13:35

    Vengo curata da sette anni all’ospedale di Taormina dove i malati si moltiplicano e il personale è sempre più oberato di lavoro. Medici e infermieri svolgono un lavoro enorme, con turni che si susseguono. L’asp di Messina dovrebbe potenziare certi reparti delicati che servono tutta la provincia.

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  6. Che le responsabilità di quello che è capitato alla signora siano soltanto della politica e non anche di qualche fannullone stipendiato dalle strutture sanitarie è tutto da dimostrare.

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