La deputata Boldrini ha incontrato la donna, accusata di aver collaborato con gli scafisti: "Un errore giudiziario, vuole solo riabbracciare il figlio"
BARCELLONA P.G. – Laura Boldrini alla Casa circondariale di Barcellona. La parlamentare, presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, si sta occupando del caso dell’iraniana Marijan Jamali, 29 anni. Racconta l’ex presidente della Camera dei deputati: “Ho incontrato Marijan al carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Marijan è arrivata sulle coste calabresi a bordo di un barcone partito dalla Turchia, dopo essere scappata dall’Iran insieme al figlio di otto anni. Ma, proprio quando pensava di essere in salvo, è iniziato il suo incubo: appena sbarcata altri due passeggeri, gli stessi che durante il viaggio l’avevano molestata e che lei ha denunciato, l’hanno accusata di aver collaborato con gli scafisti. Lei è stata arrestata e suo figlio portato altrove. Nessuno le ha mai detto, in una lingua che lei potesse capire, cosa fosse successo e quali fossero le accuse”.
Aggiunge la deputata del Partito democratico: “Nel frattempo, i suoi accusatori non sono più reperibili. Questo accadeva in ottobre. Ma, dopo quasi cinque mesi, Marijan Jamali non è mai stata interrogata alla presenza di un traduttore della sua lingua. Solo venti giorni fa ha potuto parlare con il suo avvocato, supportata da un traduttore di farsi, la sua lingua madre”.

“Ha tentato il suicidio e vuole solo riabbracciare il figlio”
Racconta ancora Laura Boldrini: “Per oltre due mesi non ha visto il figlio e, quando ha potuto parlargli, il bambinoi era disperato per la separazione dalla madre. Per questo e perché si era convinta che potessero rispedirlo in Iran dal padre violento, Marijan ha tentato il suicidio. Ora sta bene e vuole solo che tutto questo finisca. Ha fornito al suo avvocato le prove del pagamento del viaggio (nessuno scafista paga per la traversata) e il legale chiederà presto i domiciliari perché possa riabbracciare il figlio”.
Sottolinea la deputata: “Come nel caso di Maysoon Majidi (attivista per i diritti delle donne accusata di essere una scafista, n.d.r.), anche in questa vicenda un ruolo fondamentale lo hanno avuto le traduzioni iniziali affidate a persone che non parlano farsi. È come se arrestassero un’italiana e chiamassero a tradurre un tedesco perché, comunque, è una lingua europea. È una grave compressione del diritto di difesa che rischia di compromettere l’esito del processo e, con esso, il futuro di una giovane donna e di suo figlio. Ma ho fiducia nella magistratura e sono certa che verrà fatta chiarezza e che questo enorme equivoco verrà a galla”.

Che tristezza sentire un altro caso di mala giustizia,speriamo che più presto questa madre possa riabbracciare suo figlio,e che venga assolta da tutte le accuse…….