La Matassa mafioso elettorale, la Procura vuole condanne anche per Genovese e Rinaldi

La Matassa mafioso elettorale, la Procura vuole condanne anche per Genovese e Rinaldi

Alessandra Serio

La Matassa mafioso elettorale, la Procura vuole condanne anche per Genovese e Rinaldi

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giovedì 07 Marzo 2019 - 19:20

Tutte le richieste e i particolari. La Procura: la politica come mercimonio.

5 anni e 4 mesi per Francantonio Genovese, 5 anni e mezzo per Franco Rinaldi, 7 anni e 4 mesi per l’ex consigliere comunale Paolo David per tutte le accuse tranne una, 2 anni e 6 mesi per l’altro esponente del consiglio Giuseppe Capurro, 4 anni per l’imprenditore sanitario Giuseppe Picarella.

Sono queste le condanne che la Procura di Messina, rappresentata dai PM Liliana Todaro e Maria Pellegrino, ha chiesto per il “livello politico” del processo Matassa, l’inchiesta della Squadra Mobile sfociata nel blitz del maggio 2016, che ha svelato una parte di retroscena della lunga stagione elettorale tra l’ottobre del 2012 e la primavera del 2013. Alla sbarra gli uomini del clan di Santa Lucia sopra Contesse e Camaro, i vertici e i più recenti reggenti, poi i vertici dell’allora PD di Messina, che avrebbero avuto appunto rapporti con gli uomini dei clan per “costruire un bacino elettorale stabile”, come ha spiegato l’Accusa.

I PM, alla fine di 3 giorni di discussione, hanno chiesto condanne per tutti, e tre sole assoluzioni totali.

Eccole nel dettaglio: 1 anno per Giuseppe Barillà, Gaetano Freni, Lorenzo Guarnera, Paolo Guerrera, Lorenzo Papale, Rocco Richici, Fabio Zuccarello, Giuseppe Perrello; 15 anni per Carmelo Bombaci, Giovanni Ventura, Adelfio Perticari e Giovanni Celona; 24 anni per Carmelo Ventura, 9 anni per Francesco Tamburella, 6 anni per Francesco Comandè ( con le attenuanti perché ha collaborato) 12 anni per Salvatore Pullio, Salvatore Mangano, Giuseppe Cambria Scimone, Francesco Foti, Angelo Pernicone; 21 anni per Gaetano Nostro, 12 anni per Domenico Trentin, 7 anni per Pietro Santapaola, 2 anni e 8 mesi per Antonino Lombardo e Baldassarre Giunti, 6 anni per Mario Giacobbe, 3 anni per Paolo Siracusano
11 anni per Giuseppe Pernicone, 20 anni per Raimondo Messina, 5 anni per Rocco e Massimiliano Millo, 16 anni per Santi Ferrante, 10 anni per Fortunato Cirillo, 14 anni per Vincenzo Celona, 7 anni per Francesco Celona, 13 anni per Andrea De Francesco, 2 anni per Cristina Picarella, 3 anni per Salvatore Borgia.

Non doversi procedere per prescrizione per Rosario Tamburella e Vittorio Catrimi, assoluzione per non aver commesso il fatto per Orazio Manuguerra e Francesco Tortorella.

I PM Pellegrino e Todaro hanno ricostruito sia le indagini che il processo, ripercorrendo l’intenso lavoro della Squadra Mobile sugli affari dei principali clan cittadini, quello di Camaro che fa ancora capo ai Ventura, la famiglia di Santi Ferrante, il clan di Santa Lucia Sopra Contesse retto da Messina e Nostro. Agli atti del processo, le estorsioni, il traffico di droga e un omicidio.

Ma l’indagine racconta anche e soprattutto dei contatti tra Paolo David, fedelissimo di Genovese e candidato al consiglio comunale, e Angelo Pernicone, che porta ai genovesiani quasi 150 voti.

All’inizio dell’indagine, da subito, le intercettazioni hanno svelato il rapporto stretto tra i due, l’interesse di David a ottenere voti attraverso scambi e doni di varia natura, dai generi alimentari alla promessa di assunzioni. Non era ancora emerso, invece, il livello di coinvolgimento dei due onorevoli di riferimento. Il ruolo di Genovese e Rinaldi viene fuori pienamente dopo il blitz del 2016, secondo l’Accusa, ed emerge da subito con gli interrogatori degli arrestati.

Per la Procura le indagini prima e dopo gli arresti e il processo hanno pienamente provato l’accusa di associazione a delinquere “una struttura concentrica – ha detto la PM Todaro – con al centro il personaggio politico principale, intorno da un lato gli uomini che hanno i rapporti con la base elettorale, dall’altro quelli che anche attraverso i legami di loggia massonica hanno i contatti con l’imprenditoria”. Nessun dubbio che i due onorevoli fossero perfettamente consapevoli e inserti nella struttura stabile “in qualche modo gli ispiratori”, anche se non hanno rapporti diretti con chi riceve i favori. Una struttura stabile, dice la procura, un’associazione che costruisce un sistema in grado di generare voti anche per il futuro. Per esempio con le assunzioni a tre e sei mesi, come quelle gestite da David: un lavoro precario che rende il cittadino schiavo.

“In nessuna conversazione intercettata si parla di questioni politiche, di interesse pubblico, il filo rosso delle conversazioni è sempre l’interesse privato dei soggetti”, ha detto il Pm Totaro a proposito delle intercettazioni di David e altri.

La Totaro ha dipinto lo spaccato offerto dall’inchiesta, in cui emerge un quadro di “disvalore della pratica politica”. Gente come i Pernicone, per esempio, ha detto la Totaro, non si sono sognati di accusare e fare rivelazioni sui sodali dell’associazione criminale, hanno invece rivelato quel mercimonio di voti quasi non percepissero il valore penale di quelle condotte.

Dopo aver dato la parola alle parti civili, il Tribunale (presidente Samperi), alle 20 passate, ha aggiornato l’udienza al prossimo 28 marzo per sentire i difensori. Se i tempi saranno rispettati, la sentenza dovrebbe arrivare prima dell’estate.

Gli arresti della Squadra Mobile sono scattati il 12 maggio del 2016, il blitz ha portato 26 persone in carcere e 9 ai domiciliari.

Tra i grandi accusatori del processo, Angelo Pernicone, imprenditore del settore coop e servizi, accusto di concorso esterno.

Agli atti sono entrate anche le rivelazioni del neo pentito Vincenzo Nunnari.

Il dibattimento è durato quasi due anni, e a parte le dichiarazioni di Nunnari e dei Pernicone, non ha registrato grossi colpi di scena sul piano dei rapporti tra i clan e gli esponenti politici impegnati nelle regionali prima e nelle amministrative di Messina poi.

Nessuno degli imputati “politici” si è seduto sul banco dei testimoni, ad eccezione di Capurro, difeso dall’avvocato Nino Cacia, che si è sottoposto all’esame del Pubblico Ministero, fornendo la sua versione dei fatti.

In aggiornamento.

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