“Cara Messina, ti scrivo…”. Dieci autori ispirati dalla nostra città

“Cara Messina, ti scrivo…”. Dieci autori ispirati dalla nostra città

Sara Faraci

“Cara Messina, ti scrivo…”. Dieci autori ispirati dalla nostra città

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mercoledì 27 Marzo 2013 - 11:23

Ieri al Teatro Vittorio Emanuele la presentazione del libro “Cara Messina, ti scrivo…”, un’antologia di dieci racconti unita dal profondo amore per la nostra città

Messina vista attraverso gli occhi di dieci autori uniti dal profondo amore verso la nostra città. E’ il filo conduttore del libro “Cara Messina, ti scrivo…”, antologia di racconti presentata ieri pomeriggio presso il Teatro Vittorio Emanuele alla presenza degli stessi autori dell’opera.

Un ventaglio di storie che parlano di profumi, suoni, odori, dettagli della città sullo Stretto, fondendoli ai loro protagonisti e a tematiche che da sempre si radicano nel retaggio socio-culturale dei messinesi. Un libro che mette in luce la dirompente complessità di Messina che necessita di un linguaggio essenziale e fortemente simbolico per poter essere descritta.

Utili, in tal senso, i comuni denominatori che prepotentemente tracciano le linee essenziali di storia e cultura della nostra città, trasformandone il “caos in cosmo e attribuendole, per quanto difficile, un’identità unitaria” – come ha affermato Pierpaolo Zampieri, ricercatore di sociologia urbana, nel corso della presentazione.

Traspare un “amore del messinese per la sua città, disordinato ma proprio per questo più istintivo e passionale” – ha aggiunto Giuseppe Ruggeri, relatore dell’evento nonché autore di uno dei dieci racconti. Le tematiche si ripetono e si inseguono assumendo facce diverse che ripropongono tuttavia un nucleo comune, un intenso caleidoscopio di immagini e colori che mira sempre allo stesso scopo: cogliere ed esaltare il cuore profondo racchiuso nella millenaria storia di Messina.

E’ per questo che tematiche come il terremoto del 1908 o l’attaccamento reverenziale al mare e alle sue verità nascoste, dominano l’intera opera che si ammanta di una veste corale nel riprodurre versioni e sfaccettature personali con cui la città viene colta e immortalata nello scritto ma che non dimentica il suo scopo unificante coincidente con il rilancio o meglio la creazione di un’identità cittadina e di una tradizione letteraria locale.

Una terra particolare la musa capricciosa dei dieci scrittori, un luogo spaccato da traumi che si insinuano nel subconscio collettivo per poi invaderne, silenziosamente, anche quello individuale. Una terra che si rivede in quelle ore sonnolente di un pomeriggio estivo dipinte da Patrizia Vicari; nei valori di lealtà e amicizia che spingono ai gesti estremi della narrazione di Giuseppe Ruggeri; nella passione sconfinata di una pescatrice dilaniata dalla passione per quel mare che minaccia di essere oltraggiato, come accade nel racconto di Emilia Celi.

Non mancano poi gli eterni Eros e Tanatos che si lanciano in una danza inattesa attraverso le parole di Lino Soraci né scarseggiano i riferimenti al sogno utopistico, segretamente covato dal messinese, di veder risorgere la sua città, un desiderio che spesso si arena nell’impazienza di intraprendere un lavoro costante e faticoso che solo può risollevare – come spiega Elisabetta Venuti – le sorti di una realtà amaramente in declino.

Risuonano poi anche le eco di reticenze e malignità di una popolazione abituata a spiare da dietro le persiane per giudicare senza farsi vedere, quelle piccolezze che danno l’idea di un background duro ad acquisire i connotati più dinamici di quello della metropoli e che con maestria è dipinto da Vincenzo Ragno.

C’è poi il rimpianto per un tempo perso cui dà voce Pasquale Russo e l’idea della catastrofe naturale che cancella non soltanto quanto vi è di buono e positivo ma anche ciò che di cattivo e malvagio inquina e corrompe. E’ la forza della natura, insomma, che acquista un connotato catartico, purifica e resetta, azzera e pone ognuno allo stesso livello dell’altro, un insegnamento, questo, che trasuda dal racconto di Ignazio Pandolfo.

Ma la ribellione truce della natura è anche strumento per comprendere – ed è questo il senso della narrativa di Mario Oscar Venuti – che non può esservi costruzione senza distruzione e che solo una coralità d’intenti può far fronte alle imprevedibili bizze del creato, ripartendo da ciò che è stato devastato per rinascere più e più volte, con pazienza.

E vi è infine un tuffo – compiuto da Alfredo Buttafarro – in un remoto passato, quello seicentesco, che offre propizia occasione per parlare di una Messina che non c’è più ma che, a dispetto di quegli interventi naturali che hanno infierito sulla tradizione orale, custodisce gelosamente le sue radici più profonde. (Sara Faraci)

2 commenti

  1. Messina ha una natura unica e meravigliosa…..un mare fantastico che ti permette di scegliere tra acqua fredda o calda d’estate, con una scala di temperatura che varia man mano che si passa dal freddo Ionio al caldo Tirreno.
    Delle montagne bellissime e panoramiche….puoi godere di una giornata nella foresta a Musolino e vedere il mare in contatto straordinario con la natura… puoi percorrere le vie della città ed vedere angoli sorprendenti di panorama unico….
    Messina è una città da amare.
    Molti ciechi non vedono la grandiosità della natura, del creato, esaltano solo i difetti di Messina che sono riconducibili al comportamento dispregiativo di una parte della popolazione che forse crede di giustificare la loro inciviltà intrinseca, indicandola in luogo comune.
    Il vero messinese ama la città e gode nel rispetto di quello che la natura gli ha generosamente donato.

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  2. La soluzione per la rinascita di messina?
    1) Una deportazione di massa in Antartide.
    2) Affidare il recupero della città agli svizzeri
    3) Rieducare il popolo in Antartide
    4) Far rientrare 100 nuclei familiari l’anno.
    5) Moltissimi periranno e non vedranno mai più la loro bella Messina. Ma tra 500 anni Messina e i messinesi saranno l’invidia di tutto il pianeta.
    Per questi anni a venire è persa in partenza. ci diciamo che possiamo farcela per non suicidarci.

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